Dicembre 2008

MERCATI INTERNAZIONALI DELL’ARTE

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UN INVESTIMENTO
ALTERNATIVO

T. C.

 

 
 

 

 

Per ora, l'arte come bene rifugio, depurata dalla quantità di spazzatura che c'è in giro, sta tenendo bene, demolendo ogni fosca previsione.

 

È bolla oppure no? In questa fase le attenzioni dei protagonisti del mercato globale dell’arte contemporanea sono puntate su Londra, dove si apre la stagione delle grandi aste invernali di Christie’s e di Sotheby’s, e soprattutto si celebra il rito di Frieze Art Fair, la gran fiera “made in England” che vuole sfidare il primato planetario di Basilea e di Miami. Poco tempo ancora, e si capirà fino in fondo quali rischi corre, in tempi di recessione e di crac nella finanza e nell’immobiliare, anche il frenetico mercato dell’arte contemporanea: che negli ultimi anni sembra letteralmente impazzito per le quotazioni e per la rapidità con la quale esplodono artisti e opere.
A metà settembre, proprio nella capitale britannica l’inglese Damien Hirst, icona dell’arte declinata con le categorie del marketing, ha battuto la sua asta personale, sfidando (in apparenza) mercanti e galleristi, e ha ricavato oltre 140 milioni di euro. Qualcuno ha anche fatto il conto sulla produttività di Hirst e ha scoperto che per realizzare le 223 opere messe all’asta la star inglese ne ha completate due alla settimana. Un’industria, più che una creazione d’artista. Mentre Hirst faceva le sue performance a Londra, artisti, galleristi, direttori di musei internazionali e collezionisti si davano appuntamento a Mosca per celebrare le opere di Ilya ed Emilia Kabakov e per tenere sotto controllo lo sbarco in Russia di Larry Gagosian, il gallerista americano che vanta la più importante scuderia di artisti internazionali. Già, perché tenendo sotto osservazione i numeri del mercato, emerge che dalle vendite in aste nei primi sei mesi di quest’anno (3,8 miliardi di euro, rispetto ai 3,7 del 2007) i collezionisti americani ed europei vendono, mentre quelli asiatici, mediorientali e anche russi, comprano: è un vero e proprio spostamento nell’asse geografico del mercato, con una domanda più larga e con l’emergere di una nuova generazione di collezionisti che partono con gli acquisti anche prima dei trent’anni.
Le previsioni nel breve periodo, quando ci sono turbolenze a livello mondiale, sono sempre difficili. Meglio, per chi è appassionato di arte contemporanea e pensa di investire in questo settore, fornirsi di una piccola bussola che comprende sei punti cardinali.

Damien Hirst,“Virgin Mother”,
installazione alla Royal Academy of Arts di Londra, 2006. - Michael Summers
Damien Hirst,“Virgin Mother”, installazione alla Royal Academy of Arts di Londra, 2006. - Michael Summers


Il primo è: “Guardare il mondo”. L’arte contemporanea è quanto di più glocal possa esistere. Da sempre il talento ha la sua radice nell’anima di un luogo, in un’appartenenza a un microcosmo, anche territoriale, ma la vera grandezza sta nella sua universalità. Appena fino a ieri la capitale dell’arte contemporanea (e del mercato) era New York; oggi, pur restando l’America ancora un luogo strategico, le nuove tendenze passano per i Paesi emergenti: Brasile, Russia, Cina e India, cioè per quello che gli economisti chiamano il Gruppo del Bric. E se il boom degli artisti cinesi è già consumato, ora è il momento degli indiani: a New Delhi si è appena tenuta la prima fiera nazionale, con 200 autori del Subcontinente. Prezzi alle stelle, visitatori entusiasti, corsa agli acquisti. Seguire l’universo del contemporaneo in tutte le sue espressioni richiede le due risorse che non devono mai mancare al collezionista: il denaro e il tempo. Ma per concentrare gli sforzi è indispensabile cogliere la prospettiva internazionale dell’arte contemporanea. Altrimenti si rischia di intercettare fenomeni e artisti marginali.
Il secondo punto è: “Frequentare i musei”. La passione per il collezionismo, senza conoscere le permanenti presenti nelle istituzioni e le grandi mostre che pure si susseguono a ritmo incalzante, è come la febbre per il gioco del calcio, consumata senza sapere chi sono i campioni dei grandi club mondiali. Nel nostro Paese, un’indagine ha conteggiato nove milioni di cittadini ormai interessati all’arte contemporanea. Una cifra enorme di potenziali acquirenti. E anche un indicatore prezioso per quei musei che, negli ultimi anni, si stanno moltiplicando in grandi città, come Torino, Napoli, Bologna, Roma e Milano, ma anche in centri minori come Bergamo o Prato. Andare in giro per musei, scoprire le collezioni, inquadrare il percorso storico degli artisti e la loro collocazione, è un grande piacere: rappresenta lo strumento più efficace per allenare l’occhio. Ma è anche un modo appropriato per non essere dei dilettanti allo sbaraglio.

Henri Matisse,“Femme au chapeau”,
1905, olio su tela.San Francisco Museum of Modern Art. - Alessandro Epifani
Henri Matisse,“Femme au chapeau”, 1905, olio su tela.San Francisco Museum of Modern Art. - Alessandro Epifani


Il terzo è un punto personale: “Avere un gallerista per amico”. L’Italia è il regno di centinaia di gallerie, attivissime (la loro Bibbia, in termini di notizie, è il sitowww.exibart.com), anche se spesso emarginate rispetto al circuito internazionale. I nuovi spazi spuntano come funghi, e purtroppo a questa vivacità, tipica di un Paese fai-da-te, non corrisponde lo straccio di un sistema trasparente, efficiente e competitivo. Gli acquisti e le vendite si continuano a fare in nero; l’Iva sulle opere, nonostante le promesse di troppi Governi, è alla soglia record del 20 per cento; i costi medi fissi di un gallerista, tra i 50 e i 200 mila euro l’anno, sono troppo alti rispetto alla sua attività.
In ogni caso, chi vuole collezionare o avventurarsi con continuità sul mercato dell’arte contemporanea è bene che lo faccia affidandosi ai suggerimenti di un gallerista autorevole e indipendente o di un mercante serio. Sono loro – e in questo caso parla la storia – che hanno fatto la fortuna dei grandi collezionisti.
Quarto punto: “Non sentirsi in Borsa”. Basta mettere piede in una fiera, a Bologna o Torino in Italia, per esempio, e si capisce che una buona parte dei visitatori si affanna come se fosse a Piazza degli Affari negli anni delle “grida”. Attenzione, è un errore. Come quello di confondere l’opera con un arredo per la casa. Il collezionista deve maturare un suo senso estetico, non dimenticando mai che il profumo del bello viene molto prima di quello del denaro.
Certo: un buon affare non dispiace, e l’arte contiene un suo valore aggiunto in termini di status symbol. Ma non si può impostare una collezione rincorrendo la speculazione o un traguardo in società, se non sapendo di correre il rischio di ritrovarsi con opere che, improvvisamente, non valgono nulla. E lo stesso discorso vale per le aziende che, da qualche tempo, si sono lanciate in massa negli acquisti e nelle mostre del contemporaneo, sperando di cogliere l’onda lunga del fenomeno di costume.
Anche in Italia si vedono grandi gruppi, come l’Eni e l’Enel, e banche, da Unicredit a Intesa Sanpaolo, che investono nelle loro collezioni di contemporaneo: sono risorse che arrivano sul tavolo, e sarebbe un inutile spreco se non fossero impegnate con criteri sorretti dal buon gusto e da una discreta competenza. È una strada, questa, seguita da istituzioni finanziarie europee, come ad esempio la Deutsche Bank, che oggi ha una collezione di 50 mila opere, o la spagnola Caixa de Pensiones, che ogni anno spende circa 2 milioni di euro per acquistare i dipinti e le sculture di giovani artisti. Quinto punto: “Non rincorrere le mode”. Per avere un’idea di quanto il boom dell’arte contemporanea incorpori un “effetto moda”, o tendenza che dir si voglia, basta prendere in considerazione alcuni altri numeri dell’indagine su ricordata: circa 14 milioni di italiani, nell’ultimo anno, hanno frequentato mostre ed esposizioni. Un pubblico da tifo calcistico. Bene: il vero collezionistaè curioso, ha passione, fiuta la novità. Ma non si lascia mai incantare da una
moda. Semmai la anticipa, e la abbandona quando esplode. Prima si parlava del boom, in via di ridimensionamento, degli artisti cinesi: nel 2007 ben 36 di costoro figuravano nella classifica dei primi 100 autori nelle aste. Quest’anno, e solo in settembre, ci sono state 12 aste nel mondo dedicate ad artisti moderni e contemporanei asiatici: il numero degli invenduti è stato molto alto, e le opere battute non hanno superato complessivamente la soglia dei 75 milioni di dollari rispetto agli 82 delle stime minime. E ancora: l’indice dei prezzi dell’America Pop Art, un segmento di artisti le cui quotazioni negli ultimi anni sono schizzate verso l’alto, è crollato del 31 per cento dagli inizi del 2008. Anche nell’arte, come in altri mercati, per chi rincorre una moda ci sono sempre buone possibilità di restare con il cerino in mano appena evapora.

Un bibliofilo studia una miniatura da
un “libro delle ore” del Cinquecento. - Archivio BPP
Un bibliofilo studia una miniatura da un “libro delle ore” del Cinquecento. - Archivio BPP


Sesto punto cardinale della nostra bussola: “Non pensare ai super-ricchi”. Tornando alla domanda iniziale, bolla o non bolla, oggi il mercato dell’arte contemporanea si può dividere in due gironi: fascia super-lusso e fascia medio-bassa. Il primo gruppo è presidiato dalla tribù degli “High net worth individual”, una comunità globale di quasi dieci milioni di persone con un patrimonio superiore a 10 milioni di dollari. Il 20 per cento dei loro investimenti continua a finire in opere contemporanee, e questa tendenza non dovrebbe subire forti rallentamenti per questi motivi:
- il quadro, o l’installazione, di un autore top è considerato un bene rifugio, specialmente
in tempi di crisi o di crac per i classici strumenti della finanza;
- il settore super-lusso, nonostante tutto, resta quello che ancora regge ai venti della tempesta perfetta della finanza;
- questo tipo di acquisti è il più idoneo per assecondare le ambizioni di status symbol dei milionari globali. Per costoro, un capolavoroè un trofeo, da esporre come l’icona di una scalata sociale prima ancora che economica.
Quanto alla fascia medio-bassa, invece, è escluso che attraversi indenne il tunnel della recessione, e dunque i prezzi forse non potranno che scendere, e per alcune opere sarà perfino difficile trovare gli acquirenti. Così il collezionista è avvertito, e se non vuole scottarsi le mani nel forno del mercato, è bene che tenga i piedi per terra. E non guardi al portafoglio, e alle suggestioni, dei super- ricchi, che di solito se la cavano sempre meglio di tutti. Per ora, tuttavia, l’arte come bene rifugio (depurata dalla quantità di spazzatura che c’è in giro) sta tenendo bene, demolendo ogni fosca previsione. Come ha sostenuto Charles Saatchi, che sente il polso del settore grazie ai suoi YBAs (Young British Artists, movimento di artisti, sorto negli anni Ottanta a Londra, variamente aderenti al dadaismo, all’arte concettuale e povera, al minimalismo e alla pop art, N.d.R.), da luglio a luglio degli anni 2007-2008 i ricavi Christie’s e Sotheby’s sono passati a 7 miliardi di sterline (8,8 miliardi di euro), con un incremento del 12 per cento. Magari sarà bolla. Ma tiene ancora bene!

   
   
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