Per ora, l'arte
come bene rifugio,
depurata dalla
quantità di
spazzatura che
c'è in giro, sta
tenendo bene,
demolendo ogni
fosca previsione. |
|
È bolla oppure no? In questa fase le attenzioni
dei protagonisti del mercato globale
dell’arte contemporanea sono puntate su
Londra, dove si apre la stagione delle grandi
aste invernali di Christie’s e di Sotheby’s,
e soprattutto si celebra il rito di Frieze Art
Fair, la gran fiera “made in England” che
vuole sfidare il primato planetario di Basilea
e di Miami. Poco tempo ancora, e si capirà
fino in fondo quali rischi corre, in tempi
di recessione e di crac nella finanza e nell’immobiliare,
anche il frenetico mercato
dell’arte contemporanea: che negli ultimi
anni sembra letteralmente impazzito per le
quotazioni e per la rapidità con la quale
esplodono artisti e opere.
A metà settembre, proprio nella capitale britannica
l’inglese Damien Hirst, icona dell’arte
declinata con le categorie del marketing,
ha battuto la sua asta personale, sfidando
(in apparenza) mercanti e galleristi, e
ha ricavato oltre 140 milioni di euro. Qualcuno
ha anche fatto il conto sulla produttività
di Hirst e ha scoperto che per realizzare
le 223 opere messe all’asta la star inglese ne
ha completate due alla settimana. Un’industria,
più che una creazione d’artista.
Mentre Hirst faceva le sue performance a
Londra, artisti, galleristi, direttori di musei
internazionali e collezionisti si davano appuntamento
a Mosca per celebrare le opere
di Ilya ed Emilia Kabakov e per tenere sotto
controllo lo sbarco in Russia di Larry
Gagosian, il gallerista americano che vanta
la più importante scuderia di artisti internazionali.
Già, perché tenendo sotto osservazione
i numeri del mercato, emerge che dalle
vendite in aste nei primi sei mesi di quest’anno
(3,8 miliardi di euro, rispetto ai 3,7
del 2007) i collezionisti americani ed europei
vendono, mentre quelli asiatici, mediorientali
e anche russi, comprano: è un vero e
proprio spostamento nell’asse geografico
del mercato, con una domanda più larga e
con l’emergere di una nuova generazione di
collezionisti che partono con gli acquisti anche
prima dei trent’anni.
Le previsioni nel breve periodo, quando ci
sono turbolenze a livello mondiale, sono
sempre difficili. Meglio, per chi è appassionato
di arte contemporanea e pensa di investire
in questo settore, fornirsi di una piccola
bussola che comprende sei punti cardinali.
 |
Damien Hirst,“Virgin Mother”,
installazione alla Royal Academy of Arts di Londra, 2006. - Michael Summers |
Il primo è: “Guardare il mondo”. L’arte
contemporanea è quanto di più glocal possa
esistere. Da sempre il talento ha la sua
radice nell’anima di un luogo, in un’appartenenza
a un microcosmo, anche territoriale,
ma la vera grandezza sta nella sua universalità.
Appena fino a ieri la capitale dell’arte
contemporanea (e del mercato) era
New York; oggi, pur restando l’America
ancora un luogo strategico, le nuove tendenze
passano per i Paesi emergenti: Brasile,
Russia, Cina e India, cioè per quello che
gli economisti chiamano il Gruppo del
Bric. E se il boom degli artisti cinesi è già consumato, ora è il momento degli indiani:
a New Delhi si è appena tenuta la prima
fiera nazionale, con 200 autori del Subcontinente.
Prezzi alle stelle, visitatori entusiasti,
corsa agli acquisti. Seguire l’universo
del contemporaneo in tutte le sue
espressioni richiede le due risorse che non
devono mai mancare al collezionista: il denaro
e il tempo. Ma per concentrare gli
sforzi è indispensabile cogliere la prospettiva
internazionale dell’arte contemporanea.
Altrimenti si rischia di intercettare fenomeni
e artisti marginali.
Il secondo punto è: “Frequentare i musei”.
La passione per il collezionismo, senza conoscere
le permanenti presenti nelle istituzioni
e le grandi mostre che pure si susseguono
a ritmo incalzante, è come la febbre
per il gioco del calcio, consumata senza sapere
chi sono i campioni dei grandi club
mondiali. Nel nostro Paese, un’indagine ha
conteggiato nove milioni di cittadini ormai
interessati all’arte contemporanea.
Una cifra enorme di potenziali acquirenti.
E anche un indicatore prezioso per quei
musei che, negli ultimi anni, si stanno moltiplicando
in grandi città, come Torino, Napoli,
Bologna, Roma e Milano, ma anche in
centri minori come Bergamo o Prato. Andare
in giro per musei, scoprire le collezioni,
inquadrare il percorso storico degli artisti
e la loro collocazione, è un grande piacere:
rappresenta lo strumento più efficace
per allenare l’occhio. Ma è anche un modo
appropriato per non essere dei dilettanti allo
sbaraglio.
 |
Henri Matisse,“Femme au chapeau”,
1905, olio su tela.San Francisco Museum of Modern Art. - Alessandro Epifani |
Il terzo è un punto personale: “Avere un
gallerista per amico”. L’Italia è il regno di
centinaia di gallerie, attivissime (la loro
Bibbia, in termini di notizie, è il sitowww.exibart.com), anche se spesso emarginate
rispetto al circuito internazionale. I
nuovi spazi spuntano come funghi, e purtroppo
a questa vivacità, tipica di un Paese
fai-da-te, non corrisponde lo straccio di un
sistema trasparente, efficiente e competitivo.
Gli acquisti e le vendite si continuano a
fare in nero; l’Iva sulle opere, nonostante le
promesse di troppi Governi, è alla soglia record
del 20 per cento; i costi medi fissi di un
gallerista, tra i 50 e i 200 mila euro l’anno,
sono troppo alti rispetto alla sua attività.
In ogni caso, chi vuole collezionare o avventurarsi
con continuità sul mercato dell’arte
contemporanea è bene che lo faccia
affidandosi ai suggerimenti di un gallerista
autorevole e indipendente o di un mercante
serio. Sono loro – e in questo caso parla la storia – che hanno fatto la fortuna dei grandi
collezionisti.
Quarto punto: “Non sentirsi in Borsa”. Basta
mettere piede in una fiera, a Bologna o
Torino in Italia, per esempio, e si capisce
che una buona parte dei visitatori si affanna
come se fosse a Piazza degli Affari negli anni
delle “grida”. Attenzione, è un errore.
Come quello di confondere l’opera con un
arredo per la casa. Il collezionista deve maturare
un suo senso estetico, non dimenticando
mai che il profumo del bello viene
molto prima di quello del denaro.
Certo: un buon affare non dispiace, e l’arte
contiene un suo valore aggiunto in termini
di status symbol. Ma non si può impostare
una collezione rincorrendo la speculazione
o un traguardo in società, se non sapendo
di correre il rischio di ritrovarsi con opere
che, improvvisamente, non valgono nulla.
E lo stesso discorso vale per le aziende che,
da qualche tempo, si sono lanciate in massa
negli acquisti e nelle mostre del contemporaneo,
sperando di cogliere l’onda lunga del
fenomeno di costume.
Anche in Italia si vedono grandi gruppi, come
l’Eni e l’Enel, e banche, da Unicredit a
Intesa Sanpaolo, che investono nelle loro
collezioni di contemporaneo: sono risorse
che arrivano sul tavolo, e sarebbe un inutile
spreco se non fossero impegnate con criteri
sorretti dal buon gusto e da una discreta
competenza. È una strada, questa, seguita
da istituzioni finanziarie europee, come ad
esempio la Deutsche Bank, che oggi ha una
collezione di 50 mila opere, o la spagnola
Caixa de Pensiones, che ogni anno spende
circa 2 milioni di euro per acquistare i dipinti
e le sculture di giovani artisti.
Quinto punto: “Non rincorrere le mode”.
Per avere un’idea di quanto il boom dell’arte
contemporanea incorpori un “effetto moda”,
o tendenza che dir si voglia, basta
prendere in considerazione alcuni altri numeri
dell’indagine su ricordata: circa 14 milioni
di italiani, nell’ultimo anno, hanno
frequentato mostre ed esposizioni. Un pubblico
da tifo calcistico. Bene: il vero collezionistaè curioso, ha passione, fiuta la novità.
Ma non si lascia mai incantare da una
moda. Semmai la anticipa, e la abbandona
quando esplode. Prima si parlava del boom,
in via di ridimensionamento, degli artisti cinesi: nel 2007 ben 36 di costoro figuravano
nella classifica dei primi 100 autori nelle
aste. Quest’anno, e solo in settembre, ci sono
state 12 aste nel mondo dedicate ad artisti
moderni e contemporanei asiatici: il numero
degli invenduti è stato molto alto, e le
opere battute non hanno superato complessivamente
la soglia dei 75 milioni di dollari rispetto agli 82 delle stime minime. E ancora:
l’indice dei prezzi dell’America Pop Art,
un segmento di artisti le cui quotazioni negli
ultimi anni sono schizzate verso l’alto, è
crollato del 31 per cento dagli inizi del 2008.
Anche nell’arte, come in altri mercati, per
chi rincorre una moda ci sono sempre buone
possibilità di restare con il cerino in mano
appena evapora.
 |
Un bibliofilo studia una miniatura da
un “libro delle ore” del Cinquecento. - Archivio BPP |
Sesto punto cardinale della nostra bussola: “Non pensare ai super-ricchi”. Tornando
alla domanda iniziale, bolla o non bolla,
oggi il mercato dell’arte contemporanea si
può dividere in due gironi: fascia super-lusso
e fascia medio-bassa. Il primo gruppo è
presidiato dalla tribù degli “High net worth
individual”, una comunità globale di quasi
dieci milioni di persone con un patrimonio
superiore a 10 milioni di dollari. Il 20 per
cento dei loro investimenti continua a finire
in opere contemporanee, e questa tendenza
non dovrebbe subire forti rallentamenti per
questi motivi:
- il quadro, o l’installazione, di un autore top è considerato un bene rifugio, specialmente
in tempi di crisi o di crac per i classici
strumenti della finanza;
- il settore super-lusso, nonostante tutto,
resta quello che ancora regge ai venti della
tempesta perfetta della finanza;
- questo tipo di acquisti è il più idoneo per
assecondare le ambizioni di status symbol dei milionari globali. Per costoro, un capolavoroè un trofeo, da esporre come l’icona
di una scalata sociale prima ancora
che economica.
Quanto alla fascia medio-bassa, invece, è
escluso che attraversi indenne il tunnel della
recessione, e dunque i prezzi forse non potranno
che scendere, e per alcune opere sarà
perfino difficile trovare gli acquirenti. Così
il collezionista è avvertito, e se non vuole
scottarsi le mani nel forno del mercato, è
bene che tenga i piedi per terra. E non guardi
al portafoglio, e alle suggestioni, dei super-
ricchi, che di solito se la cavano sempre
meglio di tutti. Per ora, tuttavia, l’arte come
bene rifugio (depurata dalla quantità di
spazzatura che c’è in giro) sta tenendo bene,
demolendo ogni fosca previsione. Come ha
sostenuto Charles Saatchi, che sente il polso
del settore grazie ai suoi YBAs (Young British Artists, movimento di artisti, sorto negli
anni Ottanta a Londra, variamente aderenti
al dadaismo, all’arte concettuale e povera,
al minimalismo e alla pop art, N.d.R.),
da luglio a luglio degli anni 2007-2008 i ricavi
Christie’s e Sotheby’s sono passati a 7
miliardi di sterline (8,8 miliardi di euro),
con un incremento del 12 per cento. Magari
sarà bolla. Ma tiene ancora bene!
|