Dicembre 2008

NATALE E LA TRADIZIONE DEL PRESEPE

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I RE MAGHI

Sergio Bello
Marzia Gentili

 

 
 

 

 

Cielo di stelle. Da quel versetto gli ebrei avevano dedotto che il Messia sarebbe stato annunciato da un astro eccezionale. E Matteo, puntualmente, abbina la nascita di Gesù Cristo alla cometa.

 

Pare che non fossero re. Non è proprio detto che fossero in tre. Certamente non seguirono alcuna cometa. Che venissero dalla Persia o dalla Mesopotamia è soltanto un’ipotesi. Che si chiamassero Melchiorre, Gaspare e Baldassarre è una pura leggenda.
Che uno di loro fosse di pelle nera è una fantasiosa invenzione. Sebbene siano citati da un solo Vangelo su quattro (quello di Matteo), che dedica loro dodici versetti, la vicenda che li riguarda è una delle più popolari della storia sacra. Ma allora, i (Re) Magi, senza i quali nessun presepe sembra essere completo, sono esistiti, oppure no?
Se parliamo di “maghi”, con la “m” minuscola, certamente sì. Fuori dal Vangelo, infatti,
i magi erano i sacerdoti dei Medi, antenati degli attuali Curdi: un popolo montanaro che nel VI secolo a.C. fu conquistato dai Persiani. Il greco Erodoto dice che interpretavano i sogni e studiavano gli astri. Quale dio adorassero in origine, non è molto chiaro; ma in tempi storici praticavano il mazdeismo, culto che aveva il suo profeta in Zoroastro e il simbolo nel fuoco.
Di sicuro, però, quegli astronomi-indovinisacerdoti non furono mai re. O meglio: ci fu un’eccezione, nel 522-521 a.C., quando uno strano mago, donnaiolo e mutilato delle orecchie, tale Smerdi, alias Gaumata, scippò il trono e l’harem al re Cambise II, che in quel momento era lontano da casa, cercando poi consensi, abbattendo le tasse. Narra Erotodo: «Mandò qua e là a ogni popolo sotto il suo dominio a proclamare che concedeva l’esenzione dal servizio militare e dai tributi per tre anni».
Quell’unico “re e magio” della Storia non poté mantenere la promessa, perché sopravvisse
soltanto sette mesi. Poi finì decapitato. Non lo imitò più nessuno, anche perché contro i magi scattarono persecuzioni. Ma ai tempi di Gesù tutto questo era preistoria: l’Impero persiano era finito da parecchio e i magi avevano ripreso i loro riti e i loro studi astronomici; avevano dunque tutti i titoli per farla da protagonisti in un racconto“magico” come quello che li lega al presepe.
Qualcuno si è posto la domanda: è attendibile il testo di Matteo? Alcuni storici sono scettici. Osserva Mauro Pesce, docente di Storia del Cristianesimo all’università di Bologna: «Tutto lascia pensare che la vicenda dei Magi sia solo un artificio letterariopromozionale. Matteo scrisse intorno all’anno 80, quando la nuova religione si stava diffondendo oltre la Palestina. Forse il suo Vangelo volle lanciare un messaggio ai
non-ebrei, dicendo che Gesù si era rivelato anche e soprattutto a loro: infatti, per gli ebrei i Magi erano “gentili”, cioè pagani; eppure, secondo questo evangelista, seppero dell’arrivo del Messia prima del clero che stava a Gerusalemme». E aggiunge Francesco Sforza Barcellona, docente di Storia del Cristianesimo a Roma-Tor Vergata: «Ci sono messaggi in codice anche per gli ebrei. Èevidente lo sforzo di far quadrare la figura del Cristo con le profezie bibliche. Per esempio, nel Salmo 71 (ora 72) si prediceva che al Messia sarebbe stato donato “oro d’Arabia” e che “i re Arabi e di Saba” (cioè dello Yemen) gli avrebbero “offerto tributi”. Ed ecco l’adorazione dei Magi, che con il loro metallo prezioso “legittimano” Gesù in base ai parametri biblici».

Las Palmas (Canarie):Una scultura di sabbia,
sulla spiaggiadi Las Cantelas, raffigurante i Re Magi. - Archivio BPP
Las Palmas (Canarie):Una scultura di sabbia, sulla spiaggiadi Las Cantelas, raffigurante i Re Magi. - Archivio BPP


Non è tutto. Nell’Antico Testamento il Libro dei Numeri narra che ai tempi di Mosè un indovino, tale Balaam, aveva lanciato una truce profezia: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spezza le tempie di Moab e il cranio dei figli di Set» (Nu, 24: 17). Da quel versetto gli ebrei avevano dedotto che il Messia, destinato a far trionfare Israele sui propri nemici, sarebbe stato annunciato da un astro eccezionale. Ed ecco che Matteo, puntualmente, abbina la nascita di Gesù a quella che, secondo l’interpretazione corrente, era una cometa.
Se si intende considerare come intento propagandistico quanto scritto da Matteo, il discorso può chiudersi qui: i Magi vanno declassati da persone reali a veri e propri simboli. Come Gog e Magog, personificazioni della guerra nell’Apocalisse.
Per giunta, sulla questione dei Magi gravano almeno altri due elementi di dubbio. Il primo: il Vangelo di Matteo è l’unico a raccontarla; il secondo: intorno all’anno Uno nessuna cometa visibile a occhio nudo si avvicinò alla Terra.
In realtà, il primo dubbio è infondato, perché la “solitarietà” di Matteo è soltanto presunta:
infatti, se si allarga lo sguardo oltre gli evangelisti canonici, si scopre che a parlare dei Magi sono anche altri quattro testi antichi, definiti apocrifi dalla Chiesa (cioè esclusi dalla Bibbia). Tre di essi (Vangelo arabo-siriaco, Vangelo armeno dell’infanzia, Pseudo-Matteo) sono effettivamente tardi (dal V secolo in poi). Ma uno no: si tratta del Protovangelo di Giacomo, scritto pochi decenni dopo il testo di Matteo. Allora le fonti primarie per la storia dei Magi sono almeno due.
L’assenza di “stelle con la coda”, invece, è un dato certo. Secondo calcoli moderni, infatti, la cometa di Halley, la più brillante fra quelle che hanno un periodo di rivoluzione
breve, apparve nell’87 e nel 12 a.C., per tornare solo nel 66 d.C., cioè fuori dall’arco di tempo utile. Intorno all’anno Uno passò invece la cometa di Encke, che però non era visibile a occhio nudo. E infatti nessuno la notò. Si è pensato anche a una possibile cometa irregolare, ma ricerche nei testi laici antichi non hanno portato a trovare citazioni di un astro del genere.
Questa inutile caccia alla cometa dura da secoli, anche perché la materia prima è abbondante: infatti, la comparsa di comete fu diligentemente annotata sin dai tempi remoti
sia in Cina sia in Occidente. Limitando il campo alla letteratura latina, gli autori che trattano l’argomento furono almeno quattro: Tacito, Svetonio, Plinio il Vecchio e Flavio Giuseppe. Fra tutti, il “notaio” più scrupoloso dei fenomeni celesti fu Plinio, che nei due secoli a cavallo dell’anno Uno registrò ben sette “stelle con la coda” (Halley compresa), tutte però lontane dalla nascita di Gesù.

Tre mummie preda del Barbarossa

«In quella città son seppelliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con
barba e co’ capegli»: così annotava Marco Polo, passando nel 1272 vicino a Saba (oggi Saveh),
città a sud-ovest di Teheran celebre per le sue melagrane.
Ma la “scoperta” di messer Marco è tutt’altro che attendibile. Della tomba oggi non c’è più
traccia; inoltre, secondo la tradizione, a quell’epoca i resti dei “Tre Re” avrebbero dovuto essere
altrove.
All’inizio del IV secolo, infatti, Santa Elena, madre dell’Imperatore Costantino, era tornata da
Gerusalemme con tre salme mummificate, accreditate come i resti dei Magi, e le aveva portate
a Costantinopoli, nella Basilica di Santa Sofia. Da lì, Sant’Eustorgio, vescovo di Milano, intorno
al 345 le aveva trasferite nel capoluogo lombardo, nella chiesa che oggi porta il suo nome.
Il sarcofago che le aveva accolte esiste ancora, ma è vuoto: nel 1164 il Barbarossa, dopo avere

occupato la città ribelle, razziò le presunte reliquie e le portò a Colonia, dove si trovano
tuttora, salvo pochi frammenti, restituiti nel 1903 alla chiesa milanese e oggi custoditi in
un’urna.

 

L’ancona dei Re Magi nella Chiesa di
S. Eustorgio, a Milano. Splendida scultura del Trecento, illustra le vicende dei Re Magi e ne contiene alcuni frammenti ossei. - Ph. Roberto Nuara - Courtesy Gabriella Provenzano
L’ancona dei Re Magi nella Chiesa di S. Eustorgio, a Milano. Splendida scultura del Trecento, illustra le vicende dei Re Magi e ne contiene alcuni frammenti ossei. - Ph. Roberto Nuara - Courtesy Gabriella Provenzano

 

il sacello dove erano deposti i corpi
dei Re Magi fino al 1164, anno in cui furono traslati a Colonia. - Ph. Roberto Nuara - Courtesy Gabriella Provenzano
il sacello dove erano deposti i corpi dei Re Magi fino al 1164, anno in cui furono traslati a Colonia. - Ph. Roberto Nuara - Courtesy Gabriella Provenzano

È l’addio senza appello alla credibilità della storia dei Magi? Neanche per idea, perché la “cometa di Gesù” è un falso che prese piede soltanto nel Medioevo. A ufficializzarlo non fu un teologo, ma un pittore, che in un affresco a Padova, nella celeberrima Cappella degli Scrovegni, abbinò i Magi a un astro con la coda. Era l’eccelso Giotto, affascinato da un’esperienza personale: quando dipinse la stessa di Betlemme – secondo la storica dell’arte Roberta Oslon – la rese come una cometa, che aveva osservato realmente anni prima. Infatti l’affresco è del 1303 circa, e Halley passò nel 1301. Ma Giotto prendeva un abbaglio, perché nessuno dei testi antichi ha mai abbinato i “Tre Re” a una cometa. Matteo parla genericamente di una stella, ovviamente anomala, visibile in due tempi distinti: dapprima durante il viaggio dei Magi verso Gerusalemme, poi durante il trasferimento a Betlemme. E Giacomo riferisce di «una stella grandissima, che brillava tra gli altri astri e li oscurava, tanto che le stelle non si vedevano più». Lo Pseudo-Matteo si allinea a questa versione, parlando di «un’enorme stella (...) la cui grandezza non si era mai vista dall’origine del mondo».

I diciotto nomi dei Tre Re

Né il Vangelo di Matteo né quello apocrifo di Giacomo, cioé i testi più antichi che citano i Magi,
fanno mai i loro nomi, ma la tradizione si è sbizzarrita, inventandone almeno 18, quasi sempre
a gruppi di tre. I più frequenti sono Melkon, Balthasar e Gaspar, italianizzati in Melchiorre,
Baldassarre e Gaspare, coniati nell’Armenia antica e poi diffusi in mezzo mondo.
Ma fino ai tempi delle Crociate al terzetto si affiancavano altri due: Galgalat, Magalath e Sarachim
(nel mondo greco), e Appellus, Amerus e Damasius (in Palestina). Così riferisce Pietro
Comestore, teologo francese del 1100.
A Milano, una tradizione finita in disuso li aveva ribattezzati Eleuterio, Rustico e Dionigio. E
tuttora in Etiopia e in Siria i Magi vengono chiamati in modo anomalo: nel primo caso, Hor,
Basanater e Karsudan; nel secondo caso, Larvandad, Hormisdas e Gushnasaph.
Tra tutti i nomi citati, i meno improbabili sono proprio questi ultimi, che hanno un’evidente etimologia
persiana: Gushnasaph, per esempio, significa più o meno “Virile come un cavallo”.
Anche Gaspare, però, ha un’analoga etimologia, visto che può derivare dal persiano Jaspar,
che significa “Signore del tesoro”.

A quale astro alludevano i testi antichi? Il fenomeno astronomico più probabile è una congiunzione Giove-Saturno, che ebbe luogo nel 7 a.C.: quell’anno i due pianeti si trovarono nel cielo uno vicino all’altro per ben tre volte. Questa tesi ha una certa credibilità, anche perché sono state trovate effemeridi babilonesi (cioè tavole col calcolo dei movimenti degli astri) relative all’evento, segno che al fenomeno si accordò una notevole importanza. La teoria non è recente: la formulò l’astronomo tedesco Johannes Kepler. Nel 1603 osservò una congiunzione fra pianeti, che – abbinati – sembravano un’enorme stella. Colpito, calcolò se il fenomeno poteva essersi verificato anche nell’anno Uno: concluse di no, ma scoprì che una congiunzione c’era stata più volte nel 7 a.C. Scrisse perciò un trattato (De anno natali Christi), in cui sosteneva che la data di nascita di Gesù andava anticipata. Può sembrare una conclusione eccessiva, ma in realtà il nostro calendario sbaglia. L’errore risale a un monaco del VI secolo, Dionigi il Piccolo, che inaugurò l’uso di contare gli anni dalla nascita di Gesù, ma partì da una data posteriore a quella vera. Oggi si dà per certo che Cristo, paradossalmente, nacque avanti Cristo: minimo 4, massimo 8 anni.

Andrea Mantegna, “Adorazione dei Magi”,
1497-1500, Malibu, Paul Getty Museum. - Archivio BPP
Andrea Mantegna, “Adorazione dei Magi”, 1497-1500, Malibu, Paul Getty Museum. - Archivio BPP


Stando così le cose, tre fatti appaiono certi: che intorno all’anno della nascita di Gesù ci fu davvero una “stella” anomala; che questo astro apparve più volte, a intermittenza, come sostiene Matteo; che taluni astronomi orientali (“magi”) l’avevano notato, come provano le effemeridi di cui abbiamo detto. Sicché il racconto evangelico, trattato con scetticismo dagli storici, acquista più credito presso gli astronomi: proprio grazie all’elemento che sembrava il più fantasioso (la stella), i Magi escono dalla dimensione fiabesca e diventano personaggi storicamente possibili. Ma ad una condizione: che si resti ai sobri racconti di Matteo e di Giacomo, sfrondando i Tre Re da tutti gli attributi che la tradizione ha poi attaccato loro addosso. Niente cometa, dunque, ma anche niente certezze su corone, nomi, numero tre. Anche se può stupire, infatti, il Vangelo secondo Matteo non afferma mai che i Magi fossero re, né che fossero tre: parla genericamente di “alcuni”. Tanto che le immagini antiche ne raffigurano a volte due, altre quattro, altre infine addirittura dodici. Indicazioni ancora più generiche sono quelle sulla patria dei Magi: Matteo parla soltanto
di “Oriente”. E l’ipotesi corrente è che alluda all’attuale Iran, dove il mazdeismo aveva le sue radici e dove ancora oggi una città (Yazd) è abitata da 12 mila zoroastriani, adoratori del fuoco sacro.
Ai tempi di Gesù, tuttavia, i magi non erano più un’esclusiva medo-persiana: gli Atti degli
Apostoli ne citano uno in Samaria e un altro a Cipro. Quindi la parola “Oriente” potrebbe indicare altri Paesi a portata di cammello. Magari l’odierno Iraq, dove vennero rinvenute le celebri effemeridi babilonesi. Oppure la Penisola Arabica, dove sembra indirizzare l’ “analisi merceologica” del testo di Matteo: infatti l’unica regione che produceva tutti e tre i doni dei Magi (oro, incenso, mirra) era l’Arabia Felix, corrispondente agli attuali Yemen e Oman del Sud.
Ma se Matteo è così scarno di notizie, da dove provenivano tutti i dettagli della tradizione?
Dai Vangeli Apocrifi, ricchi di “notizie” anche divertenti e fantasiose. Ad esempio, il Vangelo armeno dice di conoscere la durata del viaggio dei Magi (nove mesi) e i loro nomi, e fa l’inventario del carico della loro carovana, che avrebbe trasportato più merci di un treno di molti vagoni: oltre all’oro, all’incenso e alla mirra, avrebbero avuto con sé anche aloe, porpora, mussolina, nardo, cannella, cinnamomo, argento, zaffiri, perle, lino, libri esoterici...
E non è tutto. Nello stesso testo si legge che i Magi erano tre fratelli, re di Arabi, Indi e Persiani; che avevano un seguito di 12 mila cavalieri: che a Betlemme furono preceduti
addirittura da Eva, risorta per l’occasione; infine che la rabbia di Erode per la nascita del Messia fu così violenta da causare un terremoto. Altrettanto immaginifico è il Vangelo arabo-siriaco, secondo il quale i Magi fecero ritorno in patria con un pannolino di Gesù, che tentarono poi di bruciare ritualmente sul fuoco sacro. Invano: le fiamme si spegnevano e il panno restava intatto.È ovvio che tutto questo non ha alcun valore storico, neanche alla lontana: prova solo la buona volontà di giungere il messaggio cristiano ai popoli orientali utilizzando temi e simboli a loro familiari. Per esempio, la storia del panno incombustibile era un’evidente metafora, un’allegoria studiata per dire ai Persiani zoroastriani che Gesù era più potente del loro fuoco sacro. E l’abnorme seguito dei 12 mila cavalieri era il tentativo di conciliare Cristo con una profezia di Zoroastro, secondo cui l’arrivo del Saoshyant (il Messia mazdeista) sarebbe stato accolto con onori regali. Così, in epoca più tarda, i “Tre Re” sarebbero stati identificati con le “Tre età” dell’uomo, mentre secondo un altro Vangelo Apocrifo del V secolo i Re Magi avrebbero avuto con sé un libro segreto, scritto da Adamo.

I Magi nell’arte


Nei secoli, l’iconografia dei Magi ha subìto un’evoluzione che li ha resi quasi del tutto irriconoscibili.
Le immagini più antiche sono le più vicine alla realtà: negli affreschi delle catacombe di
San Callisto, a Roma, e nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna, rispettivamente del IIIIV
e del VI secolo, Melchiorre, Baldassarre e Gaspare sono tutti di pelle chiara e indossano il tipico
berretto frigio dei sacerdoti zoroastriani. Inoltre, in cielo brilla una stella normale, priva
della caratteristica “coda”.
Tutto cambia fra il Duecento e l’inizio del Trecento: nel Duomo di Siena Duccio di Buoninsegna
sostituisce i berretti frigi con corone, mentre a Padova, nella Cappella degli Scrovegni, Giotto
trasforma per la prima volta la famosa stella in una cometa.
La mutazione continua nel Quattrocento: i “Tre Re” assumono l’atteggiamento di Signori rinascimentali,
e i cammelli vengono sostituiti da cavalli. Ad esaltare questa svolta delle cavalcature
è Benozzo Gozzoli, autore nella Cappella di Palazzo Medici-Riccardi, a Firenze, di una celebre
Processione dei Magi, che ritrae in realtà un corteo dei Medici dove Gasparre avrebbe, secondo
la tradizione, il volto di Lorenzo il Magnifico.
Ormai il racconto evangelico tende a trasformare sempre più le immagini della tradizione. Dilaga
la fantasia: a Mantova, il Mantegna dipinge un Magio di pelle nera, mentre nella Basilica bolognese
di San Petronio, Giovanni da Modena fa viaggiare i Magi per nave. Ancora più estroso,
infine, l’olandese Abraham Bloemaert, che in piena epoca barocca, nel Seicento, veste gli astronomi
zoroastriani con abiti simil-cardinalizi.

Ma se togliamo le corone e gli attributi regali cui siamo stati abituati dalla tradizione, come dobbiamo immaginare gli autentici Magi? Semplice: con pantaloni aderenti, tuniche corte, scarpe a punta ricurva, ampi mantelli sulle spalle, ma soprattutto con il capo coperto dai tipici “berretti frigi”, come l’elmo, per intenderci, in testa alla dea ritrovata di recente nel territorio di Castro, prima terra italiana avvistata dai troiani di Enea in fuga da Troia distrutta. In questo modo, almeno, li raffiguravano tutte le immagini paleocristiane, compreso un mosaico che una volta si trovava sulla facciata della Basilica della Natività a Betlemme.

Natale in versi

Notte fredda e stellata di Natale
sai tu dirmi la fonte onde zampilla
improvvisa la mia speranza buona?
È forse il sogno di Gesù che brilla
nell’anima dolente ed immortale
del giovane che ama, che perdona?

Umberto Saba


I Re Magi venian dall’Oriente

e chiedevano in ogni città:
“La sapete la via, buona gente?
Da che parte al presepe si va?”
Ma nessuno la seppe dir loro,
e i Re Magi ripreser la strada,
i Re Magi seguir l’astro d’oro,
che brillava cortese lassù...

Heinrich Heine


E così, forma breve d’inafferrabile rumore,

Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall’impura parola dell’uomo che suda.

Federico García Lorca


È Natale ogni volta

che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro...

Madre Teresa di Calcutta


Lontano era il campo della neve e il cimitero,

i recinti, le pietre tombali,
le stanghe di carri confitte nella neve,
e il cielo sul camposanto, pieno di stelle.
E lì accanto, sconosciuta prima di allora,
più modesta di un lucignolo
nella finestrella del capanno,
tremava una stella sulla strada di Betlemme.

Boris Pasternak

Dallo stesso deserto,
nella stessa notte,
sempre i miei occhi stanchi si destano
alla stella d’argento,
sempre,
senza che si commuovano i Re della vita,
i tre magi, cuore, anima, spirito...

Jean Nicolas Arthur Rimbaud


Vide attonita l’aria e il cielo immoto

e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto...
E poi Giuseppe vide in un momento
ogni cosa riprender movimento.
Tornò sopra i suoi passi, udì un vagito.
Gesù era nato, il fiore era fiorito.

Diego Valeri

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono.
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.

Giuseppe Ungaretti


Natale. Guardo il presepe scolpito,

dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo...

Salvatore Quasimodo


– Noi cercavamo Quei che vive... – entrato
disse Maath. Ed ella con un pio
dubbio: – Il mio figlio vive per quel fiato...
– Quei che non muore...– Ed ella: – Il figlio mio
morrà (disse, e piangeva su l’agnello
suo tremebondo) in una croce... – Dio –
Rispose all’uomo l’Universo: È quello!

Giovanni Pascoli

Come mago proveniente dalla Persia, e con il berretto frigio, l'offerente Gaspare, nel mosaico del VI sec. della Chiesa di Sant'Apollinare Nuovo,a Ravenna.

   
   
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