Giugno 2009

l’economia mondiale al tempo della crisi

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Alle origini
del libero mercato

Amartya Sen Premio Nobel per l’Economia
 
 

Mano invisibile.
Questi problemi erano già stati
individuati da Smith nel XVIII secolo, anche se poi sono stati
trascurati da
coloro che hanno gestito il potere
in anni recenti, in particolare negli Stati Uniti.

 

 

 

Nel XVIII secolo le opere innovative e pionieristiche di Adam Smith mostrarono l’utilità e il dinamismo dell’economia di mercato enucleando le ragioni per cui – e in particolare le modalità in base alle quali – quel dinamismo funzionasse.
L’analisi di Smith forniva una diagnosi illuminante dei meccanismi del mercato proprio quando quel dinamismo stava emergendo con forza. La sua opera, La ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776, fornì un grandioso contributo alla comprensione di quel fenomeno che fu definito “capitalismo”. Smith dimostrò in che modo la liberalizzazione del commercio potesse rivelarsi molto spesso estremamente utile nel generare prosperità economica tramite la specializzazione della produzione e la divisione del lavoro facendo buon uso delle economie su larga scala.
Quelle lezioni appaiono ancora oggi estremamente importanti (è interessante notare che il raffinato lavoro analitico sul commercio internazionale che è valso a Paul Krugman il Premio Nobel per l’Economia è strettamente collegato alle intuizioni di Smith, che risalgono a più di 230 anni fa). Le analisi economiche che hanno seguito quei primi studi dei mercati e l’uso del capitale sono riuscite a gettare solide basi per la creazione di un sistema di mercato nel corpus dell’economia dominante. Tuttavia, anche se sono stati spiegati e chiariti i contributi positivi apportati dal capitalismo, sono apparsi chiaramente anche i suoi lati negativi, e spesso proprio agli occhi di quegli stessi analisti. Pur se alcuni critici socialisti, in particolare Karl Marx, dall’alto della loro influenza hanno dimostrato le motivazioni per censurare e, in ultima analisi, soppiantare il capitalismo, gli enormi limiti del fare soltanto affidamento sull’economia di mercato e sulla motivazione del profitto erano ben chiari anche ad Adam Smith.

In verità, i primi fautori dell’uso dei mercati, compreso Smith, non consideravano il puro e semplice meccanismo di mercato come un fattore indipendente di eccellenza, e neppure sopravvalutavano la motivazione del profitto, considerandolo tutto ciò di cui ci fosse bisogno.
Anche se la gente ricerca i rapporti e le attività di scambio per perseguire il proprio interesse personale, tuttavia un’economia può operare efficacemente solo sulla base della fiducia fra le diverse parti. Quando le attività economiche, ivi comprese quelle delle banche e degli altri istituti finanziari, danno fiducia sulla capacità di saper mantenere le proprie promesse, le relazioni fra chi eroga e chi accende prestiti e mutui possono procedere speditamente e senza intoppi secondo modalità che si sostengono reciprocamente.
Come scriveva Adam Smith: «Quando la gente nutre questo tipo di fiducia nelle finanze, nell’onestà e nella prudenza di uno specifico banchiere, così da ritenere che egli sia sempre disposto, su richiesta, ad onorare i suoi pagherò, quelli avranno lo stesso valore della moneta sonante». Smith spiegava perché talvolta ciò non accadesse, e ritengo che non avrebbe trovato nulla di particolarmente sconcertante nelle difficoltà che oggi devono affrontare sia le banche sia le imprese in ragione della diffusa paura e sfiducia che sta congelando i mercati del credito.

ICP - Milano

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In questo contesto, considerando che il Welfare State, il cosiddetto Stato assistenziale, si realizzò molto dopo l’epoca di Smith, giova altresì ricordare che, nei suoi vari scritti, le costanti preoccupazioni e i timori per il destino dei poveri e dei meno fortunati avevano sempre un posto di primo piano.
Il fallimento più immediato dei meccanismi di mercato sta proprio nelle cose che il mercato lascia irrisolte e incompiute. L’analisi economica di Smith andava ben oltre il lasciare tutto in balia della “mano invisibile” del mercato. Egli non fu soltanto un difensore del ruolo dello Stato nel fornire i servizi pubblici, quali l’istruzione, e nell’attenuare gli effetti della povertà (oltre a chiedere più libertà per gli indigenti che ricevevano sostegno, molta più libertà di quanto le “Poor Laws” dell’epoca potessero fornire), ma fu anche sinceramente e profondamente preoccupato della disuguaglianza e della povertà che avrebbero potuto sopravvivere in un’economia di mercato altrimenti di successo.
La mancanza di chiarezza in merito alla distinzione fra il concetto di sufficienza del mercato e quello di necessità dello stesso è stata motivo di alcuni equivoci, relativi alla valutazione del mercato operata da Smith, ingenerati da molti di coloro che si professavano suoi seguaci. Ad esempio, la difesa fatta da Smith del mercato alimentare e le sue critiche in merito alle restrizioni imposte dallo Stato al commercio privato di cereali per uso alimentare sono state spesso interpretate come volontà da parte di Smith di sostenere che ogni tipo di interferenza da parte dello Stato avrebbe necessariamente aggravato il problema della fame e della povertà.
Ma la difesa fatta da Smith in merito al commercio privato voleva soltanto mettere in discussione il convincimento in base al quale bloccare il commercio di generi alimentari avrebbe ridotto il peso della fame. Ciò non vuol dire affatto negare la necessità di un’azione da parte dello Stato per integrare le operazioni del mercato, creando posti di lavoro e reddito (tramite programmi di sviluppo dell’occupazione).
Se la disoccupazione fosse aumentata enormemente in ragione delle pessime condizioni economiche o di una pessima politica pubblica, il mercato non avrebbe da solo potuto ricreare i redditi di coloro che avevano perso il posto di lavoro. Smith scriveva che i nuovi disoccupati «sarebbero morti di fame o sarebbero stati spinti a ricercare mezzi di sussistenza chiedendo l’elemosina o commettendo forse le più scellerate atrocità», e che «il bisogno, la carestia, la fame e la morte avrebbero immediatamente avuto la meglio». In sostanza, egli rifiuta gli interventi che escludono il mercato, ma non quelli che lo includono mirando a realizzare quelle cose importanti che il mercato potrebbe lasciare irrisolte o incompiute.
Storicamente, il capitalismo non si realizzò fintanto che i nuovi sistemi di prassi giuridica ed economica tutelavano i diritti di proprietà e rendevano praticabile un’economia basata sulla proprietà. Non fu possibile effettuare gli scambi commerciali finché la moralità economica rendeva i comportamenti contrattuali sostenibili e non costosi – ad esempio non richiedendo costanti citazioni in giudizio delle parti inadempienti. Gli investimenti in aziende produttive non poterono fiorire finché non furono ridotti i più elevati rendimenti provenienti dalla corruzione. Il capitalismo orientato al profitto ha costantemente tratto sostegno da altri valori istituzionali.

In anni recenti, gli obblighi e le responsabilità morali e giuridiche connesse alle transazioni sono diventati più difficili da definire, in virtù del rapido sviluppo dei mercati secondari che operano con i prodotti derivati e con altri strumenti finanziari. La responsabilità è stata fortemente minata e si sono rese ancora più necessarie supervisione e regolamentazione.
Eppure, in questo stesso periodo il ruolo di supervisione del governo degli Stati Uniti è stato drasticamente ridotto, in ragione della crescente convinzione delle capacità di auto-regolamentazione dell’economia di mercato. Proprio mentre cresceva l’esigenza di controllo da parte dello Stato, veniva meno la necessaria supervisione. Pertanto, il disastro si profilava imminente all’orizzonte e si è infine verificato lo scorso anno, il che ha di certo contribuito notevolmente a far scoppiare la crisi finanziaria che oggi divampa in tutto il mondo.
L’insufficiente regolamentazione delle attività finanziarie ha conseguenze non solo in termini di pratiche illegali, ma anche per le possibili eccessive speculazioni che, come sosteneva Smith, tendono a intrappolare nella loro morsa molti esseri umani alla spasmodica ricerca del profitto.
Smith definiva coloro che promuovono eccessivi rischi alla ricerca del profitto prodigals e projectors (vale a dire i prodighi e coloro i quali progettano iniziative chimeriche): una definizione che può ben rappresentare coloro che, negli ultimi anni, hanno concesso i mutui ipotecari “subprime”. Ad esempio, parlando delle leggi contro l’usura, Smith voleva che lo Stato tutelasse i cittadini da questi prodigals e projectors che promuovevano mutui rischiosi e non basati su solide garanzie.
Gran parte del capitale del Paese non sarebbe pertanto nelle mani di coloro che quasi certamente ne farebbero un uso proficuo e vantaggioso, ma sarebbe gettato nelle mani di coloro che con ogni probabilità lo scialacquerebbero o lo distruggerebbero. La fede implicita nella capacità del mercato di correggersi, che è largamente responsabile dell’eliminazione di regolamentazioni ben consolidate negli Stati Uniti, tendeva ad ignorare le attività dei prodigals e dei projectors in tale misura che avrebbe costituito un vero choc per Smith.
L’attuale crisi economica è in parte causata da un’enorme sopravvalutazione della saggezza dei processi di mercato, e la crisi è ora esacerbata dall’ansia e dalla mancanza di fiducia nei mercati finanziari e nelle imprese in generale – prese di posizione critiche che si sono dimostrate in modo evidente nelle reazioni di mercato e nella sequela di piani di stimolo, ivi compresi quelli varati da Barack Obama.
Come spesso accade, questi problemi erano stati già individuati da Smith nel XVIII secolo, anche se sono stati trascurati da coloro i quali hanno gestito il potere in anni recenti, in particolare negli Stati Uniti, che erano troppo intenti a citare Smith a sostegno dei mercati senza regole.

Sebbene Smith sia stato molto citato, anche se poco letto, dunque, in anni ancora più recenti si è registrato un enorme revival di John Maynard Keynes. Certo, la grave crisi che attualmente stiamo vivendo, e che ci sta spingendo sull’orlo della depressione, ha chiare caratteristiche keynesiane: i redditi ridotti di un gruppo di persone hanno portato ad una diminuzione degli acquisti, che ha causato a sua volta un ulteriore calo dei redditi degli altri.
Tuttavia Keynes ci può venire in soccorso soltanto fino a un certo punto, e vi è la necessità di guardare oltre le sue teorie per comprendere la crisi attuale. Un economista la cui importanza attuale è stata ben poco riconosciuta è il rivale di Keynes: Arthur Cecil Pigou, che, proprio come Keynes, era anch’egli a Cambridge, e in verità proprio al King’s College, all’epoca di Keynes.
Pigou era molto più interessato di Keynes alla psicologia economica e alle modalità con le quali essa poteva influenzare i cicli economici e acuire una recessione economica che avrebbe potuto spingersi sull’orlo della depressione (proprio come sta accadendo adesso). Pigou attribuiva le fluttuazioni economiche in parte alla “cause psicologiche” che portavano a variazioni nelle opinioni e nei comportamenti di coloro le cui azioni controllano l’industria, e che si manifestavano in errori dovuti a un eccesso di ottimismo o di pessimismo nelle loro previsioni economiche.
È difficile ignorare il fatto che oggi, oltre agli effetti keynesiani di declino che si rafforzano reciprocamente, siamo davvero in presenza di «errori dovuti… a un eccessivo pessimismo». Pigou si concentrava in particolare sulla necessità di sbloccare il mercato del credito quando l’economia è nella morsa di un eccesso di pessimismo. Uno dei problemi che Barack Obama deve affrontare è che la crisi dell’economia reale, che è stata provocata da una cattiva gestione finanziaria e da altre violazioni e trasgressioni, è stata di molto amplificata da un crollo psicologico. Come dimostrato finora dalla debole risposta del mercato alle misure adottate, ciascuna di queste politiche dovrebbe essere valutata in parte per gli effetti che ha sulla psicologia delle imprese e dei consumatori, in particolare negli Stati Uniti.
La differenza fra Pigou e Keynes è importante anche per un altro motivo. Anche se molto interessato alle modalità con le quali accrescere il reddito aggregato, Keynes era relativamente meno impegnato ad analizzare i problemi di un’ineguale distribuzione della ricchezza e del benessere sociale.
Al contrario, Pigou non solo scrisse il classico studio sull’economia del Welfare (The Economics of Welfare), ma è stato anche un pioniere della misurazione delle disuguaglianze economiche quale principale indicatore dell’analisi e della politica economica. Dato che le sofferenze dei più poveri e disagiati in ciascuna economia – e in tutto il mondo – meritano la massima attenzione, il ruolo di sostegno della cooperazione fra imprese e governo non si può limitare solo all’espansione, reciprocamente coordinata, dell’economia. Si ravvisa l’urgente necessità di prestare particolare attenzione ai poveri e agli emarginati della società nel programmare una risposta alla crisi attuale e nell’andare oltre le semplici misure che producono una generale espansione economica. Le famiglie minacciate dalla disoccupazione, senza assistenza sanitaria, dalla povertà e dalle privazioni a livello economico e sociale sono state duramente colpite. Si devono maggiormente riconoscere i limiti dell’economia keynesiana nell’affrontare i problemi di queste famiglie.

Un ulteriore aspetto sul quale le teorie di Keynes devono essere integrate riguarda il suo relativo disinteresse per i servizi sociali. In verità, anche Otto von Bismarck avrebbe avuto molto più da dire in materia, rispetto a Keynes. Il fatto che l’economia di mercato possa avere un effetto particolarmente negativo sulla fornitura di servizi pubblici è un tema che è stato dibattuto da alcuni dei principali economisti del nostro tempo, fra cui Paul Samuelson e Kenneth Arrow.
Ovviamente, questa è una questione di lungo termine, ma giova altresì prendere nota del fatto che la morsa della crisi potrebbe essere ben peggiore se l’assistenza sanitaria, in particolare, non fosse garantita a tutti. Ad esempio, in assenza di un servizio sanitario nazionale ogni posto di lavoro perso potrebbe provocare una maggiore esclusione dall’assistenza sanitaria di base, a causa della perdita di reddito e di occupazione che non consentirebbe di sottoscrivere un’assicurazione sanitaria di tipo privato.
Il revival di Keynes può contribuire molto all’analisi e alla politica economica, ma è necessario ampliarne la portata e il raggio d’azione. Anche se Keynes è spesso visto come una sorta di “ribelle” nell’ambito dell’economia contemporanea, resta il fatto che è quasi diventato il guru di un nuovo capitalismo che si è concentrato sul tentativo di stabilizzare le fluttuazioni dell’economia di mercato. Anche se Smith e Pigou hanno fama di essere economisti alquanto conservatori, molte delle felici intuizioni in tema di importanza delle istituzioni non di mercato e dei valori no profit si devono a loro, più che a Keynes e ai suoi seguaci.
Una crisi non pone soltanto una sfida immediata, che deve essere raccolta e affrontata. Fornisce anche un’opportunità di affrontare problemi a lungo termine, quando gli individui sono disposti a riconsiderare convenzioni e princìpi consolidati.


A mio parere, le attuali crisi economiche non richiedono un “nuovo capitalismo”, ma piuttosto una nuova comprensione di vecchie idee, quali quelle di Smith e quelle più recenti di Pigou, molte delle quali purtroppo sono state trascurate. È altresì necessaria una chiara percezione delle modalità in base alle quali operano effettivamente le diverse istituzioni e delle modalità con le quali tutta una vasta gamma di organizzazioni – che va dal mercato alle istituzioni dello Stato – possono andare ben al di là di soluzioni a breve termine e contribuire a creare un mondo economico più dignitoso.

 



   
   
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