Giugno 2009

corsi e ricorsi

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La lezione
di Robinson Crusoe

M.B. - D.M.B.  
 
 

Ceto medio.
Per Defoe,
Robinson Crusoe
è l’ideale
del commerciante che si trasforma
in gentiluomo,
per merito e per comportamento,
e non per nascita
o per eredità.

 

 

 

 

Il Robinson Crusoe di Daniel Defoe fu per Karl Marx nel suo Capitale una dimostrazione pratica della teoria del valore-lavoro. Per un Jean-Jacques Rousseau che aborriva la cultura libresca, questa guida naturalistica alla sopravvivenza era l’unico libro consentito nell’educazione di Emile. Per i lettori di massa – per quelli presenti e per quelli futuri – di questo bestseller internazionale dell’epoca della Rivoluzione commerciale e finanziaria, che andava scoprendo la cultura, Robinson Crusoe combinava l’avventura di evasione con lezioni di vita pratica e con numerose istruzioni per arricchirsi.
Per l’autore (che nel 1719 era ormai sessantenne) del primo romanzo britannico, scrivere era soltanto uno dei suoi tanti progetti di natura commerciale. Defoe era già famoso. Anzi, era già tristemente famoso, come autore di satire in versi e di libelli, come fondatore del primo tabloid (dalla cella della prigione in cui era detenuto per sedizione a mezzo stampa), come propagandista, come spia doppiogiochista che tuttavia aveva reso possibili il Trattato di Unione del 1719 (tra il Parlamento inglese e quello scozzese) e la Successione protestante al trono d’Inghilterra; ma anche come affarista bancarottiere, come scrittore di milioni di parole firmate con nomi sempre diversi, come consigliere per il commercio e per l’economia sia nei governi liberali sia in quelli conservatori, quando decise che c’erano segnali che il suo mercato comprava racconti di viaggi per mare, probabilmente stimolati dall’appena creata Compagnia dei Mari del Sud. Defoe era uno scrittore che trattava la comunicazione al modo di un affare redditizio. Di qui, il suo Robinson Crusoe.

Questo si verificava però anche nel momento in cui sia Londra con la bolla della Compagnia dei Mari del Sud sia Parigi con il crollo della Banca di Francia e la Compagnia del Mississippi erano finite sul lastrico per una crisi finanziaria indotta dai derivati tossici piazzati sui mercati internazionali del credito privi di regole.
La Compagnia dei Mari del Sud era stata creata per realizzare un obiettivo che Defoe aveva caldamente raccomandato al governo inglese sin dal 1688: proseguire «in esclusiva a partire dal primo di agosto del 1711 il commercio e il traffico da e per il Regno Unito e le terre dell’America, ad Est del fiume Aranoca alla parte più a Sud della Terra del Fuoco e a Ovest della suddetta parte più a Sud dell’America, e da e per tutti i Paesi all’interno di questi stessi confini, considerati proprietà della Corona di Spagna, oppure che in futuro verranno scoperti».
Defoe dunque approvava il fatto che il capitale della Compagnia finanziasse il 60 per cento del debito nazionale accumulato con la Guerra di Successione spagnola. Il problema fu che, con il Trattato di Utrecht del 1713, la Spagna non cedette gli attesi diritti commerciali.
Il crollo dell’economia britannica e di quella francese sopraggiunse esattamente nel 1720, ma per l’intero anno precedente, il 1719, quando vendette tutte le sue azioni della Compagnia, Defoe scrisse disperatamente contro la speculazione e a favore dei sinceri sforzi della Compagnia di commerciare e di fondare colonie nei Mari del Sud, in modo particolare nel Venezuela.

Nello Wrona

Nello Wrona

Nel mese di febbraio il suo nuovo romanzo, dal titolo La vita e le imprese di Sir Walter Raleigh, viene dedicato proprio alla Compagnia dei Mari del Sud con queste parole: «Devo dire che sarebbe la gloria della Compagnia imbarcarsi in una scoperta del genere […]. Per una compagnia mercantile sembra valere la pena di tentare di penetrare in questa parte del mondo, che è abitata da milioni di persone, perché i grandi numeri sono la fonte dei commerci e determinano il consumo dei manufatti […]. È un appello alla Gran Bretagna affinché faccia un tentativo del genere nella Guiana e nel Perù, e poiché adesso non può essere fatto se non con l’autorità e con il permesso della Compagnia dei Mari del Sud di Sua Maestà, l’impresa sembra essere suo precipuo dovere: la loro carta parte dal fiume Orinoco e non è possibile tentare senza di essa».
Poi Defoe (questa volta in qualità di giornalista) il 7 febbraio 1719 tentò di fare pressione sulla Compagnia lanciando sul suo Weekly Journal la seguente storia: «Ci aspettiamo, in un paio di giorni, una proposta ardente della Compagnia dei Mari del Sud oppure da una corporazione di mercanti che si considera sua parente, per fondare una colonia britannica, sulla base della carta della Compagnia, sulla terraferma o sul lato più a Nord della foce del grande fiume Oroonoko. Essi propongono, a quanto abbiamo sentito, di creare laggiù una fabbrica e un insediamento, che alla Compagnia costeranno 500 mila sterline, e di chiedere al governo di fornire sei navi da guerra e quarantamila soldati con qualche tecnico e cento cannoni e magazzini militari in proporzione per sostenere e difendere il progetto».
Si sarebbe fondata anche un’altra colonia, risalendo il fiume per 1.200 miglia, con commerci del tutto simili a quelli dispiegati dai portoghesi nelle terre brasiliane, costituendo in questo modo un mercato immenso per i manufatti britannici.

Ancora in Robinson Crusoe, pubblicato nel mese di aprile del 1719, vediamo che Defoe, l’esperto cartografo, fa naufragare il protagonista del suo romanzo in un’isola al largo dell’estuario dell’Orinoco, abbastanza vicina da essere visitata dai cannibali a bordo delle loro canoe, ma anche abbastanza lontana da sfuggire agli interessi degli spagnoli.
Qui un uomo irrequieto e intraprendente del “ceto medio”, il quale aveva già visto quanto denaro si potesse fare grazie ad una piantagione in Brasile, utilizza le sue capacità di contabile e di artigiano per rendere l’isola abitabile, quasi fosse un’altra Inghilterra, con un clima adatto alle messi europee e simultaneamente al bestiame addomesticato. Su tutto questo lui domina come quel gentiluomo di campagna che sarebbe diventato al suo ritorno in terra britannica, carico dell’oro che si era procacciato in Brasile.

Nello Wrona

Nello Wrona


Per Defoe, Robinson Crusoe è l’ideale del commerciante che si trasforma in gentiluomo, per merito e per comportamento, e non per nascita o per eredità. Questa era un’altra invenzione di quel “capitalismo aristocratico” della Rivoluzione commerciale, in cui un uomo può “farsi un nome”, che aveva tanto impressionato Voltaire nei suoi due anni di esilio in Gran Bretagna, dove era riuscito a riparare in fuga dalla Francia per salvare la sua vita di borghese che aveva osato insultare un cavaliere.
Crusoe, che dal canto suo era riuscito a sfuggire alla schiavitù berbera, insegna a Venerdì l’inglese e la tecnologia-ideologia della sua civiltà e lo istruisce affinché sia «un cristiano migliore di me».
Robinson Crusoe è un programma di quanto la Compagnia dei Mari del Sud dovrebbe fare nel 1719 con gli interessi ricevuti dal governo per il consolidamento del debito nazionale, anziché usarli per creare isteria sui mercati finanziari stimolando artificiosamente il valore di quelle azioni da 100 sterline che Defoe aveva venduto a 120. Nel mese di gennaio del 1720 le stesse azioni valevano 128 sterline, nel successivo mese di marzo ne valevano 330, a maggio 550, a giugno 890, a luglio addirittura 1.000 sterline. Si era in piena bolla speculativa.
E, infatti, arrivò il crollo, provocato dal “Bubble Act” (la legge che sottoponeva a controlli la creazione di Società per Azioni) e dall’insider trading: nel mese di settembre il valore delle azioni era precipitato a 124 sterline. Le società «per dare vita a un’impresa di grande profitto, ma nessuno sa di che cosa esattamente si tratti» e le società «per sviluppare il moto perpetuo» valevano zero.
Posso misurare il moto dei corpi, ma non l’umana follia, dichiarava Isacco Newton. Il quale personalmente aveva perso in questa vicenda 20 mila sterline.

 

   
   
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