Giugno 2009

Politiche migratorie in Europa
e demografia delle due rive del mediterraneo

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Il nostro Maghreb (quotidiano)

Youssef Courbage
Sabrina Greco

Institut National d’Etudes Démographiques, Paris
Università degli Studi, Bari

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

Il Maghreb, arrivato tardi sulla scena migratoria internazionale, tende a diventare una delle principali aree dell’emigrazione internazionale. A tal proposito, se i maghrebini, da sempre fedeli alla tradizione migratoria del loro famoso antenato Ibn Battouta, che si insediò come giudice di pace fino… alle Maldive, crearono e creano sempre comunità in tutto il mondo, dall’Australia alla Terra del Fuoco, espatriarono maggiormente soltanto ad alcune centinaia di chilometri, cioè nei Paesi più vicini dell’Europa occidentale.
Altra sorprendente caratteristica dell’emigrazione maghrebina è la rarità dell’emigrazione verso i Paesi fratelli, maghrebini o arabi. Nonostante le economie floride di questi ultimi, molto desiderosi di manodopera straniera, il loro interesse nei confronti di nuovi lavoratori maghrebini è stato più limitato. La Tab. 1, lo dimostra per il Marocco e consente di gerarchizzare i Paesi di accoglienza per ordine d’importanza relativamente all’immigrazione maghrebina.
La politica migratoria, sebbene non si riferisca esplicitamente all’immigrazione maghrebina, sarà presentata in quest’ordine.
Riguarda generalmente l’insieme dei cittadini dei Paesi detti terzi (del Terzo Mondo?), secondo il gergo dell’Unione europea. Osserviamo, tuttavia, che l’estrema mobilità della migrazione maghrebina e il suo dinamismo permettono di adattarsi abbastanza facilmente alla congiuntura economica o politica, rivelando incessantemente nuovi orizzonti.
È molto probabile che l’emigrazione dei prossimi decenni non seguirà più le stesse tendenze dei precedenti quarant’anni, pertanto, si abbandoneranno quei Paesi valutati in passato e se ne sostituiranno dei nuovi.
Non si può escludere tuttavia un certo tropismo, che porta i maghrebini in assoluta priorità verso la Francia. Sembra logico accordare ad ogni Paese gli sviluppi secondo la sua importanza quantitativa. Ciò significherebbe mettere da parte i frequenti rovesciamenti della storia, della storia demografica in particolare. Chi avrebbe pensato che due Paesi d’emigrazione, come l’Italia e la Spagna, sarebbero diventati le zone più attrattive e più dinamiche dell’emigrazione straniera a partire dagli anni Settanta?
E l’Europa? È vero che l’immigrazione fa parte delle competenze europee e tutti penseranno ad una delle sue realizzazioni più tangibili, lo Spazio Schengen, che ha dato origine al visto dallo stesso nome. L’idea di una politica europea dell’immigrazione è però errata, dal momento che ci sono ancora delle differenze nazionali molto importanti: «L’Europa è veramente plurale e certamente lo resterà ancora a lungo».1

La Francia: dalle regolamentazioni
all’immigrazione scelta?

L’immigrazione in Francia ha tradizionalmente perseguito due obiettivi: risolvere provvisoriamente le debolezze inerenti alla demografia – naturale – francese e permettere all’economia francese di aggirare le strozzature legate alla debolezza della sua popolazione attiva. La Francia è stata infatti un secolo prima delle altre potenze europee all’avanguardia nella transizione demografica, nel controllo delle nascite e nel calo della fecondità. Questo modernismo aveva il suo lato negativo.
La Francia pensava di pagare cara questa perdita di vitalità demografica di fronte alle potenze rivali, in particolare la Germania, più potente economicamente e più dinamica demograficamente. Per di più, si è aggiunto il contenzioso della guerra del 1870 e la successiva perdita dell’Alsazia-Lorena.
L’immigrazione diventerebbe il palliativo al calo della natalità? Tanto più che la debolezza demografica non avrebbe tardato ad intaccare il potere economico. È il motivo per cui il padronato francese ha giocato un ruolo basilare, in particolare grazie alla Società Generale d’Immigrazione. La preferenza andava naturalmente agli immigranti europei piuttosto che a quelli originari d’oltremare. Furono quindi i proprietari che organizzarono la logistica per fare venire in Francia con interi treni gli operai polacchi, come più recentemente negli anni Cinquanta e Sessanta fu la volta dei contadini del Rif o del Sous del Marocco o di Kabylie in Algeria, affinché lavorassero nelle catene di Renault o nelle miniere di carbone del Nord o dell’Est.

Tab. 1. Popolazione marocchina residente all’estero per ordine d’importanza

Paesi                                             Effettivi              % Totale               % Europa
Francia                                        1.113.176                 36,0                     42,5
Spagna                                           423.933                 13,7                     16,2
Paesi Bassi                                     300.332                   9,7                     11,5
Italia                                              298.949                   9,7                     11,4
Belgio                                            293.097                   9,5                     11,2
Germania                                       102.000                   3,3                       3,9
Altri Paesi d’Europa                        85.384                   2,8                       3,3
Paesi arabi                                     282.772                   9,2
America, Africa, Asia, Oceania      189.447                   6,1
Totale                                         3.089.090               100,0                   100,0

Sta di fatto che nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale la preoccupazione delle autorità francesi non era esclusivamente economica per timore di mancanza di manodopera; la dimensione populazionista era sempre presente nello spirito di queste autorità. L’ordinanza del 2 novembre 1945 e la creazione dell’Ufficio Nazionale dell’Immigrazione così come il rilascio di carte di soggiorno di 1, 5 e 10 anni, si collocano sulla linea dell’incoraggiamento ad un’immigrazione duratura, grazie al ricongiungimento familiare e all’acquisizione dei diritti che variano con la durata della residenza. Queste disposizioni cercarono di favorire l’integrazione degli immigrati. Il rovesciamento della congiuntura a metà degli anni Settanta e il declino dei “Trenta Gloriosi” (espressione coniata dall’economista Jean Fourastié per evidenziare l’eccezionale ondata di sviluppo con incrementi delle capacità produttive, che interessò i Paesi capitalistici dell’Occidente e anche quelli del blocco comunista nel trentennio 1946-1975, N.d.R.) misero fine alla politica d’immigrazione quasi illimitata e alla sua sostituzione attraverso il controllo dei flussi migratori.
A partire dal 1972, il conseguimento di una carta di soggiorno non fu più automatico, ma condizionato dal permesso di lavoro (circolari Fontanet-Marcellin). Il presidente Valéry Giscard d’Estaing volle fermare le nuove immigrazioni, ma autorizzò il ricongiungimento familiare. Fin da questo periodo, si sono iniziate a distinguere, artificiosamente, due categorie: l’immigrazione per lavoro e l’immigrazione familiare, dimenticando il carattere multiforme dell’immigrazione e i passaggi, frequenti, tra i due aspetti. Una giovane sposa può lavorare dopo essere entrata come coniuge di un residente straniero, un ragazzo cresce, cerca e trova un’occupazione con difficoltà variabili.
Al contrario, un immigrato attivo reclutato come tale invecchia ed esce dalla categoria dei lavoratori. È dunque un’idea abbastanza superata come l’aveva già preannunciata Georges Tapinos fin dagli anni Settanta, in un’epoca in cui i dipendenti bambini, donne, anziani erano praticamente assenti dalla piramide delle età degli immigrati e dove i rapporti di mascolinità superavano a volte i 150 uomini per 100 donne. «Qualsiasi immigrazione di manodopera induce necessariamente dopo un lasso di tempo più o meno lungo secondo le nazionalità e le circostanze un’immigrazione familiare. Una politica della manodopera stricto sensu non trova conferma nell’esperienza. I meccanismi giuridici, la distanza geografica o culturale possono frenare o accelerare il ricongiungimento familiare; soltanto delle misure molto restrittive e sottomesse ad un controllo rigoroso sono tali da impedirlo».2
Il rovesciamento del 1975 segna un netto inasprimento nei confronti degli immigrati: alla carota, aiuto al ritorno assistito grazie al million Stoléru, si preferisce più spesso il bastone, indurimento delle condizioni d’entrata nel territorio francese (Legge Bonnet) ed espulsione dei clandestini. L’avvento dei socialisti al potere nel 1981, intersecato dal ritorno della Destra al potere nel 1986 e l’istituzione delle leggi Pasqua, non significa ipso facto un’apertura all’immigrazione; da qui la dichiarazione ambigua del Primo ministro Michel Rocard: «La Francia non può accogliere tutta la miseria del mondo, ma occorre soltanto che essa prenda la sua parte». Ci saranno due campagne di regolarizzazione dei clandestini, un’elasticità delle condizioni di soggiorno degli stranieri e un’abolizione del premio d’aiuto al ritorno, come pure un permesso unico di soggiorno di dieci anni, separato dal permesso per lavoro.
Si può supporre che la legge del 24 luglio 2006, o Legge Sarkozy, guiderà la politica migratoria dei prossimi anni, almeno cinque, se non dieci anni? Questa legge molto prolissa – 38 pagine di testo – deve guidare la politica relativa all’immigrazione e all’integrazione. La giurisdizione è ovviamente l’attributo principale, ma l’immigrazione può facilmente sfuggire alle regolamentazioni. Obbedisce a considerazioni d’ordine globale, demografiche, politiche, morali e ideologiche che hanno poco a che vedere con le regolamentazioni in vigore.
Da qui il pragmatismo forzato delle autorità, costrette dalle pressioni esterne (associazioni dei diritti dell’uomo, ma anche dei datori di lavoro) a “mettere l’acqua nel loro vino” (è tanto più vero, poiché si tratta di impiegati nel settore della ristorazione) e accettare disposizioni che possono violare lo spirito della legge, come la regolarizzazione di alcuni clandestini nell’aprile dello scorso anno.


Rispetto alle precedenti leggi di cui il carattere restrittivo è andato crescendo fino a quella del 2003, subordinazione del conseguimento della carta di residente ad un criterio d’integrazione, rafforzamento della lotta contro l’immigrazione clandestina, sistema della “doppia pena”, quella del 2006 manifesta ancora un’inflessione. I criteri di ammissione nel territorio per motivi di ricongiungimento familiare dovranno essere irrigiditi prioritariamente rispetto all’immigrazione per lavoro e lo Stato effettuerà una scelta selettiva secondo i posti vacanti offerti dal mercato dell’occupazione e l’attitudine degli stranieri ad occupare i posti di lavoro liberi. Lo straniero deve rispettare un contratto di accoglienza-integrazione, che comprende una formazione civica e un apprendimento del francese di base (leggere un indirizzo, l’itinerario di un autobus, compilare un formulario, chiedere un’informazione…), con la chiave del controllo delle conoscenze e un “diploma” al termine degli studi, per ottenere il permesso di soggiorno di dieci anni, il “cerimoniale” della concessione della nazionalità francese, anche per i giovani arrivati prima dell’età di 16 anni. Il ricongiungimento familiare, che dovrà richiedere 18 mesi di soggiorno e non più 12, potrà essere ottenuto soltanto se vengono correttamente dimostrati un lavoro e un alloggio. Potrà essere rifiutato in alcuni casi, come la poligamia, e il permesso di soggiorno del coniuge potrà essergli ritirato in caso di rottura della vita comune. La ricondotta alla frontiera sarà automatica dopo il rifiuto del permesso di soggiorno allo straniero. La regolarizzazione automatica dopo 10 anni di clandestinità è eliminata e sostituita da uno studio caso per caso. Si potrebbe moltiplicare all’infinito l’enunciato delle clausole restrittive di questa legge sull’immigrazione “scelta”. François Héran la definisce come «nativista e sovrana» 3. Il controllo dei flussi migratori è accompagnato da obiettivi qualitativi e quantitativi. L’obiettivo qualitativo è ben riassunto dalla denominazione del nuovo Ministero, inizialmente “dell’Immigrazione e dell’Identità Nazionale”, al quale si è aggiunto in fin dei conti “l’Integrazione” e il “Co-Sviluppo” per rendere meno violento il confronto della coppia immigrazione/identità nazionale.
L’obiettivo quantitativo è di diminuire la migrazione familiare, considerata come “subita”, e di ripristinare l’immigrazione per lavoro “scelta” dalla Ragion di Stato per rispondere meglio agli imperativi economici e demografici (prospettive di crescita, necessità del mercato, capacità di accoglienza...).
In qualsiasi logica, come sostiene F. Héran, questa politica – che non è esplicitamente pro-natalista – condurrà paradossalmente ad una diminuzione della crescita demografica. Il saldo migratorio globale dovrà abbassarsi, o più esattamente il saldo per gli stranieri: la diminuzione delle entrate nette “subite” per ricongiungimento familiare (e diritto d’asilo) supera in gran parte le entrate nette “scelte” di lavoratori (e di studenti di alto livello). Su un altro registro, ma correlato a quello dell’immigrazione, le condizioni di conseguimento dei visti di circolazione per gli algerini (6 giugno 2007) e quelle per i tunisini (28 aprile 2008) sono state un po’ ridotte per alcune categorie, come gli scienziati e gli intellettuali, e i termini di conseguimento abbreviati ad una settimana dopo avere raggiunto due, perfino tre settimane. Dopo la “immigrazione scelta”, arriva il tempo della “circolazione scelta”.
F. Héran dà un’interpretazione alternativa della Legge Sarkozy, la quale consiste nel trovare che la parte più originale della legge non è la chiusura mediante l’irrigidimento delle misure d’ingresso, di soggiorno o di ricongiungimento familiare, ma la riapertura delle frontiere grazie alla migrazione per lavoro, direttamente o indirettamente grazie agli studi universitari. Una migrazione per lavoro indispensabile per compensare i pensionamenti della generazione del baby-boom e per sostituire le occupazioni che non vogliono più i francesi. È anche prevista la possibilità per gli studenti stranieri di restare a lavorare in Francia, se il Paese di partenza è d’accordo. Le migrazioni circolari tra la Francia e il Paese di partenza, con un andirivieni dei quadri di alto livello, sono immaginate anche allo scopo di rallentare il brain drain (fuga di cervelli, N.d.R.).

Nello Wrona

Nello Wrona

Sono misure simpatiche, ma sembrano al massimo in gran parte non realistiche e, peggio, eminentemente burocratiche, con un doppio controllo effettuato sugli immigranti, quello del Paese d’accoglienza e quello del Paese d’origine. Ci si può così porre delle domande sulla fattibilità della politica di co-sviluppo, che è parte intrinseca di questa legge e sul suo contributo effettivo al controllo dei flussi migratori. Era stato mostrato, in particolare da Georges Tapinos, che lo sviluppo economico in una prima fase tende ad inasprire i movimenti emigratori piuttosto che frenarli.


Spagna: soprattutto pragmatica

La Spagna, secondo Paese d’immigrazione marocchina, più di 600.000 nel 2007, aveva la vocazione ad esportare i suoi nazionali piuttosto che l’inverso. Le capacità economiche in epoca franchista non erano brillanti, considerando la sua forte fecondità di circa tre bambini per donna. L’europeizzazione della Spagna ha cambiato la distribuzione e il primo riflesso è stato di chiudere le sue frontiere non soltanto riguardo al Maghreb, ma anche all’America Latina, che per un’ironia della storia è diventata una terra d’emigrazione ispanica dopo essere stata colonizzata e popolata dalla Spagna.
Nel 1985 fu promulgata una prima legislazione destinata a chiudere le frontiere e proibire l’immigrazione clandestina, sotto la pressione europea 4. La legge sugli stranieri del 1985 è di fatto la prima in Spagna ad imporre i permessi di soggiorno e di lavoro agli stranieri. Le prime preoccupazioni economiche dell’immigrazione apparivano con la necessità di non fare concorrenza alla manodopera nazionale. Nel 1996, la regolamentazione prese in conto il ricongiungimento familiare e i diritti educativi e sanitari dei nuovi arrivati, ma non i diritti politici o il diritto all’alloggio. Il governo socialista permise agli illegali alcuni diritti dopo l’iscrizione nei registri comunali e di acquisire alcuni diritti di base. I clandestini non erano sistematicamente espulsi.
Con la fine dei socialisti e l’arrivo al potere di Aznar, le condizioni di soggiorno e di ricongiungimento familiare furono inasprite e le espulsioni più frequenti. Ad esempio, una persona “ricongiunta” poteva perdere il diritto di residenza in caso di divorzio. I clandestini persero il diritto alla registrazione nei municipi e perciò la copertura sanitaria e i diritti sociali. Il ritorno dei socialisti al potere nel 2004 permise la ripresa di una situazione più favorevole a quella antecedente il 2000 e soprattutto fu l’occasione per la più grande operazione di regolarizzazione della storia, con grave danno per gli altri Paesi europei, che temevano di essere invasi dall’ondata dei regolarizzati, a causa della libertà di circolazione nello Spazio Schengen.
Tuttavia, per fare “buon peso” il governo permise la regolarizzazione di una ventina di migliaia di clandestini, seguita nel 1991 da una regolarizzazione più massiccia che riguardò 50.000 marocchini (per 116.000 stranieri). Ce ne saranno altre numerose nel 2000 e nel 2002, prima di quella colossale del 2005.
La regolarizzazione ebbe il suo lato negativo con l’imposizione del visto d’ingresso in funzione dello Spazio Schengen. A partire dal 1993, vi fu l’istituzione della famosa politica delle quote: per Paese (che ricompensa i Paesi che accettano di firmare degli accordi sul ritorno dei respinti), per provincia, per durata, lavoratori stagionali o permanenti e per professione. «Una burocrazia formidabile per un magro risultato», secondo François Héran, che dà l’esempio divertente della provincia d’Almeria, autorizzata a reclutare nel 2004: 150 conducenti di autocarri, 25 camerieri, 20 operai edili, 15 elettricisti, 15 collaboratori domestici, 10 saldatori, 10 sterratori, 5 meccanici di macchine agricole e 5 braccianti (!), tenuto conto che l’Almeria fornisce di primizie tutta l’Europa.

Matino (Lecce): A cura dell’Ass. UPE cittadina, il monumento in ricordo di tutti gli emigranti nel mondo. - Nello Wrona

Matino (Lecce): A cura dell’Ass. UPE cittadina, il monumento in ricordo di tutti gli emigranti nel mondo. - Nello Wrona


Queste misure cedettero poi di fronte ad una formidabile operazione di regolarizzazione nel 2005. Si presentarono circa 700.000 richiedenti, con un tasso d’accettazione dell’83%, 573.300 permessi di soggiorno furono concessi a vecchi illegali, di cui 65.000 marocchini. Il sistema delle quote fu abolito con libertà d’insediamento e di cambiamento di professione.


Italia: un altro Eldorado migratorio


L’Italia, molto più ricca e sviluppata della Spagna, dopo la Seconda guerra mondiale si trovava in una configurazione demografica simile a quella della Spagna, con una fecondità relativamente alta soprattutto nel Mezzogiorno e un’importante emigrazione oltremare verso i Paesi europei e verso l’America del Nord e del Sud. Poi, con la grande svolta nel decennio Settanta, l’Italia ha scoperto la vocazione come Paese d’immigrazione.
Nel 1998, la legge Turco-Napolitano ha istituito come in Spagna un sistema complicato di quote di impiego degli immigrati per settore d’attività economica e per regione. Ogni anno un decreto doveva fissare i flussi tollerati. Una commissione sull’Integrazione degli Immigrati creata nel 1998 prevedeva i fattori che favorivano l’integrazione degli immigrati: il ricongiungimento familiare, l’istruzione, l’alloggio, la salute, la cittadinanza, la partecipazione politica,… o la inibivano, come la discriminazione e la criminalità. Questa Commissione insisteva sull’alto grado d’apertura degli italiani verso gli immigrati: accettazione della diversità culturale, della naturalizzazione degli stranieri e della concessione del diritto di voto.

Liverpool: Una famiglia di emigranti nella statua che la città ha dedicato alle migliaia di persone espatriate in cerca di lavoro. - Lydia Honeypot

Liverpool: Una famiglia di emigranti nella statua che la città ha dedicato alle migliaia di persone espatriate in cerca di lavoro. - Lydia Honeypot


L’impossibilità pratica della burocratizzazione della regolamentazione del lavoro ha spinto presto il governo seppur di Destra, nel 2002, a ricorrere ad una vasta operazione di regolarizzazione in attesa di risanare la situazione (sanatoria): è la legge Bossi-Fini, dal nome dei due dirigenti di Alleanza Nazionale e della Lega Nord. Tutto ciò nonostante un quadro legale molto restrittivo. 5
È il grande paradosso dell’Italia che la regolarizzazione abbia avuto luogo sotto un regime di destra con una Lega Nord xenofoba e un Primo ministro i cui punti di vista sull’Islam, principale religione degli immigrati tunisini, marocchini, albanesi, kossovari, somali, erano almeno sentenziosi: furono le edizioni di Berlusconi a pubblicare il pamphlet di Oriana Fallaci La rabbia e l’orgoglio, più di un milione di copie vendute soltanto in Italia. Il pragmatismo degli italiani ha ignorato le ideologie.
Su 702.000 domande effettuate sono state accettate 647.000. Questo tasso d’accettazione, il 92%, mostra che il governo italiano non ha picchiato sodo sulle regolarizzazioni. È vero che più della metà dei lavoratori regolarizzati si concentrava nel settore dei servizi alle famiglie, settore particolarmente strategico, tenuto conto dell’invecchiamento accelerato della popolazione, raddoppiato da un individualismo che lascia poco spazio ai genitori anziani all’interno del nucleo familiare.
Tuttavia, una mano di ferro continuava a colpire i clandestini, di cui più di 54.000 furono espulsi nel 2005: un ordine di grandezza elevato, più di 2 volte che in Francia, 20-25.000. In Veneto e nel Friuli, regioni classificate a destra sulla scacchiera politica, la congiunzione demo-economica, bassa fecondità, a volte inferiore ad un bambino per donna e la forte crescita del PIL rendono preziosa la presenza degli immigrati. È la terra delle piccole industrie a forte richiesta di manodopera, dove è frequente trovare marocchini, africani, asiatici… operai, ma anche capomastri e caposquadra, a volte anche proprietari. Inoltre, sono spesso le regioni di destra ad aver spinto più lontano le strutture che permettono l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati in attesa di stabilizzarsi. È frequente conciliare, come per il sindaco di Treviso, un discorso duro, razzista e xenofobo di “tolleranza zero” verso gli immigrati con delle azioni più sorridenti – interessate certamente – a favore degli immigrati.

Nello Wrona

Nello Wrona


Occorre vedere anche quanto spazio questa politica restrittiva lasciava ad una grande apertura nei fatti. Le quote sono state raddoppiate: 79.000 occupazioni offerte a lavoratori stranieri nel 2004, 159.000 nel 2005 e 170.000 (metà Paesi terzi, metà nuovi Stati membri dell’Unione europea) anticipate prima che Berlusconi passasse la mano a Prodi nel 2006. Sono ordini di grandezza che lasciano sognare; soltanto l’immigrazione legale dei lavoratori contava per un terzo delle nascite (31,5%) e quattro volte più della crescita naturale (quando era ancora positiva…).
Il contributo migratorio era a favore dei Paesi firmatari degli accordi di lotta contro la migrazione clandestina, fra cui il Marocco (ma anche la Tunisia, l’Egitto, l’Albania…). Con il governo Prodi, i flussi si accelerano. Nel luglio 2006, ai 170.000 lavoratori stranieri previsti nella quota del precedente governo vennero ad aggiungersi altri 350.000, richiesti dagli imprenditori o dalle famiglie. Ora la grande maggioranza era già sul posto in Italia. Perché rinviarli come clandestini per riportarli alcune settimane più tardi?
Il decreto del 2007 prevede la soppressione del sistema delle quote. L’idea centrale del governo Prodi era di siglare accordi con i Paesi di partenza per organizzare un’immigrazione controllata, mentre quella del governo Berlusconi privilegiava la lotta contro l’immigrazione clandestina. La legge sulla nazionalità potrebbe essere modificata per rispecchiare il diritto del suolo più di quello di sangue. Cinque anni di soggiorno basteranno per ottenere la nazionalità italiana, contro i dieci anni della precedente legge del 1992. Inoltre, il problema era di dare il diritto di voto agli immigrati alle elezioni locali.

Germania: dal Gastarbeiter
all’emigrazione regolamentata

Per il Marocco e ancor più per gli altri Paesi del Maghreb, la Germania con un centinaio di migliaia di residenti marocchini è una destinazione marginale.
Tuttavia, la facilità con la quale i maghrebini emigrano verso destinazioni poco ovvie, con le quali hanno pochi legami, come i Paesi Bassi, e una demografia tedesca molto sfavorevole, dunque propizia all’immigrazione, potrebbero cambiare nei prossimi decenni la distribuzione migratoria verso la Germania.
La Germania non ha mai voluto essere Paese d’immigrazione, nonostante l’insediamento di 3,6 milioni di immigrati dalla fine della guerra fino al 1975. La crisi economica ha rallentato l’immigrazione tra il 1975 e il 1985, senza annullarla. Con la fine della Guerra Fredda sono 6,8 milioni gli immigrati aggiuntivi che si sono insediati in Germania tra il 1985 e il 2005. Nonostante ciò, per circa due milioni di turchi la presenza in Germania doveva essere quella di “lavoratori invitati” e non quella di immigrati definitivi. Si voleva il lavoro, ma non gli individui. La legge del sangue impediva inoltre l’acquisizione della nazionalità tedesca. La notevole eccezione fu l’immigrazione dei tedeschi etnici dell’Europa dell’Est e della Russia (aussiedler), che furono accolti a milioni e ricevettero automaticamente la nazionalità tedesca.
La legge sull’immigrazione del 2005, nata dopo tre anni di interminabili discussioni, non ha cambiato molto le restrizioni ufficiali dell’immigrazione. È vero che in Germania le questioni relative all’immigrazione e all’identità nazionale non sono facili da regolare. È la migrazione per lavoro che è necessaria. L’impiego di uno straniero deve essere giustificato, senza un’offerta di lavoro stabile è impossibile ottenere un permesso di soggiorno. L’ufficio dell’occupazione rilascia l’autorizzazione e il permesso di soggiorno soltanto se non c’è un tedesco (o un altro cittadino dell’UE) per provvedere a questa occupazione. Tuttavia, è possibile riunire i membri del nucleo familiare e ottenere di conseguenza un permesso di soggiorno.
In compenso, per il personale altamente qualificato: scienziati e professionisti i cui redditi superano 85.000 euro (la cifra più elevata dell’Europa, l’Austria ad esempio esige la metà di quest’importo), non si fa la fine bouche: il permesso è accordato ipso facto, così come per la loro famiglia, ugualmente autorizzata a lavorare.


Gli imprenditori privati sono bene accolti, purché possano creare almeno dieci posti di lavoro o che investano 1 milione di euro. Gli studenti stranieri possono restare un anno in più dopo il diploma in attesa di cercare un’occupazione conforme alla loro qualifica.
Questa legge è arrivata più di vent’anni dopo il programma d’immigrazione dei “Gastarbeiter” (lavoratori ospiti), che si è completato nel 1973. Nel frattempo, ci sono stati l’improvvisazione e il regolamento tutto d’un colpo, come nel 2000 quando il governo Schroeder decise di dare permessi di residenza ad informatici, soprattutto indiani. Si evocava sempre più un sistema di quote.
Una delle principali difficoltà dell’integrazione degli immigrati non-europei o di quelli che non sono di origine tedesca era la legge sulla nazionalità, che risale al 1913 e limita la nazionalità soltanto alla filiazione (diritto di sangue). Dal 2000, la nuova legge crea il diritto di suolo, specificando che il figlio di genitori stranieri ottenga automaticamente la nazionalità tedesca se alla sua nascita uno dei genitori risiede in Germania almeno da otto anni.
Ugualmente, le modalità di naturalizzazione per lo straniero sono semplificate dopo otto anni di soggiorno regolare in Germania. Per il coniuge occorre rinunciare alla sua nazionalità d’origine (questo è impossibile per i maghrebini), giustificare la sua assimilazione alla vita tedesca (?), una conoscenza sufficiente del tedesco, una vita in comune di due anni e un soggiorno di tre anni in Germania.
Non si immagina l’intensità dei dibattiti che hanno condotto all’adozione di questa nuova legislazione tra i protagonisti della “cultura tedesca”, i quali temevano che venisse danneggiata dai flussi migratori e dalle naturalizzazioni, e quelli che affermavano che non esiste più una cultura tedesca, essendo quella tedesca una società caleidoscopica.

Quale significato
per i Paesi delle rive del Mediterraneo?

Soprattutto, occorre porre il problema globale dell’emigrazione nel mondo e in Europa. In un contesto di globalizzazione se non d’americanizzazione, di liberalismo economico sempre più selvaggio, le politiche pubbliche in materia d’immigrazione hanno ancora un senso? Gli Stati Uniti, che impongono la loro visione nella maggior parte se non nella totalità dei settori, non costringeranno l’Europa ad imitare il modello migratorio americano, de facto più liberale (anche se resta apparentemente interventista), e imporre al mondo la visione di una società che si è costruita sull’immigrazione?
In questa dipendenza liberale, lo Stato non cederà sempre più terreno di fronte agli imprenditori, inclini ad imporre i loro interessi privati che vanno nel senso di un’apertura delle valvole dell’immigrazione in attesa di diminuire i costi della manodopera?
Un’altra questione che riguarda più specificamente il Maghreb nei prossimi decenni: l’emigrazione internazionale sarà ancora una necessità nei prossimi decenni come lo è stata a partire dall’indipendenza? Con le trasformazioni politiche ed economiche endogene, con l’avanzamento della transizione demografica e la riduzione dei richiedenti un impiego, è possibile che la domanda rallenti. Invece, non è escluso che il Maghreb diventi lui stesso, di sua spontanea volontà o suo malgrado, un importatore di manodopera, così come i Paesi del Maghreb diventino nei prossimi decenni contemporaneamente importatori ed esportatori di manodopera. Per questo motivo, l’Europa resterà la destinazione privilegiata.


Occorre essere coscienti del fatto che le riserve di caccia non sono più ammissibili: l’assunzione della manodopera e l’emigrazione familiare che la segue si sono globalizzate. Non è perché la Francia e la Spagna hanno un debito coloniale verso il Maghreb e che le loro lingue non sono completamente estranee che questi godranno di una rendita migratoria eterna. Dove si emigrerà in Europa? Si tenterebbe di dire verso i Paesi più attrattivi. Come distinguere i Paesi attrattivi dai Paesi repulsivi? Forse dalla loro politica d’immigrazione e d’integrazione? In tal caso si potrebbero esaminare i sei Paesi secondo il carattere attrattivo o repulsivo della loro politica, piuttosto che classificarli per  l’ordine d’importanza che rivestono per gli emigranti maghrebini. Si definirebbe così una batteria di una decina o più di indicatori: sui visti, sulla regolamentazione dell’accoglienza dei lavoratori stranieri, sul ricongiungimento familiare, sulle facilità istituzionali in termini di alloggio, di sanità, d’istruzione, di apprendimento della lingua... Sarebbe una strada sbagliata poiché nulla è così instabile come una politica migratoria. Si è visto con quale rapidità i Paesi Bassi hanno cambiato rotta verso l’aspetto positivo dell’immigrazione e sul multiculturalismo, e anche la Germania, ma nella direzione inversa.
Le politiche migratorie dei Paesi europei – superficialmente diverse e varie, ma fondamentalmente restrittive in confronto agli Stati Uniti – non possono fungere da guida di orientamento sulle tendenze migratorie future. Le realtà sono infinitamente più complesse e più flessibili. Occorre adattarsi alla congiuntura economica e per evitare che la sua economia affondi accogliere sufficientemente emigranti legali o clandestini per mantenere un mercato dell’occupazione sicuro, al riparo dei goulets d’étranglement.
La distribuzione economica però è quasi impossibile da prevedere sul lungo e sul medio termine, perfino sul breve termine.

Un caratteristico locale maghrebino a Cordova, in Spagna. - Giovanni Coluccia

Un caratteristico locale maghrebino a Cordova, in Spagna. - Giovanni Coluccia

Resta la demografia. Nonostante tutta la sua imperfezione la previsione demografica resta più affidabile di qualsiasi altro studio del futuro. Senza esagerare all’estremo la portata dell’evoluzione demografica endogena (solo per crescita naturale) o endogena + (crescita naturale e immigrazione netta, relativamente limitata, copiata sull’esperienza degli anni precedenti), il richiamo all’immigrazione si può utilizzare come punto di partenza. La Tab. 2 e i grafici riportati di seguito ricapitolano l’evoluzione prevista per i Paesi nei prossimi quattro decenni, all’orizzonte del 2050.

Partendo dal postulato che una popolazione farà di tutto per evitare di uccidersi demograficamente, la forza è di riconoscere che tra due mali, il declino demografico e perciò economico e politico o l’immigrazione di massa, si sceglierà il meno doloroso. L’Europa dovrà accogliere immigrati, in numero molto più cospicuo di quello dell’ipotesi della Tab. 2. L’invecchiamento dell’Europa è inevitabile e l’immigrazione è soltanto un palliativo. Nel frattempo però può contribuire ad impedire alla popolazione di diminuire.

Tab. 2. Proiezioni demografiche dei principali Paesi d’accoglienza dell’emigrazione maghrebina

Popolazione (in mln.)
                                    2010         2015      2020       2025        2030       2035        2040          2045     2050

Francia                      62.302      63.728   64.984    66.123     67.204    68.214     69.019       69.563  69.961
Spagna                      45.108      46.000   46.445    46.623     46.682    46.735     46.776       46.699  46.401
Paesi Bassi                16.502      16.625   16.760    16.960     17.141    17.262     17.303       17.279  17.235
Italia                         59.032      59.001   58.601    58.079     57.519    56.929     56.277       55.506  54.610
Belgio                       10.522      10.613   10.684    10.742     10.780    10.788     10.762       10.710  10.643
Germania                  82.365      81.825   81.161    80.341     79.348    78.171     76.852       75.466  74.088

Quoziente di fecondità
Francia                          1,90          1,90       1,90        1,90         1,90        1,90         1,90           1,90      1,90
Spagna                          1,45          1,52       1,57        1,62         1,67        1,72         1,77           1,82      1,86
Paesi Bassi                    1,72          1,73       1,77        1,82         1,84        1,85         1,85           1,85      1,85
Italia                             1,39          1,42       1,46        1,51         1,56        1,62         1,66           1,72      1,79
Belgio                           1,65          1,66       1,67        1,69         1,70        1,71         1,72           1,73      1,75
Germana                       1,38          1,42       1,46        1,51         1,56        1,61         1,66           1,71      1,76

Immigrazione netta annuale
Francia                           100           100        100         100          100         100          100            100       100
Spagna                           188           115        105         105          105         105          105            105       105
Paesi Bassi                       -2             10          22           30            30           30            30              30         30
Italia                              152           142        135         135          135         135          135            135       135
Belgio                              20             20          20           20            20           20            20              20         20
Germania                       150           150        150         150          150         150          150            150       150

Saldo naturale
Francia                           199           164        135         119          111           82            28            -13        -26
Spagna                             72             18        -42          -81           -94          -95        -109          -150      -180
Paesi Bassi                       32             16          11             8              0          -14          -28            -37        -41
Italia                             -117          -185      -227        -243         -251        -259        -277          -302      -327
Belgio                                1              -4          -7          -10           -14          -22          -28            -31        -34
Germania                      -233          -270      -298        -332         -367        -400        -420          -427      -427

Crescita globale
Francia                           299           264        235         219          211         182          128              87         74
Spagna                           260           133          63           24            11           10            -4            -45        -75
Paesi Bassi                       30             26          33           38            30           16              2              -7        -11
Italia                                35            -43        -92        -108         -116        -124        -142          -167      -192
Belgio                              21             16          13           10              6            -2            -8            -11        -14
Germania                        -83          -120      -148        -182         -217        -250        -270          -277        -27

Tasso di crescita globale (p. mille)
Francia                            5,2            4,5         3,9          3,5           3,2          2,3           1,6             1,1        0,8
Spagna                            2,9            1,4         0,5          0,3           0,3          0,2           0,2           -0,5       -1,0
Paesi Bassi                      1,8            1,6         2,0          2,2           1,8          0,9           0,1           -0,4       -0,6
Italia                               0,6           -0,7       -1,6         -1,9          -2,0         -2,2         -2,5           -3,0       -3,5
Belgio                             2,0            1,5         1,2          0,9           0,6         -0,2         -0,7           -1,0       -1,3
Germania                       -1,0           -1,5       -1,8         -2,3          -2,8         -3,2         -3,5           -3,7       -3,8

Tasso di crescita naturale (p. mille)
Francia                            3,6            2,9         2,4          2,0           1,7          0,8           0,2           -0,3       -0,6
Spagna                           -1,3           -1,1       -1,8         -2,0          -2,0         -2,0         -2,0           -2,7       -3,3
Paesi Bassi                      1,9            1,0         0,7          0,5           0,0         -0,8         -1,6           -2,1       -2,4
Italia                              -2,0           -3,1       -3,9         -4,2          -4,4         -4,5         -4,9           -5,4       -6,0
Belgio                             0,1           -0,4       -0,7         -0,9          -1,3         -2,0         -2,6           -2,9       -3,2
Germania                       -2,8           -3,3       -3,7         -4,1          -4,6         -5,1         -5,5           -5,7       -5,8

Tasso di immigrazione (p. mille)
Francia                            1,6            1,6         1,5          1,5           1,5          1,5           1,4             1,4        1,4
Spagna                            4,2            2,5         2,3          2,3           2,3          2,2           2,2             2,2        2,3
Paesi Bassi                    -0,1            0,6         1,3          1,8           1,8          1,7           1,7             1,7        1,7
Italia                               2,6            2,4         2,3          2,3           2,3          2,4           2,4             2,4        2,5
Belgio                             1,9            1,9         1,9          1,9           1,9          1,9           1,9             1,9        1,9
Germania                        1,8            1,8         1,9          1,9           1,9          1,9           2,0             2,0        2,0

 

Fonti: United Nations, World Population Prospects as Assessed in 2006, New York, 2006, e per la Francia: Isabelle Robert-Bobée, Projections de population pour la France métropolitaine à l’horizon 2050: la population continue à croître et le vieillissement se poursuit, n. 1089, Insee première, juillet 2006.


Pensiamo che la politica migratoria reale e non la politica immaginata dai Paesi europei sarà più in linea con la loro effettiva evoluzione demografica che con le idee ricevute sull’immigrazione subita o scelta e le regolamentazioni in vigore.
Il grafico della Francia mostra tre fasi: una fase A fino al 2030 dove la crescita demografica è garantita più dal saldo naturale che dall’immigrazione, una fase B fino al 2040 dove il saldo naturale è positivo, scende al di sotto dell’immigrazione, fino al 2040, poi dopo questa data un saldo naturale negativo. Questo grafico lascia pensare che grazie ad una demografia endogena che sembra apparentemente sana l’immigrazione sarà meno auspicabile per lo Stato, per le imprese e forse per i privati rispetto ad altri Paesi dell’Europa la cui demografia naturale è molto più raggiunta.
In Spagna, si è già allo stesso livello nella fase B e la fase C è quasi vicina a partire dal 2015. Da qui una forte domanda di immigranti fin d’ora e con una notevole accelerazione in meno di dieci anni.
L’Italia sarà nella fase C ad vitam aeternam. Ne consegue una forte domanda di immigranti, ornata da campagne di regolarizzazione. Gli orientamenti del governo italiano anche se confutano l’immigrazione dovranno inevitabilmente adattarsi a queste pesanti costrizioni demografiche.
La Germania è nella fase C da molto tempo. La riforma della legge sull’immigrazione e sulla naturalizzazione è in linea con una crisi demografica seria, la più grave d’Europa.

Questi grafici permettono di affermare che l’immigrazione in ciascuno dei Paesi europei sarà tanto più intensa quanto più grave sembra la crisi demografica. Questa notevole tendenza sarà più decisiva del peso delle tradizioni e di quello delle legislazioni.
Negli ultimi cinquant’anni, la Francia ha svolto un ruolo considerevole nel drenaggio dell’emigrazione maghrebina: quella dei lavoratori, quella delle famiglie, dei quadri e degli intellettuali. I prossimi cinquant’anni potrebbero vedere l’inversione di questa relazione privilegiata, la Francia che attira meno i maghrebini, proprio mentre sempre più francesi si insediano nel Maghreb. Il riflusso dell’emigrazione maghrebina verso la Francia sarebbe in misura minore il risultato delle recenti leggi restrittive di una demografia effettiva e percepita come propizia. Recentemente il tasso di fecondità ha appena superato i due bambini per donna (quanto quello della Tunisia).

La Spagna e l’Italia risultano destinazioni molto più promettenti. La forte coscienza del loro anticipato declino demografico nonostante la risalita della fecondità, soprattutto per l’Italia la cui fecondità è supposta in rialzo da 1,38 a 1,79 nel 2050 (ci si chiede su quale base?), prepara il terreno ad un’immigrazione molto più forte dei 105.000 immigranti annuali anticipati in Spagna e i 135.000 in Italia. Beninteso, tutti gli immigranti verso queste due destinazioni non saranno tutti maghrebini. Occorrerebbe anche che l’economia conservasse un certo dinamismo, benché molti immigranti non siano reclutati nei settori direttamente legati all’economia, ma nei servizi ai privati. Esperienze personali suggeriscono l’elevato grado di soddisfazione degli emigranti verso queste destinazioni, in paragone con la delusione verso destinazioni più classiche: Francia, Belgio e Paesi Bassi.


Con il crescente peso dei “nuovi Paesi”, i Paesi Bassi e il Belgio diventeranno destinazioni sempre più marginali. Con la loro piccola dimensione, la loro demografia che non è così critica come quella della Spagna e dell’Italia non diventeranno degli importanti poli d’attrazione nei prossimi cinquant’anni.
La sorpresa potrebbe arrivare dalla Germania, con una popolazione oggi molto numerosa (83 milioni, 21 milioni in più della Francia) e un’economia sana. Le prospettive demografiche però sono le più catastrofiche d’Europa. Nonostante la salutare ma molto ipotetica risalita della fecondità da 1,36 a 1,76 e l’aiuto di 150.000 immigranti tutti gli anni, la popolazione diminuirà così rapidamente che rischierà di finire al di sotto di quella della Francia nel 2065-2070. Benché non sia l’unica soluzione, l’immigrazione sarà la benvenuta, anche se non sembra completamente in sintonia con la mentalità tedesca.
Per l’emigrante maghrebino, che ha dato prova di un cresciuto senso di adattamento, installandosi per anni nei luoghi più inverosimili, mettendosi alla prova con lingue ostiche come l’olandese, la Germania che conta soltanto un numero modesto di maghrebini (100.000, il 3% del totale) potrebbe diventare la destinazione privilegiata nel prossimo cinquantennio.

Note

1 - Patrick Weil, La République et sa diversité. Immigration, intégration, discriminations, La République des Idées, Seuil, Paris, 2005, p. 14.

2 - Georges Tapinos, L’immigration étrangère en France, Paris, INED, 1975, p. 112. Georges Tapinos però non pensava all’epoca che all’immigrazione verso i Paesi europei. Se egli avesse conosciuto i Paesi produttori di petrolio del Golfo o la Libia, avrebbe allargato le sue osservazioni a Paesi che sono riusciti nel lungo termine a vietare in modo significativo l’immigrazione familiare, grazie a politiche d’immigrazione e di circolazione molto drastiche.

3 - François Héran, Le temps des immigrés. Essai sur le destin de la population française, La République des Idées, 2007.

4 - Carlota Solé, Immigration Policies in Southern Europe, in “Journal of Ethnic and Migration Studies”, vol. 30, n. 6, november 2004, p. 1217.

5 - Alba Chiavassa, La loi sur l’immigration en Italie et les problèmes du travail, Milano, 2003.

 

   
   
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