Giugno 2009

le grandi istituzioni

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Radici di Bankitalia

Cristina Baltieri
Fiorenza Mayer

 

Coll.: Vanna Cremaschi
Enrico Salvi Beretta
 
 

Convitati di pietra.
Questi investitori non scommettono soltanto sul
tracollo dei titoli azionari, ma
spesso anche
su altri disastri,
tra i quali il
fallimento degli Stati Sovrani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo storico Valerio Castronovo riconosce che fra le istituzioni dello Stato su cui gli italiani continuano a fare più affidamento la Banca d’Italia occupa un posto di assoluto rilievo, dal momento che è considerata da sempre una sorta di massimo santuario e, nello stesso tempo, di nume tutelare dell’economia nazionale.
D’altro canto, fin dal giorno in cui nacque, nell’agosto 1893, dalla fusione dei tre istituti di emissione esistenti all’epoca, la sua comparsa era stata considerata a dir poco provvidenziale, in quanto (dopo il crollo rovinoso della Banca Romana e il dissesto della Banca Generale e del Credito Mobiliare, avventuratisi in un vortice di speculazioni), essa avrebbe dovuto concorrere al risanamento del sistema monetario italiano e porre un immediato argine a una grave crisi finanziaria.

Recto di un biglietto da 50 lire intestate “Banca Nazionale del Regno d’Italia”, emissione 1893.

Recto di un biglietto da 50 lire intestate “Banca Nazionale del Regno d’Italia”, emissione 1893.

Moltissimo è stato scritto sull’evoluzione, dopo di allora, della Banca d’Italia, divenuta in seguito alla riforma del 1926 l’unico istituto in grado di detenere in fatto e in diritto l’esclusivo potere di emissione. Invece, anche se non mancano studi e ricerche in proposito, meno note sono le sue vicende precedenti, quelle che coprono l’arco temporale compreso tra gli anni Quaranta dell’Ottocento alla fine del secolo XIX. Ad una loro esauriente ricostruzione ha provveduto di recente Rosanna Scatamacchia, in base a un’indagine documentaria di prima mano e a un’analisi densa di annotazioni originali sui rapporti fra l’azionariato della Banca, il milieu finanziario e gli ambienti politici, (titolo della ricerca: Azioni e azionisti. Il lungo Ottocento della Banca d’Italia).

Il tratto distintivo di questo saggio, che lo accomuna ad opere analoghe già realizzate in altri Paesi europei sulle matrici sociali ed economiche delle proprie Banche centrali, consiste nella mappatura sia dei promotori e dei singoli azionisti dell’Istituto sia delle provenienze e delle tipologie dei capitali che diedero vita dapprima – nel 1844 – alla Banca di Genova, e in seguito, dopo il suo apparentamento con quella di Torino, alla Banca Nazionale degli Stati Sardi, per approdare infine – a far luogo dal 1860 – alla Banca Nazionale del Regno d’Italia, progenitrice della futura Banca d’Italia.
Da questo complesso lavoro di scavo emerge uno spaccato significativo di una parte consistente della borghesia italiana ottocentesca, di quella che più contava all’epoca, in quanto vengono forniti numerosi elementi di conoscenza e di giudizio tanto sui patrimoni e sugli interessi degli azionisti, sui loro calcoli nell’impiego del denaro e nella conduzione degli affari, sulla rete dei loro legami parentali e delle loro relazioni sociali, sui loro orientamenti culturali e i rapporti con sodalizi e circuiti politici, come pure sulle loro affiliazioni con altri gruppi regionali oppure con partner transalpini.

Il Segretario generale, Giacomo Grillo (al centro, in piedi), e la Direzione generale della Banca d’Italia in una foto del settembre 1868. - Album F.lli Alinari

Il Segretario generale, Giacomo Grillo (al centro, in piedi), e la Direzione generale della Banca d’Italia in una foto del settembre 1868. - Album F.lli Alinari


Si tratta di tutto un universo popolato non soltanto da nobili e da possidenti fondiari, rentier e imprenditori, o professionisti titolati, ma anche da una folta schiera di commercianti e di negozianti-artigiani, in quanto avvezzi a maneggiare con perizia e con oculatezza merci e denaro, e a scrivere e a leggere di diritto.
Si trattava sostanzialmente di un azionariato composto, ai suoi esordi, da genovesi e da torinesi che parlavano indifferentemente italiano e francese, e nei riguardi dei quali Cavour si era prodigato per convincerli a generalizzare l’uso dei biglietti di banca, impiantando delle succursali della Banca anche nelle realtà più periferiche, al di là dei principali centri urbani, in quanto ciò avrebbe contribuito ad espandere e a vivacizzare l’attività economica.

In realtà, non fu senza incontrare continuamente dubbi o remore di numerosi azionisti, preoccupati di vedere assottigliarsi i propri dividendi, che il gruppo dirigente di quella che divenne subito dopo l’Unità la Banca Nazionale del Regno d’Italia (guidata fino al 1882 da Carlo Bombrini, uno dei fondatori dell’Ansaldo) riuscì ad ampliare a mano a mano il raggio d’azione dell’Istituto a tutto il territorio del Paese, fino a farne così la più ricca e importante azienda bancaria a capitale italiano.
Inoltre, non poche furono, insieme alle iniziative risultate vantaggiose ai fini dell’interesse pubblico, certe operazioni discutibili e per certi versi anche imbarazzanti, per l’intreccio con vari maneggi politici, oppure con figure chiacchierate, nonché con determinati affari personali di questo o quell’esponente della stessa Banca. D’altro canto, suscitò parecchie polemiche arsenicali il fatto che nel 1866 la Banca avesse ottenuto il privilegio del corso forzoso, sia pure in cambio di un suo prestito allo Stato per 250 milioni di lire, al modico tasso d’interesse dell’1 per cento.
Va detto, comunque, che fu tutt’altro che un’impresa agevole, per una sorta di banca privata-pubblica quale essa era, affermarsi in un periodo come quello dei primi decenni successivi all’Unità della Penisola, periodo segnato fra l’altro da un’estrema incertezza politica e finanziaria, dalla propensione della gente più facoltosa a investire in terre e in titoli pubblici, e per di più nel mezzo di una situazione di semi-dipendenza dell’Italia dall’estero.
Peraltro, se la Banca sopravvisse alla sconvolgente tempesta finanziaria dei primi anni Novanta del XIX secolo, ciò avvenne in seguito all’operazione chirurgica compiuta, fra il 1893 e il 1895, dapprima da Giovanni Giolitti, e poi da Francesco Crispi, con la preziosa collaborazione di Sidney Sonnino, con il ridimensionamento del potere debordante degli azionisti privati (che da quel momento si dovettero accontentare di un dividendo al massimo di poco superiore al 2 per cento) e con la sostituzione di gran parte degli esponenti di vertice della Banca.

Recto delle Mille lire della Banca Nazionale, emissione 1877. Le due figure femminili rappresentano l’Industria e l’Agricoltura. Sullo sfondo, un piroscafo e una barca
a vela latina.

Recto delle Mille lire della Banca Nazionale, emissione 1877. Le due figure femminili rappresentano l’Industria e l’Agricoltura. Sullo sfondo, un piroscafo e una barca a vela latina.


Fu così che, dopo la travagliata e controversa gestione di Giacomo Grillo, e dopo l’intermezzo dal 1894 di Giuseppe Marchiori, il nuovo direttore generale (dal 1900) Bonaldo Stringher poté avviare un’opera di vera e propria autolegittimazione della Banca, quale istituto a servizio dello Stato e del Paese, precisando in ogni caso che essa avrebbe dovuto conquistarsi reputazione e prestigio ogni giorno sul campo, e che, perciò, la sua condotta andava verificata e giudicata alla luce delle dettagliate e trasparenti informazioni a tale riguardo che l’Istituto si impegnava ad assicurare sia al Governo sia all’opinione pubblica.
Oggi sappiamo che il Governatore di Bankitalia presenta annualmente una Relazione, con osservazioni sintetiche e conclusive, che offrono non soltanto un’immagine concreta dell’attività dell’Istituto di emissione, ma anche un quadro attendibile della situazione economica e finanziaria del Paese, della sua reale propensione al risparmio, della situazione dei commerci, e quindi della bilancia dei pagamenti, del rapporto deficit/Prodotto interno lordo: in ultima analisi, uno spaccato in chiaro dello stato di salute dell’economia nazionale nel suo complesso, e per ciò stesso un sestante di cui tener conto per orientare i percorsi di sviluppo possibili, e le rotte socio-politico-economiche anche nel contesto delle relazioni con l’Europa comunitaria e con le restanti aree produttive del mondo.
Attualizzando, ed esemplificando, a proposito della vigilanza e dell’indirizzo esercitati dall’Istituto di emissione: quanto tutto questo sia importante per noi è evidente se teniamo conto di quel che accade spesso, ma che è emblematico proprio in questi giorni di crisi. Allora: noi siamo giustamente convinti che in Borsa si guadagni quando gli indici salgono. Si è in pochi, però, a sapere che gli speculatori possono lucrare anche quando quegli indici scendono. Si tratta di un segmento della finanza che ha i suoi amatori, generalmente esperti in nere previsioni, che inseguono l’azzardo e investono il proprio denaro sognando il peggio: più la quotazione di una società va giù, più loro sono felici.
Questi particolari tipi di investitori non scommettono soltanto sul tracollo dei titoli azionari, ma spesso anche su altri disastri, tra i quali il fallimento degli Stati Sovrani. Anzi, alcune banche d’affari hanno inventato prodotti specifici e complicati proprio per andare incontro ai desideri di questa speciale clientela. Si tratta di strumenti ad alto rischio, ma anche ad alto rendimento nel caso di bancarotta di un Paese. Uno di questi titoli si chiama “First to default basket” ed è un paniere con scadenza a tre anni e con una cedola trimestrale, che a chi lo sottoscrive paga un premio se un solo Stato fallisce.

Perché parliamo di vicende che nel testo sulla storia e sulle funzioni di Bankitalia non sono trattate (ma possono essere ben percepite, in filigrana)? Per la semplice ragione che si ha la sensazione che il fronte di chi investe sui disastri sia molto più spregiudicato di quanto ci si immagini, e che in questi tempi sia alla ricerca di quelle che considera le “migliori opportunità”; e tra queste temiamo abbia incluso l’Italia.
A corroborare questa sensazione ci sono vari episodi. Due sono stati rilanciati da Repubblica, giornale tutt’altro che filo-governativo. Ai primi di marzo, il quotidiano romano ha dato notizia di un fantomatico report della banca d’affari americana Jp Morgan con previsioni di prossimo fallimento del nostro Paese. Il funesto pronostico è stato smentito dalla stessa società d’investimento, che ha negato ufficialmente l’esistenza del rapporto. Ma appena due settimane dopo, lo stesso quotidiano è tornato alla carica, rilanciando alcune dichiarazioni del Commissario agli Affari Economici della Ue, Joaquín Almunia. Anche queste subito vigorosamente smentite.
Al di là della buona fede con cui il quotidiano avrebbe sostenuto le due tesi, e al di là dei detti secondo cui a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, e che errare è umano, ma perseverare sa di zolfo luciferino, è difficile negare la sensazione che qualche corvo aleggi sull’Italia e sia proprio speculare alle nostre difficoltà. Mentre tutti, o moltissimi, sono impegnati a restituire fiducia e a immettere nuove risorse per far ripartire l’economia, altri, magari oltre i nostri confini, sognano di incassare lauti premi grazie a una bancarotta italiana, ovviamente, ma di puro modello argentino.

Banca d’Italia,
Bozzetto per un manifesto dell’Esposizione “Terre italiane d’oltremare”, Napoli, 1940. - Archivio B.I.

Banca d’Italia, Bozzetto per un manifesto dell’Esposizione “Terre italiane d’oltremare”, Napoli, 1940. - Archivio B.I.


Queste storie non sono da sottovalutare. E infatti, per quanto risulta, al ministero dell’Economia e alla Banca d’Italia vigilano con estrema attenzione sugli attacchi speculativi. Ma con ogni probabilità un po’ di maggiore attenzione sarebbe necessario che la prestassero tutti quanti, in modo particolare i politici, che spesso parlano alla cieca di soldi da distribuire a destra e a manca, senza tenere in alcun conto il nostro altissimo debito pubblico. Ci servono nervi saldi, e gelo della ragione. Oltre al buon senso, che dovrebbe essere usato soprattutto da chi, ex industriale, magari, poi finanziere sempre pronto a succhiare fondi e finanziamenti pubblici, da troppo tempo va predicando in giro di catastrofismi alle porte nel nostro Paese. È bene che individui di questa natura facciano riposare la propria età rugosa e le proprie profezie cervellotiche e fallimentari tra le pagine ingiallite della Prima Repubblica. Il mondo va avanti. Costoro, che hanno vissuto splendidamente sbandierando un pessimismo cosmico del tutto strumentale, ormai sono sempre più convitati di pietra.
Fuori gioco.

   
   
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