Giugno 2009

Rapporto ABI 2008

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Banche: il mercato del lavoro
è al riparo dalla crisi?

Filippo Cucuccio

 

 
 

Investment banking.
In chiave
prospettica rimane intatta la speranza di un sistema
bancario italiano meno esposto
alla crisi proprio
a causa di una
presenza ancora modesta di attività ad alto rischio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sfogliando le pagine del Rapporto dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) dedicato al mercato del lavoro nell’industria finanziaria 1, come sempre ricco di dati e di comparazioni svolte in chiave italiana ed europea, emergono considerazioni qualitative e interrogativi resi ancor più stringenti dall’attuale conclamata crisi finanziaria.
A cominciare dalla domanda se dai bilanci delle banche italiane relativi all’esercizio 2007 si possono cogliere i primi sintomi della grande crisi. Per poi passare a chiedersi se il costo del lavoro ancora una volta è risultato l’obiettivo qualificante delle politiche gestionali, o se l’attenzione nei suoi confronti si è in qualche misura attenuata. E infine, trasferendosi in una prospettiva europea, non ci si può certo esimere dal tentare di soddisfare la domanda sulle condizioni in cui il sistema bancario italiano si è presentato all’appuntamento con la grande crisi in termini di raffronto con le situazioni specifiche degli altri Paesi europei.
Alla luce di questi interrogativi sembra pertanto appropriato partire da una sia pur sintetica fotografia del sistema bancario italiano, che nel 2007 si è confermato essere un significativo bacino occupazionale. Infatti, è continuata, anche se in modo più contenuto, la crescita del numero dei dipendenti (+0.4%; nel 2006 +1,1%) segnando un consolidamento nell’inversione di tendenza rispetto alla contrazione degli ultimi dieci anni, eccezion fatta per il 2000, anno peraltro atipico per le problematiche connesse al cambio data di inizio secolo.

ICP - Milano

ICP - Milano


A parte questo dato di crescita, vi sono altri aspetti a cui conviene fare cenno per meglio focalizzare la situazione di questo importante segmento del mercato del lavoro. Ad esempio, colpisce l’atteggiamento per così dire conservatore delle banche italiane in tema di tipologie contrattuali di assunzione per lo spiccato orientamento verso i rapporti tradizionali: infatti, per il 96% dei lavoratori in servizio la scelta ricade sul contratto a tempo indeterminato (97% nel 2006), mentre il residuo 4% si divide tra l’apprendistato (2%), i rapporti a termine (1,6%) e i contratti di inserimento (0,4%). Per inciso, la scelta del contratto a tempo indeterminato si rivela di tipo trasversale, interessando sia i lavoratori full-time, sia la categoria dei part-time, che pesa per l’8,3% sul totale della massa lavoro.
Però, vi sono anche due aspetti che presentano elementi innovativi rispetto al passato. Il primo tocca la politica di ringiovanimento, perseguita in modo compatto da tutte le banche italiane e per tutte le categorie di inquadramento professionale attraverso una massiccia esodazione del personale più anziano.






Ne è puntuale conferma il dato dell’età media del personale sceso a 42,5 anni (43 nel 2006) con una significativa punta di contrazione per i dirigenti, favorita sia dalla cessazione di colleghi più anziani, sia dalla contestuale promozione di quadri direttivi più giovani. Più in dettaglio, se si guarda al raggruppamento per fasce d’età del personale occupato, si individuano due blocchi, pari ciascuno al 25% della popolazione complessiva, per gli intervalli di età fino a 35 e oltre 50 anni; mentre spicca un gruppo intermedio pari al 50% di dipendenti compresi tra 35 e 50 anni.
Sempre in tema di età non sfugge all’osservatore più attento la particolarità di un rapporto inversamente proporzionale tra l’età del personale e la dimensione aziendale. Infatti, nelle banche più piccole si segnala una prevalenza di dipendenti più giovani con un’età media che scende a 41 anni; anche se nel tempo una non trascurabile aliquota di questo personale è destinata a migrare verso le aziende più grandi.
Da non sottovalutare, infine, che in prospettiva questa politica di ringiovanimento dovrebbe riflettersi nel medio termine in una diminuzione del costo del lavoro, versante su cui le banche italiane, come meglio si vedrà tra poco, presentano degli apprezzabili margini di miglioramento.
C’è anche un secondo elemento, su cui in passato ci si è soffermati, che non finisce di stupire per la sua crescente significatività: la presenza femminile nelle banche italiane. Nel 2007 il personale femminile impiegato ha, infatti, sfiorato il 41% della massa lavoro complessiva (39,9% nel 2006), a conferma di una tendenza inarrestabile (dieci anni prima la quota femminile si fermava al 31,1%!). Se, poi, si scende nel dettaglio delle categorie di inquadramento, si scopre che nella 3a area professionale è già avvenuto il “sorpasso rosa”, mentre nella 2a area il confronto tra i due sessi si chiude alla pari.


A spiegare la differenza in questa “tendenza al femminile” delle banche italiane soccorrono i dati sul turnover dei dipendenti con un coefficiente di sostituzione che per gli uomini è inferiore all’unità (0,7) e per le donne si colloca a 1,4. In altri termini, per ogni 10 bancari maschi cessati il rimpiazzo con nuovi dipendenti dello stesso sesso si ferma a 7, mentre compiendo la medesima operazione per l’altro sesso l’asticella delle nuove assunzioni si colloca a 14 unità.
Per chiudere questo capitolo dedicato alla presenza femminile nelle banche non può passare in secondo piano la sua incidenza qualitativa sotto il profilo della scolarità: le bancarie con almeno un diploma di scuola media superiore sono più numerose dei colleghi di oltre 3 punti percentuali (93,6% contro 90%), così come avviene nel caso del titolo di laurea (qui la differenza tra i due sessi si riduce a 2 punti percentuali). Uno scarto che si apprezza ancor di più proiettando il raffronto su un arco di tempo decennale con una presenza di laureate accresciutasi di 15 punti percentuali contro i 9 dei laureati maschi.

Esaurita, sia pure a larghi tratti, la descrizione fotografica del mercato del lavoro bancario in Italia, si può ora affrontare l’altro versante del costo del lavoro per meglio comprendere l’orientamento delle gestioni aziendali. Lungo questo percorso di analisi saranno poi svolte delle considerazioni di raffronto con gli altri Paesi europei, utili a situare in modo più appropriato la posizione competitiva delle banche italiane.
Come punto di partenza si può scegliere il dato del costo medio per dipendente, giunto nel 2007 a 74,400 mila euro con un aumento del 4,6% sul 2006. Cifre che, peraltro, vanno ritoccate verso l’alto (rispettivamente oltre 83 mila euro e +5,3%) se si includono nel conteggio gli oneri straordinari per agevolare l’interruzione anticipata del rapporto di lavoro, i compensi degli amministratori, le spese per il personale collocato a riposo e l’onere derivante dall’applicazione dell’IRAP (imposta regionale sull’attività produttiva).
Da questi primi dati emergono tre ordini di considerazioni: da un lato, come si sottolinea nel Rapporto ABI, la crescita del potere contrattuale del lavoratore bancario in termini reali, stante un’inflazione stimata all’1,7% per il 2007; dall’altro un’attenzione alle cause immediate di questa crescita del costo, cause riconducibili alla necessità per le banche di adottare promozioni e provvedimenti economici ad personam in un periodo di vacatio contrattuale. Ne è conseguito un inevitabile ed evidente allargamento della forbice tra retribuzioni tabellari e retribuzioni di fatto.


E, infine, a spingere all’insù il costo del lavoro per dipendente hanno concorso in misura determinante gli accantonamenti delle banche per fronteggiare i prevedibili impegni di maggiore spesa legati al rinnovo contrattuale; oneri, poi, maturati nel dicembre 2007 per tutte le categorie professionali, salvo i dirigenti, il cui contratto fu stipulato nel gennaio successivo.
In linea con queste considerazioni si rivela anche l’analisi dell’andamento di alcuni indicatori aziendali. Si prenda il rapporto costo del personale/spese amministrative complessive con un valore che nel 2007 è balzato dal 54,6% al 56,3%, il valore più alto di questo scorcio di secolo (il 57,6% del 2000 è, infatti, anomalo per i già ricordati effetti del cambio data).
Tuttavia, prima di stilare giudizi sommari sulle politiche gestionali delle banche italiane, vale la pena di soffermarsi su altri due indicatori, i cui risultati spingono ad orientarsi verso conclusioni meno unilaterali. Nel caso del rapporto costo del lavoro pro capite/totale dell’attivo per dipendente le evidenze statistiche delineano un trend decrescente nel tempo (ma l’introduzione dei nuovi princìpi di contabilizzazione IAS in parte pregiudica l’omogeneità e quindi la correttezza del confronto con gli anni precedenti).
Ugualmente qualche dubbio interpretativo suscitano i risultati di un terzo indicatore gestionale, il clup (costo del lavoro per unità di prodotto), che mostra rispettivamente un trend decrescente, se il rapporto si opera con il totale dell’attivo bancario e un trend decrescente in caso di raffronto con il valore aggiunto.
Quanto alla posizione dell’Italia sul versante del costo del lavoro, il Rapporto ABI, che ha analizzato le scelte gestionali dei principali gruppi bancari europei, mette in evidenza come i 69,500 mila euro registrati per le compagini italiane superano di circa 10 mila euro il valore medio dei Paesi UE 25 più la Svizzera. Va subito aggiunto per amore di precisione informativa che il dato medio europeo è in realtà frutto di una ponderazione tra situazioni decisamente disparate: infatti, i Paesi di più recente ingresso nell’UE si segnalano per i valori sicuramente più contenuti (si pensi al caso estremo della Lettonia con 27 mila euro!) a differenza di quelli di più antica adesione (è il caso della Germania con 99 mila euro e della Svizzera con 148 mila euro).




Età media dei dipendenti delle banche
per gruppi dimensionali e inquadramento nel 2007

Banche                  Maggiori    Grandi       Medie       Piccole      Minori    Totale

Dirigenti                   49,0         50,3         51,3          49,7          49,0       49,7
Quadri direttivi         46,6         46,8         45,9          46,3          46,2       46,4
Aree professionali    41,9         39,5         39,4          38,3          38,8       40,1
Totale                      43,9         42,4         41,7          41,0          41,6       42,5



Composizione degli occupati per tipologia contrattuale in Italia

Tipo di occupazione           Migliaia                  Anno 2007                2007/2006
                                        di persone            Composizione %          Variazione %
Indipendente                        6.055                       26,1%                       -0,3%
- full time                            5.313                       22,9%                        0,1%
- part time                            742                          3,2%                        -2,9%

Dipendente                         17.167                      73,9%                        1,5%
Tempo indeterminato         14.898                      64,2%                        1,4%
- full time                           12.979                      55,9%                        0,8%
- part time                           1.919                        8,3%                         5,7%

A termine                            2.269                        9,8%                         2,1%
- full time                            1.747                        7,6%                         1,1%
- part time                            502                          2,2%                         5,7%
Totale                                23.222                     100,0%                       1,0%

Fonte: Elaborazioni ABI su dati ISTAT.



Composizione dei dipendenti delle banche per gruppi dimensionali nel 2007 (%)

                    Maggiori      Grandi          Medie       Piccole       Minori       Totale
Dirigenti         2,0%          2,0%           1,9%          2,5%          4,6%          2,2%
QD 4° liv.      11,8%        11,3%          9,8%          9,2%         10,6%       10,6%
QD 3° liv.       4,5%          5,0%           5,1%          5,8%          6,0%          5,0%
QD 2° liv.       9,4%         10,8%          8,0%          7,6%          7,7%          8,8%
QD 1° liv.      14,6%        11,7%          9,9%          9,5%          9,4%        11,8%
3a A 4° liv.     22,8%        19,1%         17,5%        14,9%        14,5%       19,1%
3a A 3° liv.     14,4%        15,0%         19,0%        17,0%        16,5%       16,4%
3a A 2° liv.      6,9%         10,1%         10,0%        11,3%         9,7%          9,1%
3a A 1° liv.     10,1%        11,4%         14,6%        17,9%          17%         13,2%
2a A 3° liv.      0,7%          0,9%           0,9%          2,0%          2,0%          1,1%
2a A 2° liv.      2,2%          2,2%           2,4%          1,9%          1,3%          2,1%
2a A 1° liv.      0,4%          0,3%           0,4%          0,6%          0,9%          0,4%
1a area             0,1%          0,2%           0,1%          0,1%          0,1%          0,1%
Totale           100,0%      100,0%       100,0%      100,0%      100,0%    100,0%

Fonte: Elaborazioni ABI.


A qualificare ulteriormente il dato del costo medio del lavoro in Europa interviene una variabile geografico-dimensionale, dovendosi distinguere i gruppi bancari in Regional, Super Regional e Global Banks, categoria quest’ultima che capeggia la classifica delle banche più spenditrici. La spiegazione di questo andamento è individuabile nell’inclusione nelle Global Banks delle attività di investment banking e di bancassurance, caratterizzate da costi del personale particolarmente elevati per la presenza di figure professionali altamente specializzate.
E, per concludere, una breve panoramica di indicatori gestionali può rivelarsi utile ad avvalorare la situazione di minore competitività delle banche italiane sul versante del costo del lavoro. È il caso del rapporto costo del lavoro/margine di intermediazione, che si situa per i gruppi italiani al 37%, quota superiore alla media UE (34%), anche se con un miglioramento non trascurabile di due punti percentuali rispetto al 2006.
Anche un secondo indicatore, il rapporto costo del personale/costi operativi, segna per i gruppi italiani un valore di 61,3%, più alto di 5 punti percentuali rispetto alla media UE 15 e di 8 punti rispetto alla media UE 26.


Ci si ferma qui, ma solo dopo aver sottolineato due aspetti che in una certa misura rispondono agli interrogativi iniziali. Innanzitutto, se appare ancora lungo il cammino gestionale delle banche italiane sulla strada di un’omologazione europea, non vanno sottaciuti, peraltro, i progressi compiuti negli ultimi anni nella direzione di un contenimento dei costi, pur in presenza di fattori strutturali e contingenti certamente non favorevoli.
Inoltre, in chiave prospettica, rimane intatta paradossalmente la speranza di un sistema bancario italiano meno esposto alla crisi proprio a causa di una presenza ancora modesta di attività ad alto rischio, quale l’investment banking. Un punto di forza da cui ripartire con l’intento di perseguire obiettivi di miglioramento gestionale e introdurre elementi d’innovazione, confortati dalle nuove regole di finanza internazionale 2.

Note

1 ABI, Rapporto 2008 sul mercato del lavoro nell’industria
finanziaria, Bancaria Editrice, dicembre 2008.

2 Sulla complessità di questo aspetto si veda tra i contributi più significativi di recente pubblicazione R. Russo, Aria nuova in banca. Per un’appropriata riconfigurazione gestionale e dei rischi, in “Controllo di Gestione”, Rivista IPSOA, n. 4/2008 pp. 7-16.

   
   
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