Giugno 2009

esplorando il novecento

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Canti per amore

Ada Provenzano
Giorgio Franciosa
Elisa Minerva

 

Coll.: Giovanna Arigliani
Alessandro Olmo
Enzo Oxilia
 
 

Perché
tu mi dici: poeta? Io non sono
un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho
che le lagrime da
offrire al Silenzio. Perché
tu mi dici: poeta?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’artista non ha legami soffocanti, ha bisogno di creare in piena libertà e non fa grandi sforzi per cercare. Picasso: «Io non cerco, trovo». Mario Luzi: «Come avviene nella natura, proprio nella sua determinazione il poeta trova la sua libertà». La sensibilità appartiene ad ogni essere umano, ma non tutti diventano artisti, anche se chi lavora con materiale “interiore” si presuppone abbia particolari attitudini, qualità prossime a quelle dell’artista: infatti, nella maggior parte dei casi costui usa un altro linguaggio, che fa tornare alla luce parti di sé rimaste nell’ombra. Allora, se non si può essere artisti, comunque si deve «creare se stessi» (Jung).
Memorie del sottosuolo di Feodor Dostoevskij è stato un romanzo che ha rappresentato un mutamento profondo nella narrativa europea dell’Ottocento. Non era più la vita sociale documentata che si descriveva, era “l’uomo del sottosuolo”, dello scavo interiore, cioè l’uomo dei sotterranei dell’anima. Questo viaggio scopriva spesso zone vergini, selvagge, di oscurità e di dolore, e il nuovo percorso coincideva con la solitudine. Emily Dickinson, chiusa nella sua stanza, scriveva: «C’è una solitudine dello spazio / una solitudine del mare / una solitudine della morte, ma / sono tutte compagnia/ paragonate a quell’altro spazio più nel fondo. / Un’anima sola con se stessa / finita infinità...».
Sebbene vasta, incommensurabile, quell’immagine di solitudine ha una straordinaria intensità, trasla il dolore, diviene incontro di sentimenti con gli altri, trasformazione estetica che da terribile diventa a suo modo gradita. Si fa catarsi. È questo il primato dell’arte.

Amore sensuale

SUL FIUME

Le giovinette così nude e umane
senza maglia sul fiume, con che miti
membra, presso le pietre acri e l’odore
stupefatto dell’acqua, aprono inviti
taciturni nel sangue! Mentre il sole
scalda le loro dolci reni e l’aria
ha l’agrezza dei corpi, io in che parole
fuggo – perché m’esilio a una contraria
vita, dove quei teneri sudori,
sciolti da pori vergini, non hanno
che il respiro d’un nome?... Dagli afrori
leggeri dei capelli nacque il danno
che il mio cuore ora sconta. E ai bei madori
terrestri, ecco che oppongo: oh versi! oh danno!

                                    Giorgio Caproni


ELLA NEMMENO SA

Ella nemmeno sa
quanto poco somiglia
a come agli altri appare

se nel bacio si fa
tra le mie braccia al mare
della felicità

silenziosa conchiglia.

                                    Siro Angeli


NUDA COME UNA NUVOLA

Nuda come una nuvola, muovevi
verso il bacio con un passo d’acrobata,
assorta, e il riso della pelle t’era
mantello e fuoco.
Del celeste rito
torna talvolta un lampo, e si dischiude
la festa del tepore: era velluto
la sera alla campagna, e nella stanza
dolce sorgeva e impetuosa la danza
delle carezze. Il grido della perdita
e del ritrovamento navigava
nel cielo senza tempo dell’amore...

                                    Antonio Prete


Amore popolaresco


FIOR DI MORTELLA

“Fior di mortella,
lo damo mio che ha fatto il marinaro
dice che son del mondo la più bella!”

Rimboccata la gonna di lanetta,
sui bei fianchi che oscillan sotto il passo
cadenzato pei viottoli scoscesi,
bilanciava sul cercine la stia…
Le belle forme, erette come un fiore,
scendevan la stradetta dirupata,
traendo seco come fior profumo…

Mortella verde, profumato timo,
lentigginosa scopa, e foglie secche…

                                    Enrico Pea

MADONNA DELLE GRAZIE

Madonna delle Grazie, le feste
del luglio, tornando al paese:
al cominciare del mese
il vespro nella grande piazza agreste.

Profumo di vacche e spiganardo,
nel cielo la luna falcata,
i lumi da un’altra inferriata,
lumini accesi e un prete tardo.

La coda dei fedeli
si pigia sulla via nazionale:
autisti del nord passano e rallentano
davanti al mistico baccanale.

Sono costretti a cambiare marcia
ora che approdano nel sud:
noti la gente che sobbalza,
rumori di clacson. Nulla più.

                                    Ottaviano Giannangeli

LE MANI DELL’OPERAIO

Dice il Signore a chi batte
alle porte del suo Regno:
– Fammi vedere le mani.
Saprò io se ne sei degno.

L’operaio fa vedere
le sue mani dure di calli:
han toccato tutta la vita
ferro fuoco metalli.

Sono vuote d’ogni ricchezza,
nere stanche pesanti.
Dice il Signore: – Che bellezza!
Così sono le mani dei santi.

                                    Renzo Pezzani


Amore crepuscolare


DI MAGGIO

Sotto il pensoso, nuvoloso maggio
un violino, giù in strada, geme.
Oh se in quest’ora priva di coraggio
fossimo insieme!

Per le velate case e la collina,
tenera snoda una campana il canto.
Saprò se in questa povera mattina,
amore, hai pianto.

                                    Francesco Gaeta

Pablo Picasso,
“Donna con ventaglio”, 1908. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage. - Archivio BPP

Pablo Picasso, “Donna con ventaglio”, 1908. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage. - Archivio BPP


CAMPANE A SERA

O arcana
campana
lontana,

che in questo silenzio de’ campi t’effondi
con dondi gementi, soavi, profondi,
e i sensi d’ignara mestizia confondi;

o arcana
campana
lontana,

qual onda di sogni, d’amari rimpianti,
tu al core mi mandi, ma incerti, ma erranti,
ma solo all’umana tua voce balzanti!

O arcana
campana
lontana,

è l’ora che l’ombre si fanno maggiori,
e affiocano i trilli de’ grilli sonori;
è l’ora che han tregua nel sonno i dolori.

O arcana
campana
lontana,

divina è la pace che piove da’ cieli:
s’inclinano i fiori su gli umili steli,
e òrano in coro le rame fedeli.

O arcana
campana
lontana,

ma erede d’oscuri misfatti che sento
nel petto echeggiarmi con lungo lamento,
io solo, se t’odo, più cupo divento,

o vana campana che muori nel vento.

                                    Giovanni Alfredo Cesareo


AUTUNNO

L’autunno di ramo
in ramo si raccoglie
come un uccello al vento:
e un lamento di foglie
mesce con un richiamo
di piogge, di fontane
e d’ombre. Il pianto
vaga in aria a lontane
solitudini, oscilla
di villa in villa,
e scolora ogni fronda.

                                    Ceccardo Roccatagliata Ceccardi


Amore raffrontato

MONGOLFIERA

Pigra la terra si fa tutto dorare,
io non mi stanco di guardare i monti
che vanno insieme come persone:
balena la rondine sui rossi tetti,
a valle è autunno, augurio di pioppi.
Qui presto farà notte il mio richiamo,
ma dentro l’aria che ti tiene
tu sali felice mongolfiera:
io resto in sogno una lacera figura.

                                    Libero De Libero


COME IL PANE

… Gli occhi al cielo stupore incanta:
occhi e luna hanno un solo albore.
Batte l’astro sul labbro schiuso
sopra i denti sostanza-di-luna.

Come il bimbo nel seno materno
chiuso è il silenzio ma vivo.
Lievita il grembo, lievita l’aria
tutto il mondo fa il pane di vita.

                                    Francesco Flora


DOPOPRANZO

Dopopranzo è già scuro. Piove
non dal cielo, scola dai tetti.
Anche il tempo volge a dispetti,
eterno che non si muove.

E di dove mai questi gatti
per amore gridano rabbia!
Non so neanch’io che cos’abbia
a scegliermi i suoni; infatti

altri non ne ascolto, ed ecco
stanno dentro me, non fuori.
Rumori come malumori,
li voglio perché mi ci secco.

Tu invece, che cosa ti prende?
Proprio ora mi cerchi la mano;
mi assicuri, tanto ci amiamo,
mica è acqua, è sole che splende.

Scene! Scolorano all’uso.
Figure di un dramma a fumetti.
Non so davvero che aspetti
a farmi il muso, se ho il muso.

                                    Eurialo De Michelis


STUPORE, PERCHé MAI…

Fui sempre, come ora, adolescente
ambiguo; turbamento di mestizie
musicali, – erbe che una notte indugi
a blandire e confondere…
Il giovinetto amava
centellinarti, amara sera e dolce,
presso ruine
tacite e bianche.
Ma un frùscio nel sentiero,
di foglia o di fanciulla,
nel cuore sobbalzante
insinuava un sogno
di gettarsi – di darsi
in regalo per nulla.

Tenui ombre impallidite
oscillano nel luogo
deserto e qualche fiore ne sospira.
I ricordi mi tangono; il passato
abita qui ancora; il luogo intorno
compone un regno pieno di bisbigli…

                                    Aldo Capasso


LA MELAGRANA

Dio così ricco, così vivo, come
una melagrana aperta:
e i chicchi sono gli uomini, compatto
sangue che brilla di color rubino.
Dio terrestre, colore del mattino,
sangue puro, entusiasta, che ribolle
serrato in te nelle tue brevi ampolle,
sangue, color del vino!

                                    Lino Curci


L’AMBIGUA SORTE

Nato sulla Pescara e sul Sangro
a uno sprazzo dal mare
e nel cuore delle montagne

(il catino di nevi
alte muraglie
lo specchio d’acqua
azzurro diaspro)

l’infanzia nei due mondi
tra nostalgie perenni

(tra indicibili scontri
di libertà-oppressioni)

per fronte un filo di macerie poi

(perennemente noi
sulle due parti della barricata)

studioso d’algebra e di poesie

(l’immaginario reale
nel determinante quotidiano
i punti all’infinito
di una irrealtà reale)

e questo porto infine
dove non approda

(l’ambigua sorte d’essere
ciò che non si è mai).

                                    Pasquale Scarpitti


ALLA FIGLIA DEL TRAINANTE

Io non so più viverti accanto
qualcuno mi lega la voce nel petto
sei la figlia del trainante
che mi toglie il respiro sulla bocca.
Perché qui sotto di noi nella stalla
i muli si muovono nel sonno
perché tuo padre sbuffa a noi vicino
e non ancora va alto sul carro
a scacciare le stelle con la frusta.

                                    Rocco Scotellaro


Amore nell’arte poetica


ALLA “GROTTA DELLA POESIA” DI ROCA VECCHIA

Se mi siedo sul ciglio
di questa voragine
scavata nei sassi,
se m’affaccio a guardare
nel piccolo specchio d’acqua
del fondo,
e mi metto ad ascoltare
il tonfo del mare,
e sento tra le dita
la grana antica di questa terra,
comprendo che siamo rimasti noi soli
e i pallidi voli
di qualche gabbiano.
Antica “Poesia”,
poesia dimenticata,
la tua voce rimane inascoltata
come la mia.
Mi calo nel tuo fondo
e canto,
tanto
non ci ascolta nessuno,
perché diciamo le stesse cose,
perché abbiamo la stessa voce
antica e triste del passato.

                                    Rina Durante


IL NOME CHE TI DO

Hai il nome
che ogni altro nome precede
sei la Parola
che cuce il giorno alla notte.
quando lemure s’alzi
o che al deserto scoglio
il vento porti polline di grida
(s’alzano gli albatri
e tagliano il buio marino
lungi dai nidi
attratti da remoti naufragi)
allora vienimi incontro
Parola
muovi il silenzio
prometti l’alba
fammi la strada
andiamo.

                                    Gino De Sanctis


ME NE STO

Me ne sto dentro la parola per riemergere
intatto e puro sul fare d’un giorno
che mi vedrà solitario camminare
in un giardino d’illusioni, ma pur sempre vivo
di sillabe che nutrono suoni
d’arpe mai uditi. La parola avrà cura
d’insinuarsi nella carne teneramente
col garbo e la violenza di una donna
vissuta e ammaliante e costruirà la bara
su cui navigare all’infinito.
La poesia è un viaggio inconsueto
che esce ed entra nel dubbio della morte,
una radura di dissensi che si fa luce
e si consuma al primo chiarore dell’alba.

                                    Dante Maffia


Amore trasfuso dall’arte

PER UN PAESAGGIO DI CIARDO

Leuca d’un’ansia (o un’ala) si contiene
fremida al bordo sonnacchioso – e i morti,
nel corvo sbatacchiato, sono morti
ieri?... Vedrai blandirli le Sirene.

O gli olivi. Ed allora, azzurre vene
scoppiano, roccia e mare, e lampi assorti
le confidano all’ocra, ove tu porti
voglie d’estasi antiche (cantilene…)

– antiche. Oh Leuca! Nel riquadro l’oro
si scialba, e solo un cuore fa cornice
alla tela di sonno che ti finge…
E abbiamo noi, rigurgito canoro,
le Sirene negli occhi – èsca felice
ai morti, al sogno d’una nostra Sfinge.

                                    Vittorio Pagano

 

Particolare della “Famiglia di contadini a mensa” di Giandomenico Tiepolo. Foresteria di Villa Valmarana, Vicenza.

Particolare della “Famiglia di contadini a mensa” di Giandomenico Tiepolo. Foresteria di Villa Valmarana, Vicenza.


BAROCCO D’ANGELI

Meridionalità,
stella polare,
aratro abbandonato, oliva nera,
rosario appeso a un chiodo
d’oltremare,
alte foglie di tabacco
e Barocco, barocco d’angeli
per nascondere il pianto
silenzioso dei Morti di scirocco
fra il manto di pietra.

                                    Ercole Ugo D’Andrea


LECCE

Il giogo del calcinaccio
nella pietra porosa.
La brusca decisione
dei Cristi
nelle chiese.
L’invito soffocato
delle braccia bloccate
del teatro.

Il triste soliloquio
del santo nella piazza ed
il continuo mescere
le frasi
dei contadini
in beghe nel tuo foro.
Il limite di vigne
e di contrade
spaccate dalle preci
di donne nere
e gonfie.

E le vocianti truppe
dei sapienti guerrieri
espugnano e violentano
la tua fertilità e
ti allontanano
sterile e secca nel tuo alibi.

Un lento accordo di pietra
e di divino,
di tabernacoli gonfi di sospetti/ nelle silenti strade
che menano a quel Refe
che ti lega
indissolubilmente ti stringe
contro il petto del sole.

Un sole che ti lascia
strana, mentre vorace,
sui tuoi carmi
continua a banchettare.

                                    Claudia Ruggeri

 

Edouard Manet, “Nana” (“Ragazza allo specchio e uomo seduto”), 1877. Il quadro fu considerato scandaloso e oltraggioso della morale. - Archivio BPP

Edouard Manet, “Nana” (“Ragazza allo specchio e uomo seduto”), 1877. Il quadro fu considerato scandaloso e oltraggioso della morale. - Archivio BPP


MASACCIO

Colori delle stelle, pace inquieta
di lumi, come, a mezzanotte, spira
lungo il Valdarno un vento di mestizia.

È l’ora delle tenebre, che asciuga
le gole ai cani, e che le nubi
fa mute, quando, tra le torri,
l’ultimo rintocco si fa nero.

Ritorna allora, ogni notte,
rilucendo d’acqua,
tra le giuncaie urlando la larva
eternamente di Masaccio in fiamme…

Corpo pieno di sangue che scuriva
abbandonato sopra l’erba nera,
seppi i colori delle stelle, per l’ultima
volta gli odorosi colori della notte
e, in quel bianco sogno,
il rosso del geranio, il quadrifoglio,
il riso della donna, l’incarnato,
il bianco della neve, il gelsomino,
il nero della mora, il bruno argento,
l’azzurro del cielo, l’Arno chiaro,
il raggio della luna, il rame lucido,
i capelli del bimbo, l’oro puro,
il chiarore dell’alba, il sole intero…

                                    Enzo Fabiani

TEMPLI DI AGRIGENTO

Rovine, non più vive di canti, di danze, di preci,
d’incensi ai piedi dei propizi numi,

eppure eterne. Tutto trascorso è nel mondo: la gloria
di capitani insigni, di Empedocle e Terone;

perfino gli dèi sono svaniti per sempre. Soltanto
l’opera eretta a gara con Dio resta, sì, rotta
e frantumata, ma tuttora in cospetto del mare,
baciata dalla luce, carezzata dal vento.

                                    Federico De Maria


Amore trasfuso dalla Storia


CAERE

Soavi donne di Caere
belle donne intorno alla Necropoli!
alla fiorita Necropoli etrusca,
alla fiorita di rose stupende
(aperte e bianche quali ali di colomba,
altre chiuse, a bocciuoli, rosse e nere
il cui profumo a pieno respirai!).
Oh Cerveteri etrusca,
venni, da Roma, molte volte a ritrovarti!
(I tuoi lauri immensi, le tue mimose chiomatissime,
le ghirlande di edere,
intorno alle nere occhiaie dei loculi vuoti).

Fiori fragranti
crescono agli orli delle tombe convesse;
a cupole vaste come i cieli…

Salve, in ispecie a te,
cimitero degli Etruschi.
Le strade solcate dai funerei aurighi
sono piene d’aria buona
risplendono al sole e sono ricche di fiori.
Oh le dolci, a percorrere, strade dei morti antichi,
con piede lento meditando
sopra il loro che fu il più sereno esistere!
Scavarono, gli Etruschi,
tumuli a diagonale fra Terra e Cielo.
Oh il desiderio del trapasso
gradito nella necropoli di Caere!
Morire in mezzo a voi, padri antichi!...

                                    Luigi Bartolini


SPARTA

Tanta gloria fu pianto alle Termopili,
nella stessa Platea. Di quei prodi
non altare, ma polvere che il vento
consegna sui cipressi e sulle case
di questa Sparta che ne usurpa il nome
in faccia all’Eurota. Così il tempo
devastando si vendica e tacendo.
Non c’è gloria nel pianto, né potenza
che non lasci nel vento le sue tombe.

                                    Luigi Fiorentino


BERLINO EST

Piove a Berlino. I corvi
volano bassi fra gli alberi.
Passano le formiche sotto la Bahnhof
fra grattacieli di carta e antichi
casamenti murati sulla bocca.

Che vuoi di più? La cattedrale nero-barocca
risana giorno dopo giorno le sue ferite,
gli operai sono liberi: bevono acquavite
e badano jeder tage
al gute Bilanz.

Tutto scorre: la stagione, la tua vita
la mia, tutto è in regola. Eppure
questa, della terra, è una
profonda ferita.

                                    Aldo De Jaco


VOI CHE VIVETE SICURI

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome
senza più forza per ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

                                    Primo Levi


Amore per Calliope


LA SPERANZA (SUL TORRENTE NOTTURNO)

Per l’amor dei poeti
principessa dei sogni segreti
nell’ali dei vivi pensieri ripeti ripeti
principessa i tuoi canti:
o tu chiomata di muti canti
pallido amor degli erranti
soffoca gli inestinti pianti
da’ tregua agli amori segreti: chi le taciturne porte
guarda che la Notte
ha aperte sull’infinito?
Chinan l’ore: col sogno vanito
china la pallida Sorte…
Per l’amor dei poeti, porte
aperte de la morte
su l’infinito!
Per l’amor dei poeti
principessa il mio sogno vanito
nei gorghi de la Sorte!

                                    Dino Campana


DIARIETTO INVECCHIANDO - VII

Tu, poesia, come serpe in letargo
tardi a destarti, quando siamo vecchi,
e non si sa se son sogni le gemme
che invece ributtano dal cuore secco,
e non si sa se anche questo non sia
già come l’ombra di un ramo fiorito:
o tu che fai compagnia all’età
che s’attarda e s’arrotola
freddolosa e incredula,
e che in desiderio e spavento
sei sempre più sola, poesia e patimento.

                                    Carlo Betocchi


ARTE POETICA

Sospirata parola, che alla fine
mi sei giunta, m’hai colto
in un momento di disattenzione,
e ti vuoi improvvisa, non cercata,
sfuggente al gesto raro, alla misura
esorbitante. D’una riga t’orli
di mare, gonfi in nube, ti dibatti
come colomba, sorgi in cima al semplice
respiro della voce, all’indolente
mano che ti scandisce, ed urgi – trepida
cosa tra cose – a collocarti in questa
calda, iridata, precisa esistenza.

                                    Sergio Solmi


IL POETA ATTESO IN PARADISO

(Sergio Corazzini)

… Egli è come un artefice di minio,
che dipinse nel giorno una Madonna,
e molto azzurro accolse su la gonna,
diede alle labbra un tocco di carminio,

e a sera addormentandosi soave,
vide nella sua cella di lavoro,
come in un tempio fulgido e canoro,
Maria che sorrideva dolce e grave…

Canta il poeta la serenità
né si ricorda più quanto ebbe pianto…
Domani all’alba, e forse a mezzo il canto,
per non destarsi più s’addormirà…

                                    Fausto Maria Martini


Amore per la musica


SERENATA

O dei grilli in cadenza solitaria
ai poggi senza stelle
dentro il bagnato alitare dell’aria
tenui serenatelle!

Cos’è la vita con  sue rabbie a voi
persi nei solchi fuori
all’ombra inerte, o di silenzi a noi
dolcissimi cantori?

Anima, intona la tua voce e nulla
non domandare più:
càntati la canzone della culla
mentre declini giù.

                                    Clemente Rebora

 

Particolare delle “Figlie di Lot”, di Carlo Carrà, 1919. Rovereto, Museo di Arte Moderna.

Particolare delle “Figlie di Lot”, di Carlo Carrà, 1919. Rovereto, Museo di Arte Moderna.


Amore mistico


CILICIO

Notte che pari, così serena d’ombre,
affresco di cenobio, in te mi chiudo
e prego come in una cella,
tra lo scampanio dei convolvoli di seta,
nel curvo giardino, ove una stella
era caduta, una volta, ai richiami del poeta.
– Signore d’Assisi, se pure il mio male,
che germina occulto, potessi domare;
ma quale ricchezza donare?
Talvolta non ebbi nemmeno quel pane
ch’ha sempre chi chiede e chi impreca.

O mio Francesco, intriso di rugiada
che pare sangue, e di ferite acceso,
un cilicio ho trovato per la strada
e lo porto sul cuore, e non ha peso.

                                    Salvatore Quasimodo


VULTUM TUUM DOMINE REQUIRAM!

Quando verrà, Signore, quel beato
giorno che d’ogni vana
cosa su me l’oblio
disceso alfine, soli resteremo
Signore, Voi ed io?

Così come, spariti all’orizzonte
del vespero i fallaci
miraggi ed i mutevoli splendori,
nell’improvvisa pace soli a fronte
stan cielo e terra, e a poco a poco inchina
il cielo, e suoni e palpiti e colori
nel suo seno compone austeramente,
in un’immensa tacita armonia.

                                    Maria Barbara Tosatti


TERRA

Dio con l’occhio cieco e fisso
guarda le tenebre e l’abisso.
Ora sorge fino a lui
preghiera. La mano di Dio
cala giù nei regni bui,
cala verso quel ronzio.
Dio con la sua mano ghiaccia
tocca la terra come una faccia.

Riconosce mari, deserti.
Riconosce rupi, rive,
la dolcezza dell’acque vive;
ondeggiare sente le selve,
formicolare uomini e belve;
nella calda umida terra
ficca l’unghia sua superba,
riconosce ogni filo d’erba.

Allora tutta la terra freme
come ventre per amore,
l’onda si gonfia come un cuore,
come un cuore si gonfia il seme.
Splendono rupi ed altari
tuonano i mari.

Ma con gli occhi ciechi e fissi
Dio sta curvo sugli abissi
ove la terra un dì ghiacciata
dalla sua mano sarà scagliata.

                                    Ugo Betti


PREGHIERA

Qui o là, Signore,
non so dove mi dirai di posare.

Ma è tutto un ponte
sopra il mare
e non ci sono due lingue e due isole.

È unica la vita, la parola, la morte.

È unica la voce degli uccelli,
e il gracile cantare
per le tue verdi isole sul mare.

                                    Antonio Barolini


QUESTA L’ECLISSE

Questa l’eclisse che abbiam vista insieme.
L’altra ci attende ad uno ad uno:
non sarà divulgata dai giornali
o trasmessa dalla televisione,

non vi saranno scienziati in subbuglio
né telescopi puntati a spiarla,
e nemmeno il commento degli uccelli,
la loro gioia dopo l’ansia.

Prevederla è impossibile.
Una creatura, sola,
avanzerà sull’orlo della tenebra
e fisserà l’orrore
d’un sole che si spegne.

E su lei sola poi verrà la piena
della luce stupenda, in un ritorno
mille volte più intenso
– ma non più in questo mondo.

                                    Margherita Guidacci


OGGI, SENZA CAMPANE

Oggi, senza campane,
è risorto il Signore al mio paese.
I superstiti non hanno più chiese
e solo il vento raccoglie gli olivi.

Forse i poveri morti rassegnati,
sepolti quattro palmi sotto il grano,
potranno udire il coro di campane
dei campanili diroccati.

(Nell’alito d’aprile, sul sagrato
fioriscono le prime margherite
ma nessun passo le calpesta più).

Sopra la nostra amarezza di vivi
Gesù sei ritornato:

ora cammini
sulle macerie – scalzo.

                                    Luciano Luisi


PREGHIERA DEI PASTORI DI SARDEGNA

Puoi udirci, Signore? Non sappiamo pregare!
Non troviamo parole, leggère come fiori,
quali Ti salgono dalle labbra dei preti,
e i nostri volti, saldati dalle pene,
fanno timore, non portano al perdono!
Odoriamo di capra, di denso concime,
pensiamo solo all’erba, al cacio, alla lana,
sogniamo l’acquavite, balli sui sagrati,
l’amore cantiamo, e imprese di banditi.
Non possiamo elevarti le lodi delle Chiese,
non sappiamo pensare alle cose dei Santi!
Però, se torni, anche in carestia,
gli agnelli uccidiamo, per farTi la cena.
O Dio del cielo, Ti tendiamo le mani:
Tu non guardarle, sono tanto scure…
Siamo pastori, non sappiamo pregare!

                                    Tonino Ledda


BEATO IL CONTADINO

Beato il contadino,
lui lavora il campo che brilla,
nel cielo che fa festa;
beato il navigante,
lui tranquillo aspetta sulla prua
che il delfino innocente si avvicini.
Beato chi vive come il fiume
secondo che dice natura.
Beato chi semplice vive
felice per un cibo profumato
dopo la fatica del giorno.
Beato l’umile che sorride
per un’altra sera
che gli è dato vedere,
e la notte immensa l’avvolge
e l’inonda di serena speranza.

                                    Mario Tobino


CIMITERO DI KOSSEN

Oasi antica di pace e di memorie
è un cimitero sui selvaggi monti.
A Kossen la morte è un paradiso
d’uccelli, uno svariare di colori
sulle lapidi nere, incise d’oro.
Se i paesi or mi tornano leggeri
come un affresco dissepolto, imparo
una preghiera inventata dal vento
sul cangiante velluto delle valli.
La terra è un fresco di rugiada, Cristo
è un silenzio di lacrime, pietosa
neve sul rosso strazio delle folgori.

                                    Alberto Frattini


Amore patriottico


MIO POPOLO

Eh eh, ragazzi, la vita
non è poi così preziosa.
Biglietto d’ingresso pagato:
arginare, scassare, murare,
fucinare, fresare, montare.
Combattuto col piccone
mai perso callo alla mano.
Ferite: due dita di meno.
Nostro letto abituati a portarlo
lontano.

Eh eh ragazzi, la vita
non è poi così preziosa:
sentite le condizioni:
tribolare, emigrare, ammalare,
ospedali, camorre, prigioni.

Ehi, ragazzi, la guerra sapete
non è poi tanto cattiva:
almeno nelle antiche storie
alla fine si moriva.
Quanto alla nostra grande Patria
la nostra parte di terra nativa
nel sacco, spatriando,
c’è sempre entrata.
A spalla è tanto che la portiamo.
Nello zaino non la perderemo.

Noi della guerra di tutti i giorni
quando ci leviamo
un momento a cambiare le armi
e partiamo.

                                    Piero Jahier


Amore universale


IGNORABIMUS

Certo un mistero altissimo e più forte
dei nostri umani sogni gemebondi
governa il ritmo d’infiniti mondi,
gli enimmi della Vita e della Morte.

Ma ohimè, fratelli, giova che s’affondi
lo sguardo nella notte della sorte?
Volere un Dio? Irrompere alle porte
siccome prigionieri furibondi?

Amare giova! Sulle nostre teste
par che la falce sibilando avverta
d’una legge di pace e di perdono:

“Non fate agli altri ciò che non vorreste
fosse a voi fatto!” Nella notte incerta
ben questo è certo: che l’amarsi è buono!

                                    Guido Gozzano


Amore per la vita


IL DESTINO DEGLI UOMINI

E dissi al fiume: – lasciami passare!
Rispose il fiume: – e per andare dove?
Anche di là uomini e donne… – Il bove
mugghia ugualmente e pungon le zanzare.

Che speri?... L’istesse acque, dolci, amare,
lungo l’altro mio margine! E un dì piove,
un dì fa bello. E la stessa aria muove
la favolosa selva che ti pare.

Sempre sull’altra sponda il ben che agogni,
uomo: il bene perduto o invano atteso.
Io freddo in mezzo, tra il sognante e i sogni…

Sempre, sopra la testa alto sospeso
il tuo fato, se vai, se stai. Per ogni
strada, da trascinar, sempre, il tuo peso.

                                    Francesco Chiesa


Amore e violenza


LA MADRE DI ORGOSOLO

La madre cerca il figlioletto ucciso:
era una palma, un fiore di narciso!

E aspettandolo, in pianti s’addormenta:
un vento di vendetta fuori venta.

Sognando cerca tutta la campagna,
la valle il piano il bosco la montagna.

E cerca e cerca lo ritrova in cielo,
con la mandra, in un campo d’asfodelo.

“O mamma, t’aspettavo e sei venuta:
ma come piangi, come sei sparuta!

Oh rimanti con me! Ecco, è l’aurora
e il padre, il padre mio non viene ancora”.

“Babbo non viene ancora a queste parti,
è rimasto laggiù per vendicarti!”.

                                    Sebastiano Satta


IL RAMO NUDO

Il vecchio tronco del ciliegio
apre braccia fiorite
tutta espande la sua anima bianca.

Anche la quercia è desta
sul ciglio serenato del torrente.

Quale albero
ha scorza tanto dura
da non muovere gemma a primavera?

L’uomo mantiene nudo
per l’ampia terra il ramo di Caino.

                                    Giuseppe Gerini


Gino Severini,
“Maternità”, 1916. Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca. - Archivio BPP

Gino Severini, “Maternità”, 1916. Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca. - Archivio BPP


Amore per la testimonianza


SICCITà

Visi cotti riversi contro il cielo,
mani deformi al legno della vanga,
cupa speranza di contorti piedi
sulla terra riarsa
ove il grano declina,
sciacquare torbido del fiume
come ossa bianco di sassi,
l’ululo del cane che patisce
il sole immoto,
le bestie fiaccate
altro cielo agognano
di nubi,
e muggiscono lontane,
le mammelle vuote
quasi oscene sacche di dolore.
Occhi secchi, piagati dall’arsura
sotto la fronte la cui pelle cede
fatta vecchia anzitempo.
Fianchi senza forma
delle donne stanche,
sfiniti i bimbi
e pietosi di sé,
privi di sogni.
E il nulla ovunque,
ovunque l’orrore di un palpabile
nulla.
Accosciati gli uomini alle porte,
indifferente disperazione
dettano spietati sguardi –
atroci
di fame e patimenti antichi –
al tramonto che è alba polverosa.

                                    Alberto Mondadori


Amore erratico


Forse è la vita vera.
Il carro dipinto,
i cavalli selvatici e docili, ebbri di vento,
le belle figlie in cenci,
la mensa a bivacco furtiva sotto gli astri,
la strada bianca del mondo.
Io tornerò nella prigione potente
dove comando
e sono comandato:
io sfrenerò, di rabbia, i miei puledri ideali
sulla pista del sogno, a cuore morto, a stanca sera:
e per l’amore
mendicherò la mendicante mia a qualche buio di strada.
Io pago la carne con mano che sembra
chiedere anzi donare elemosina.
E la mia via
è una rete di fogne
dove altro non luce che l’occhio del sorcio.
O Zingari, scoiatemi vivo, allo spiedo arrostitemi
fra due tronchi di selva!
Sono un poverissimo figlio di civili
che adora la barbarie.

                                    Paolo Buzzi

 

FORESTIERO IN OGNI LUOGO

Forestiero sono stato in ogni luogo
più del lucchesino in Brasile
che vende re di scagliola.
Sono andato di paese in paese
come il piccolo calabrese
astrologo e ombrellaio
ho risparmiato e sprecato.
Sono stato più paziente del muratore
che attraversa il mare
per alzare un muro in Australia.

                                    Raffaele Carrieri


RAGAZZA DEI MARINAI

Nella bruma del molo dormirai
mentre sul filo del Tropico i pesci ballano
e nel Nord s’invetrano i ghiacciai.
Noi sporchi di fuoco di sale di carbone
viaggeremo col cuore scucito
come un portafogli,
ti indicheranno le dita rugose
gli aghi sicuri delle bussole pazze
ad altri vagabondi dolorosi
a quelli che cercano il fioco fanale
una tiepida immagine, la tua mano
per non vedere la folla verde e amara
di alghe, in questo mare.

                                    Bartolo Cattafi


LE FOCI DEL TRONTO

Non raccontarmi più favole lunghe
di lucerne, demòni e ripostigli
dentro stanze annerite da millenni:
quando il giorno sarà precipitato
tra quei colli e le frange dei ciliegi,
rapido guaderò, senza bagnarmi,
le foci del Tronto – già gonfie di nevi.

                                    Giammario Sgattoni


Amore per il bozzetto


TRE GIOVANI FIORENTINE

Ondulava sul passo verginale
ondulava la chioma musicale
nello splendore del tiepido sole.
Eran tre vergini e una grazia sola.
Ondulava sul passo verginale
crespa e nera la chioma musicale.
Eran tre vergini e una grazia sola
e sei piedini in marcia militare.

                                    Dino Campana

 

Felice Casorati, “Giubbetto rosso”, 1939. Mart, Collezione L.F., Rovereto. - Archivio BPP

Felice Casorati, “Giubbetto rosso”, 1939. Mart, Collezione L.F., Rovereto. - Archivio BPP


PACE INCERTA

Sotto il cielo di aprile la mia pace
è incerta. I verdi chiari ora si muovono
sotto il vento a capriccio. Ancora dormono
l’acque ma, sembra, come ad occhi aperti.

Ragazzi corrono sull’erba, e pare
che li disperda il vento. Ma disperso
solo è il mio cuore cui rimane un lampo
vivido (oh giovinezza) delle loro
bianche camicie stampate sul verde.

                                    Sandro Penna


LA GRANDE JEANNE

La Grande Jeanne non faceva distinzioni
tra inglesi e francesi
purché avessero le mani fatte
come diceva lei
abitava il porto, suo fratello
lavorava con me
nel 1943.
Quando mi vide a Losanna
dove passavo in abito estivo
disse che io potevo salvarla
e che il suo mondo era lì, nelle mie mani
e nei miei denti che avevano mangiato lepre in alta montagna.

In fondo
avrebbe voluto la Grande Jeanne
diventare una signora per bene
aveva già un cappello
blu, largo, e con tre giri di tulle.

                                    Luciano Erba


LA VALLETTA DI TEMPE

Sui magri prati s’inarcava il marmo
dell’acquedotto ed era soglia immensa
al tuo bianco apparire.

I giovinetti
nel fiume nudi una rosata ridda
erano e antica, risplendeva amore
tra le canne esiliato: s’attendeva
la ruota ferma del mulino, l’erba
fredda, il cielo incrinato da un segnale

di ciminiere sopra l’altipiano.

                                    Beniamino Dal Fabbro


STAZIONE DI PAESE

Il treno ansò, fischiò. Con un fragore
cupo di ferri trasalì, si scosse;
poi, fumido e grondante nel chiarore
del primo Sole, palpitando mosse.

E la stazione, col suo tetto afflitto,
ammalata di tedio e di malaria,
col tiglio dietro e un nome in fronte scritto.
si rannicchiò più triste e solitaria.

Si rannicchiò, dopo la brusca sveglia,
presso le sue rotaie. Come scialle,
per l’ozio lungo del suo dormiveglia,
l’ombra del tiglio aveva sulle spalle.

E ancora lungo i fili e nelle tazze
ronzava l’eco della lontananza
e della vita. – Oh quante corse pazze –
diceva il tiglio – dietro la speranza –.

E rimase soltanto il suo fruscio
sul tetto giallo, mentre un negro velo
di fumo aliava ancor fra il tremolio
dei rami, in alto, e si perdeva in cielo.

                                    Nicola Vernieri


L’UOMO DI PAGLIA

Immoto giace, nel vestito nero,
come parato ad ultimo convito,
l’uomo di paglia che non ha pensiero.

Ferve la vita intorno alla sua morte:
su gialle stoppie s’alzano i covoni;
egli non sa l’altrui né la sua sorte!

Pure per tanti giorni egli difese
con fiero gesto la granita spiga
ed agli uccelli il chicco ne contese.

Pur negli effluvi lenti delle sere,
quando son rosse le tenaci glebe
o le voci s’effondono in preghiere

e vanisce nell’aria ogni sussurro,
ogni tremulo fiato ed ogni raggio,
stemperandosi il bosco nell’azzurro,

ebbe l’eguale gesto di minaccia,
nell’eguale sembiante corrucciato.
Or giace al suolo con aperte braccia!

Fra risa e canti un braccio nuovo scaglia
il suo tesoro nella ferrea trebbia:
egli inutile giace, arida paglia!

                                    Edvige Pesce Gorini


Amore per il paradosso


CHI SONO?

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
“follìa”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
“malinconia”.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
“nostalgia”.
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

                                    Aldo Palazzeschi


PERCHé

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?

                                    Sergio Corazzini


VESPRO

Vespro: un cielo che, senza
colore, si confonde
con un mare senza onde;

e la scialba parvenza
d’una vela inquieta
che va, senza aver meta.

Vespro: una sonnolenza
indefinita che
forse è senza perché;

ed un sogno che va
peregrinando, senza
mutarsi in realtà.

                                    Mario Venditti


Amore per i versi giocosi


E VATTENE…

E vattene, sei troppo innamorevole!
Sei troppa seta per questa plastica rotta,
troppi smeraldi, fibbie con cinghiali,
e quando ti carezzi lo sguardo con le ciglia
io Ravenna e Pisa su un sedile
non so da dove cominciare a ammirarle,
né so guidare con un Tiziano accanto
che di sbieco e lontano tra alberelli
mostra come un segreto un’acqua azzurra
ma di un azzurro che non è che un’idea,
l’idea del fondo che sta di là del fondo
di un labirinto come te di bellezza,
che dall’avorio ti porta alle perle
e dalle perle alla schiuma del mare
e dalla schiuma… Scendi da questa macchina,
sei troppo interamente seducente!

                                    J. Rodolfo Wilcock


CITTà FERMA
(Sciopero generale)

Stagni di piazze,
con chiazze d’uomini fermi,
con vermi
di cani adiposi.
Paludi di verdi giardini,
mobili ninfee di bambini,
e canne leggere
d’agghindate cameriere.

Canali di scie:
malinconie d’onde morte,
di donne sulle porte,
di fanciulli sui cantoni, accovacciati.
Persiane semichiuse,
e pupille buttate a mezza via,
nella ricerca
d’una sagoma d’uomo,
o d’una fortuna di pane.
Fame. Fame. Fame.

Lentezza di cose, tra i palazzi più immobili,
quasi stanchi,
coi cestelli-balconi, che porgono
l’offerta di capelli di fiori.

Là, nel quadrivio più grande,
casacche di bitume,
fiume d’abbandonato lavoro,
urtante l’oro,
scivolante tra l’argento
delle borse signorili,
e il vento motteggiatore,
che buffa le odorose signore
sulla faccia dell’aspro popolano.

Qualche solitaria vettura
che sguiscia,
che striscia
con gomme;
qualche nobile automobile
veloce,
con la voce unica, stridente,
nella densità dell’inerzia,
e in fretta,
che sgambetta,
il campanello rapido
d’una lunga-lunga bicicletta.

Non lotta. Non fervore.
Stupore di gente.
Pesantezza. Gravità di rabbie chiuse.
Mare di calma.
Oceano d’ossessionante tranquillità.
Stupidità di fumaioli anneriti
(illividiti giocolieri del fumo)
e fabbriche condannate a morte.
Spranghe alle metalliche porte…

                                    Luciano Folgore


SCHERZO…

Vidi mutarsi il vecchio della panca
in una statua senza base. Gli alberi
puntare le radici e sollevarsi.
Volavano gli anemoni e le rose
come farfalle, e un angelo di pietra
lasciò una chiesa e si posò sull’erba.
Se guardavo, lontano, camminare
gli uomini, mi parevano i lor gesti
come un volare di foglie che il vento
a fior dell’erba scherzando sparpaglia.
Libere e snelle fuggivano ruote.
Mi si staccò dal petto il mio pensiero
e innanzi a me lo vidi andar correndo
somigliante alla donna che ho nel cuore.

                                    Libero Bigiaretti


PER LA FINESTRA NUOVA

Bella la finestra del verde lungamente
lungamente composto, sogno a sogno,
orti o prati non so; ma quanta brina
prima ch’io mi convinca, quanta neve.

Verde del grano che alzi il capo e irridi
tra l’incerto oro e il vuoto:
tu, mia finestra, e tu, cielo, che porti
a me tra placidi astri gli squillanti satelliti

che il gioco umano ha lanciati, con lampi
di fantascienza, a vagheggiare in orbite
leggiere i colli, e li vede a piè fermo
il bue sul campo arato e la vite e la luna.

O mia finestra, purezza inestinguibile.
Per farti spesi tutto ciò che avevo.
Ora, non lieto, in povertà completa,
ancora tutti i tuoi doni non gusto.

Ma tra poco
tutto mi darai quel che anelavo.

                                    Andrea Zanzotto


SERA A BEDRETTO

Salva la Dama asciutta. Viene il Matto.
Gridano i giuocatori di tarocchi.
Dalle mani che pesano
cade avido il Mondo,
scivola innocua la Morte.

Le capre, giunte quasi sulla soglia
dell’osteria,
si guardano lunatiche e pietose
negli occhi,
si provano la fronte
con urti sordi.

                                     Giorgio Orelli

Felice Casorati, “Silvana Cenni”, 1922. Collezione privata. - Archivio BPP

Felice Casorati, “Silvana Cenni”, 1922. Collezione privata. - Archivio BPP


Amore per la polemica


SALUTO AI POETI CREPUSCOLARI

... Ma voi non vedeste la vampa
sul mondo, né potrete
la vita futura cantare.
Cadeste sul limitare
del Tempo; moriste di sete
lasciando alla stampa
un breve sorriso di morte:
la vostra sorte
fu quella dell’onda che sciacqua
lieve lieve sulla sabbia,
non quella dell’ondata che si squassa
sugli scogli con impeti di rabbia;
foste la nuvola che passa;
il vostro nome fu scritto sull’acqua…

                                    Nino Oxilia



BUCOLICA

Come venuta
l’estate è finita:
solo un albero
e non resta che lui
riscuote successo e clamori,
per tutto questo intonaco di muri
un solo platano geme sotto l’allegro scompiglio dei voli.
Dibattuta e convinta palmo a palmo
offesa dalla giunta che delibera
ridiscussa
saccheggiata e arsa
l’ingens silva longobarda
tende a una fessura
di magro verde
tra il rame della cupola di Brera
o con la forza del seme
buca l’asfalto.
La natura ha fatto il suo salto.
Rumori, bei rumori
bel nastro di cemento di spedali di giornali
tribù di suoni!

Solo ai cani
sbandati randagi
recidono le corde vocali

– la sofferenza ha bisogno di quiete.

                                    Nelo Risi


LA MAITRESSE

Uscite pure dalle tane
disperdetevi seme indemoniato
le mie bestemmie
un giorno
vi torneranno in mente
come vezzeggiativi.
Ha l’impronta
ogni moneta
ogni moneta ha un valore
a voi monete fuori uso
circolare tra i vivi
è vietato.

                                    Eraldo Miscia


NOI RESTIAMO A CANTARE

Quando questa vicenda finirà
e noi saremo solo ombra di dubbio
agli altri – essere stati vivi
o non aver nutrito altro che un gonfio
simulacro di vento – chiameranno
ancora i contadini le bestie
con nomi di fratello e dormiranno
i sette figli del sarto-terrazziere,
manovale a giornata nel cantiere,
in una stanza sola.

La rivolta
da Caio Gracco è stata rimandata
al duemila, ogni tanto c’è qualcuno
che la rigrida e cade. Anche Rocco
Scotellaro se n’è andato, e lontana
è l’alba. Noi restiamo a cantare
la notte, i biondi vuoti che disegna
la luna sui capelli degli amanti.

                                    Giuseppe Rosato

 

La cavallerizza, dal “Circo” di Fernando Botero. La monumentalità delle figure, per il tema circense che tanto appassionò Calder, Picasso, Légere e Chagall. - Archivio BPP

La cavallerizza, dal “Circo” di Fernando Botero. La monumentalità delle figure, per il tema circense che tanto appassionò Calder, Picasso, Légere e Chagall. - Archivio BPP

Amore per il passato


LA SIGNORA LALLA


Quando l’anima è stanca e troppo sola
e il cuor non basta a farle compagnia,
si tornerebbe discoli per via,
si tornerebbe scolaretti a scuola.

Ma sì, prendiamo la cartella scura,
il calamaio in forma di barchetta,
i pennini, la gomma, la cannetta,
la storia sacra e il libro di lettura.

Andiamo dunque: il tema è messo in bella;
andiamo, andiamo: il tema è messo in buona;
Dio, com’è tardi! La campana suona,
tra poco suonerà la campanella.

Ma che dico? È domenica, è vacanza!
Non c’è scuola quest’oggi, solamente
c’è da imparare un po’ di storia a mente
soli, annoiati, nella propria stanza.

C’era una volta (ora mi viene a mente)
la scuola della festa: era una scuola
alla buona, così, con una sola
maestra, vecchia, senza la patente.

Signora Lalla, dove sei? T’aggiri
nella tua casa piena di panchetti
e su un quaderno scrivi un 5 o metti
un punto sopra un i con due sospiri?...

                                    Marino Moretti


L’ALBERGO

Naufrago nella notte di Natale
in una scialba camera d’albergo,
dinanzi alla candela
che guizza e fuma…
E, mentre si consuma
l’anima ad ascoltare il triste vento
che schernisce sul tetto
la magra pioggia,
di là l’ostessa con la voce chioccia
litiga in suo gergo maledetto.

Pace, ostessa! A quest’ora, nelle chiese
del mio paese,
s’inazzurra la messa di Natale,
brulicano i lumini dei presepi.
I Re Magi viaggiano
lungo le siepi,
dietro la stella di fili d’argento,
verso la capannuccia di Gesù:
brontola il vento e la neve vien giù.

Or dove mai sarà
quel piccolo pastore
che alla sua rammendata cornamusa
appendeva il mio cuore?
Dove, la stella di fili d’argento?
Dove son io fanciullo?
Il mio presepio è brullo,
abbandonato, spento.

                                    Tito Marrone


Amore per la sfida


I COLLARI DEL TEMPO E DELLO SPAZIO

O Tempo! Mi scaglierò contro di te,
e ti spezzerò le ali,
e romperò la tua voce asmatica d’orologio!
Chiama pure alla riscossa lo Spazio,
vecchio avvoltoio podagroso
che lascia dietro di sé come striscia di bava
il bianco nastro delle strade e i gran di archi
dell’orizzonte, simili a immense lumache
arrotondate!...
Tempo! Spazio! Sole divinità padrone del mondo!
Io mi ribello contro di voi.

                                    Filippo Tommaso Marinetti


UN GIORNO L’ALTRO

Mi faccio un cielo da leccarsi gli occhi
mi faccio un giro ben oltre l’orizzonte
mi faccio un perdono tirato fino all’osso
mi faccio un ragionamento col vino novello
mi faccio una fermata al centro del paesaggio
mi faccio un libro caduto in disgrazia
mi faccio un’oliva dal nome primitivo
mi faccio un viaggio dentro la pazienza
mi faccio un sorriso da interrare a fondo
mi faccio un tibet di ragioni altrui
mi faccio un’altalena fra un aggettivo e un verbo
mi faccio un giorno o l’altro come dico io
mi faccio una rima che finisca in dio.

                                    Lino Angiuli


Amore per l’impegno


LE CENERI DI GRAMSCI

Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;

del mio paterno stato traditore
– nel pensiero, in un’ombra di azione –

mi so ad esso attaccato nel calore

degli istinti, dell’estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione

la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; è la forza originaria

dell’uomo, che nell’atto s’è perduta,
a darle l’ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro più

io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia…

Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto
ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato
io possiedo: ed è il più esaltante

dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:

ma a che serve la luce?

                                    Pier Paolo Pasolini


Amore per i versi sperimentali


CROCICCHIO

Dissolversi nella cipria dell’ordinotte.
Con l’improvviso clamore dell’elettricità, del gas, dell’acetilene e delle altre luci

fiorite nelle vetrine,
alle finestre e nell’aeroplano del firmamento!
Le scarpe che trascinano gocciole di diamanti e d’oro lungo i marciapiedi primaverili,

come le bocche e gli occhi
di tutte queste donne pazze d’isterie solitarie;

le automobili venute di pertutto;
le carrozze reali e i tramvai in un squittio d’uccelli mitragliati.

– Nous n’avons plus d’amour que pour nous-memes, enfin –.

“È proibito parlare al manovratore”.

Oh, nuotare come un pesce innamorato che beve smeraldi
fra questa rete di profumi e di bengala!

                                                                        Ardengo Soffici


LEZIONE DI FISICA

… Immortali per le strade non ce n’è
ci avevano detto che gli uomini, non un uomo, sopravvivono
che a noi tocca la stessa immortalità come alle belve
nell’amore che genera, e sapessi o no che era
il solo atto consentito oltre il limite di uno
l’ossequio necessario alle consuetudini della specie
anch’io mi sono sentito in gran ritmo naturale
sopra una donna e ci guardava un mare
come avesse avuto un senso.

Ma ciò che distingue l’uomo è la scommessa
ecco una frase inventata dalle élites, in ogni modo è vero che qualcuno
scommette di non morire.

Ci vuole orgoglio: credere
che il proprio lavoro la pena non se stessi ma il proprio modello sia utile
agli altri; fiducia: che la storia
paghi il sabato; eccetera: e il bello è che di questa scommessa
l’unico a non avere le prove se l’opera gli sopravviva
magari di una sola luna
è chi ha scommesso, che muore…

                                    Elio Pagliarani


AZZURRO PARI VENERDì

Come devo comportarmi, domandai per sapere (per avere,
invece, si chiede) se l’ala nera sarebbe infine abbattuta.
L’astrologo disse: (il destino): generalmente buono,
sarà accaduto e non dovrà rimpiangere, di fianco la luna
falcata radiosa, considerando l’epoca, una piccola soddisfazione
(in pieno giorno galleggiare nel prato), la posizione
potrebbe indurla, di Urano o l’inverno che viene dagli spazi,
coincide con qualche amica o parente, non esiti a farlo,
procurandole notorietà (rumore di cesoie dal giardino),
allo scopo di screditarla, tenga sempre con sé il talismano,
sarà un mese piuttosto monotono.

                                    Alfredo Giuliani


I RAPPORTI

Le calze infila, nere, e sfila, con i denti,
la spaccata, il doppio salto, in un istante, la calzamaglia,
all’indietro, capriola, poi la spaccata, i seni
premono il pavimento, dietro i capelli, dietro la porta,
non c’è, c’è il salto all’indietro, le cuciture,
l’impronta della mano, all’indietro, sul soffitto,
la ruota, delle gambe e delle braccia, di fianco,
dei seni, gli occhi, bianchi, contro il soffitto,
dietro la porta, calze di seta appese, la capriola.

                                    Antonio Porta


APOLOGO DELL’EVASO

... Lucenti strani corpi
violano il cielo; sbanda
il filo di formiche diagonale

nel cortile riemerso; ancora
il sole sorge dietro
la Punta Campanella incustodita

dai finanzieri corrotti e un argine
ultimo crolla. Lode
a un’estate di foco. S’io fossi

la piccola borghesia colata
nelle piazze fiorite e nei dì
di festa che salvi c’ignora

dalla droga e dalla noia per un po’
d’uva lavata in mare
presso la marcia catapulta; rifugiati

al primo tuono nelle gelaterie – chi fuggirei?
Passato il temporalaccio d’agosto
i graspi giungono a riva

fra i remi ai contrabbandieri salpati
nel novilunio e anzitutto conviene
(usciti dal vico cieco chiamammo

e orme erano ovunque
dell’abominevole uomo delle nevi)
fare l’amore intanto

che sui ponti la Via Lattea diulata.
Il Po nasce dal Monviso;
nuvole... ma di ciò, altra volta.

                                    Nanni Balestrini


Amedeo Modigliani, “La femme polonnaise”, olio su tela, 1918. Philadelphia Museum of Art.

Amedeo Modigliani, “La femme polonnaise”, olio su tela, 1918. Philadelphia Museum of Art.

Versi giovani, curati da Giancarlo Pontiggia, poeta anch’esso, ma anche traduttore dalle lingue classiche e dal francese. Parliamo di una “antologia della giovane poesia italiana”, (che poi tanto giovane non è, visto che il discrimine è il 1970: l’autore più vecchio ha 39 anni, il meno vecchio 28), dal titolo Il miele del silenzio. Trent’anni fa, insieme con Enzo Di Mauro, Pontiggia aveva pubblicato La parola innamorata, raccolta controcorrente e contro ogni cordata avanguardistica, dunque antistorica. Alcuni nomi che apparvero fra questa pagine: Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Cesare Viviani.
Gli autori dell’ultima raccolta. Si passa dal poemetto “occitanico” e sapienziale di Maurizio Marota, Federicae, ai versi della cesenate Roberta Bertozzi, che nel poema Gli enervati di Jumièges fa cozzare la leggenda violenta del re franco Clodoveo II con il quadro del 1880 di Evariste Vital Luminais. C’è chi scrive un’opera sulle “nuotatrici della DDR che sbancarono le Olimpiadi di Montreal del 1976, come Francesco Frungillo in Ogni cinque bracciate, e chi fa parlare Schiller (“con gli occhi spolmonati / dalla malaria”) e un giovane amante del 3500 a. C., descrivendo invasioni post-umane di granchi, locuste e rospi (Federico Italiano). C’è il dettato purissimo di Matteo Veronesi, e c’è quello amoroso di Isabella Leardini. Ci sono le deflagrazioni consecutive di Alessandro Rivali, che narra la presa e l’implosione di Bisanzio, e l’eroismo quotidiano di Andrea Temporelli, unico autore già raccolto in un’edizione einaudiana, e c’è la “forza pietosa e rigeneratrice della memoria” propria di Daniele Piccini, e ci sono i versi che graffiano i muri di Davide Brullo…
Molti spiriti solitari. Molta generosità. Altrettanta libertà, cioè capacità di scelta non condizionata da camarille editoriali. E un’introduzione che ha un piglio classico: «Ciò che sarà, della poesia e dell’uomo, ancora non sappiamo; e forse, proprio in questa esitazione, è molto del fascino scuro e insidioso di questi tempi e dei loro linguaggi».

Postilla per provocazione conclusiva. La necessità di inserire nelle antologie testi di alcuni “cantautori” era ormai una sorta di luogo comune, una convinzione sbandierata con grida e proclami, ma mai, o quasi mai, inverata nel gran fortunale della scrittura ufficiale. Qualche editore ha tentato la sorte, ospitando le parole in musica di Fabrizio De Andrè o di Bob Dylan, ma in rarissime occasioni.
Solo da poco il tentativo è diventato realtà, grazie a un’antologia curata da Marco Albertazzi e Marzio Pieri, sintomaticamente intitolata Gli Invisibili. Fra queste pagine si possono leggere non soltanto De Andrè, Paolo Conte, Piero Ciampi, Franco Battiato, Angelo Branduardi, Vinicio Capossela, Gianmaria Testa, Demetrio Stratos e il “maestro” Domenico Modugno, ma anche un gran numero di poeti “obliterati” dalla cultura canonica e, possiamo dire, da un’ignoranza da intendere nel significato etimologico: il non sapere.

Passi per Onofri, Cristina Campo, Amelia Rosselli, e Vigolo, Turoldo, Ripellino, e soprattutto Rebora, che un loro posto al sole ce l’hanno. Ma nell’antologia emergono dall’ombra altri nomi, che aprono (meglio: riaprono, perché è annosa) una seria questione: a che cosa serve la critica? A celebrare farisaicamente l’esistente, o a cercare anche gli ignorati di turno? Perché alcuni nomi, che nulla dicono al lettore non soltanto medio, ma persino di buona cultura, riservano gradevoli sorprese: il siciliano Edoardo Cacciatore, i lombardi Emilio Villa e Luisito Bianchi, il campano Lorenzo Giusto, il piemontese Eugenio Battisti, il toscano Lamberto Maccioni, i calabresi Lorenzo Calogero e Aldo Dramis, il romano Marcello Jacorossi, e il bellunese Beniamino Dal Fabbro non sono stati sorretti dalla critica militante, dalle grandi editrici, ma nascondono bagliori di vite lacerate, consacrate, demolite, o celate dalla quotidianità: voci di poesia vera, di poesia semplice, colma di umanissimo stupore (“Doppiamente folle, o Signore / nello spiegare il mio canto
col fiato che mi rimane di questa lunga giornata / per credere ostinatamente / che nel deserto nasce la primavera / e al di là della notte / il sole s’annuncia”) nel caso di Luisito Bianchi; oppure come Neri Pozza, che riesce fuori dall’oblio poetico con alcune liriche profonde e tese agli abissi del non dicibile, ma proposte con levità squisitamente familiare.
L’episodio poetico dedicato a Ezra Pound, che scrive per un “multilingue iddio” e che va dritto al suo destino di reclusione per “Il suo errore ideologico” non lamentandosi della sua sorte ma interrogandosi su come poter «dare senso ai sensi
corpo alle figure, suoni mai uditi alle parole», è un exemplum di poesia non vincolata a correnti o a mode del momento.
L’antologia ha il doppio merito di ricollocare dentro il continente-poesia quelli che erano stati esclusi per ragioni di purezza disciplinare – i cantautori, appunto – e di isolamento mediatico.

(2 - Fine. La prima puntata su “Apulia”, I/2009)

 

   
   
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