Giugno 2009

 

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Le Giravolte

AA.VV.

 

Percorsi per: costas valetas
massimo guastella
ilderosa laudisa
federica riezzo
salvatore spedicato
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La luce di Lesbo

Echi dalla Grande Madre Ellas

Il prete cominciò la messa di requiem nella chiesa affollata. Nessuno parlava. Ciononostante vidi qualcuno sollevare lo sguardo. E mormorare qualcosa. Un suono persistente, simile a un singhiozzo, si elevava dal lato delle donne, in fondo. Era come un lamento soffocato.
Era lei! All’uscita della chiesa, lei se ne stava in disparte per non essere notata. Era vestita di nero, senza trucco. Era a lei che porgevano le condoglianze anziché alla moglie e ai figli del pittore. Davanti a lei si snodava una fila di persone, mentre la vedova restava sola, dimenticata, all’entrata della chiesa.
“Non arrivo ancora a comprendere – disse Lazzaro, lo scultore – come un pittore di quel calibro potesse letteralmente strisciare ai suoi piedi, mendicando il suo amore”.
“Quella donna è stata la sua rovina!”
“Ne sei sicuro? È impossibile dare delle spiegazioni e delle interpretazioni facili a proposito della creazione artistica”.
“Dal momento del loro incontro, dall’inizio del loro rapporto, egli praticamente non ha più prodotto nulla. Ha cessato di dipingere gli ulivi, limitandosi a fare ritratti a quella donna. I suoi dipinti, fino ad allora così luminosi, sono diventati tetri. Egli non aveva altro che colori oscuri, con, di tanto in tanto, un rosso, ancora scuro, o un giallo. Aveva cambiato anche la sua tecnica. Egli s’era impegnato in un assurdo e inutile lavoro di ritrattista con quella donna fatale come unica modella. L’ha dipinta in centinaia di pose, di espressioni, di sfumature di colori”.
“Lei non è così bella e attraente. Pertanto, per quanto concerne i ritratti di cui mi hai parlato devo dirti che hai torto. Quelle sono opere della maturità, quasi perfette”.
“Io penso invece che sono prive d’anima. Egli l’ha incontrata quando era cinquantenne, mentre lei aveva appena trent’anni. È rimasto venti anni a dipingerla. Se egli fosse sfuggito al fascino magico di quella donna avrebbe potuto fare grandi cose”.
“Spero per lo meno che tu non creda che lei lo abbia stregato con qualche sortilegio, come certuni hanno affermato”.
“Io non lo escludo. Lei ha avuto su di lui un’influenza catastrofica. Lo ha avvinto con i suoi tentacoli, paralizzando il suo talento, il suo impulso creativo”.
“Mi dispiace, ma non sono d’accordo. La mia opinione è completamente opposta alla tua. Io credo che lei abbia reso più dolci i suoi ultimi anni. Lei era la sua unica gioia. Come tu sai, era tormentato dalla sua sterilità. Tutti parlavano delle tele del suo debutto. I musei erano pieni dei suoi ulivi, ma nessuno si interessava ai suoi ritratti. Lei sola, con la sua presenza, ha saputo confortarlo, annullare la paura dell’impotenza che s’era impossessata di lui quando egli credeva finita la sua carriera di artista”.
“Penso, al contrario, che lei sia stata la causa del suo declino artistico. Ricorda i suoi vecchi dipinti, prima del loro incontro, le loro linee fluttuanti, la sicurezza del tratto, la magia dei colori”.
“È vero, quei dipinti sembravano l’opera di un dio”.
“Prima di incontrarla, i suoi lavori erano inondati di luce, con innumerevoli chiaroscuri in un gioco di riverberi che egli solo riusciva a fissare. Lui solo riusciva a darci con i suoi pennelli quelle infinite variazioni di colori. Mischiava il blu cobalto con il giallo di cadmio, l’arancione, il rosso e il bianco, le innumerevoli sfumature di blu, di giallo, di malva. L’azzurro del cielo, il turchese, l’azzurro del mare, l’azzurro egiziano, il blu violaceo, il blu elettrico, il blu regale, il giallo zinco, il giallo limone, il giallo d’uovo, il giallo dorato, il giallo di Napoli, quello indiano, e quello mandarino. Nella cattura e nella resa della luce, la sua sola rivale era la Natura”.
“È come se lui stesso parlasse dell’uomo di Mitilene”, disse Lazzaro sorridendo.
“È vero. Egli ha votato la sua vita a catturare e a rendere immortale la luce di Lesbo nelle sue tele, giudicando che quella luce non aveva la sua vera identità, la sua originalità che, riflessa sulle foglie dei suoi ulivi, sui loro tronchi nodosi e secolari che sembravano usciti da sogni lontani; sulle loro foglie sempreverdi la luce si rigenerava, creando una nuova vita, un nuovo fremito, un nuovo palpito. Era come se su quegli ulivi egli riuscisse a deporre dei riflessi divini lontani milioni di anni luce; era come se, carichi di elementi cosmici, essi creassero l’universalità. L’ulivo, come una divinità dell’Olimpo, riuniva in sé la sua eternità, la sua vanità, la sua perfezione classica, la sua bellezza, la sua tranquillità”.
“Vero. Egli resterà per i posteri il pittore dell’ulivo e della luce. Tale fu l’inizio della sua vita artistica. La sua vocazione fu quella di unire la luce di Lesbo ai rami dell’ulivo. Per questo egli ha dipinto centinaia di migliaia di tele. Così gli ignoranti dicevano che egli non faceva che ripetersi. Ulivi solitari e non, ulivi spezzati dal vento, sbattuti dalla pioggia, nessuno prima di lui aveva dipinto un ulivo abitato dalla luce. Per Rembrandt la luce e l’ombra rappresentano due mondi in contrasto, i due poli della condizione umana. Per il nostro pittore l’ulivo e la luce rappresentano la vita, la fertilità, l’esistenza, la speranza”.
“Tale è la chiave della sua opera”, disse Lazzaro, lo scultore, per una volta d’accordo con me.
“Io non riesco a comprendere che cosa trovasse in lei. Se fosse stata almeno bella, di una bellezza rara, la sua sottomissione a quella donna si sarebbe potuta spiegare. Orbene, ho sentito dire che lei non è eccezionale”.
“Niente di tutto ciò, in effetti, una donna di un tipo piuttosto comune, per di più esigente, egoista, calcolatrice”.
“È vero che lei ha la maggior parte delle sue opere?”
“Più di cinquecento tele, e le migliori. Tu capisci, la vipera faceva man bassa dei pezzi migliori. Ha venduto i ritratti per vivere, ma ha conservato gli ulivi più belli, aureolati di luce”.
“Ha lasciato qualcosa alla famiglia?”
“Quasi niente. Lei aveva scacciato i parenti dal suo studio. Una volta, suo figlio, avendo disobbedito, è stato scacciato a colpi di fucile, per paura che egli rubasse una tela”.
“È vero che la sua amante non perdeva mai occasione per rimproverargli la loro differenza d’età?”
“Più che vero. Lei si lamentava di sacrificargli la sua gioventù. Quella donna si è attaccata a lui come il vischio al tenero bocciolo di rosa. Era normale che noi la odiassimo tutti. Lei ne era ben conscia e a volte diceva: – Io non piaccio agli amici del mio pittore –”.
“Mi hanno detto che sei stato uno degli ultimi a vederlo prima della sua scomparsa”.
“Sì, in un piccolo studio solitario, tra tele e schizzi sparsi dappertutto. Egli è uscito dal suo torpore per informarsi di lei. Ha voluto sapere se lei stava bene, se era venuta a trovarlo.
– Lei è completamente sola – diceva. Promettetemi di prendervi cura di lei. Chi lo farà, se non i miei migliori amici? –”.
“La morte si era impadronita di lui, ed egli non pensava che a lei. È a lei che egli ha lasciato in eredità i suoi innumerevoli ritratti, nudi, schizzi, studi, oli, dai quali non si era mai separato”.
“E ora, porgiamole le nostre condoglianze”, mi sussurrò Lazzaro.
Raggiungemmo la lunga fila che conduceva a quella donna elegantemente vestita di nero, dagli occhi spenti da un immenso dolore, che riceveva le condoglianze della folla.

costas valetas
(Traduzione Bruno Rombi)

 

 

In margine alla mostra itinerante “Gaetano Martinez. Schizzi e disegni” organizzata dalla Sezione Sud Salento di Italia Nostra da febbraio a maggio 2009, nelle sedi di Galatina, Nardò, Parabita, Poggiardo e Lecce, in collaborazione con i locali Istituti d’Arte e l’Accademia di Belle Arti di Lecce

Martinez in catalogo

Mostra itinerante

In margine alla mostra itinerante “Gaetano Martinez. Schizzi e disegni” organizzata dalla Sezione Sud Salento di Italia Nostra da febbraio a maggio 2009, nelle sedi di Galatina, Nardò, Parabita, Poggiardo e Lecce, in collaborazione con i locali Istituti d’Arte e l’Accademia di Belle Arti di Lecce.

Gaetano Martinez, “L’abbandono”, 1945. - Collezione privata Minafra

Gaetano Martinez, “L’abbandono”, 1945. - Collezione privata Minafra

Si avverte che per l’artista il disegno è la base della creazione artistica che persegue i gradi verso l’esito finale; altresì le assortite composizioni non si direbbero strumenti candidati a raggiungere valori autonomi ovvero il risultato artistico compiuto, ma al più studi preparatori, prove, bozzetti e progetti. Piuttosto riecheggiano le parole di Petrucci sull’esordiente Martinez: «Si capiva che lo scultore incatenato dalla scarsezza dei mezzi si sfogava a disegnare», aspetto che ha ragione di rappresentare una costante nella parabola della sua produzione.
L’osservazione di questo nutrito corpus grafico consente di annotare più di una relazione con la produzione scultorea dell’artista galatinese, maggiormente riconosciuta negli studi; è opinione critica condivisa che il disegno ha ruolo imprescindibile quale idea da tradurre in forme tridimensionali, tradizione durevole sino ai primi decenni del secolo XXI e tale aspetto invero non è ancora sistematicamente studiato in Martinez sulla base di sicure attinenze tra segni grafici, modelli e plastiche, che tengano conto di quel leitmotiv indicato nella premessa critica di Fortunato Bellonzi in occasione della retrospettiva di Legnago: «Le sculture e i disegni di Gaetano Martinez sopravviveranno alla non fortunata esistenza dell’Artista e saranno opere a cui si guarderà meno per il loro valore documentario di un’epoca, che per le loro intrinseche qualità di poesia».

massimo guastella


Com’egli stesso ha scritto, il suo percorso creativo ha seguito solo scelte legate al momentaneo insorgere di un’idea o al bisogno di dare spazio ad una nuova esperienza, per poi magari ritornare sui propri passi. Anche per questo, per la sua irrequietezza artistica che era poi sintomo anche di sete di libertà, non è possibile inquadrare la sua opera in un percorso evolutivo nitidamente identificabile e soprattutto legarla ad un preciso movimento. Il suo modo di vivere appartato l’esperienza artistica costituiva un caso anomalo, perché ormai si tendeva ad aderire ad un movimento culturale, manifestando una scelta di campo, talvolta anche per agevolare la propria carriera.
Certo è però che Martinez non si isolò né rispetto alla cultura contemporanea né volle chiudere i ponti con l’arte classica.

ilderosa laudisa


La peculiarità di esercitare una serrata autocritica sfocia ora più che mai nella distruzione di opere che oggi considereremmo tra le più significative degli anni Trenta, poste lungo la linea dell’arcaismo battuta da Martini e da Sironi. Risalgono al 1930 ed ancora al 1935 due donazioni al Comune di Galatina che vanno a costituire un nucleo presente oggi nelle sale del Museo Civico “P. Cavoti”; tuttavia il rapporto con la città non fu mai disteso, come dimostra la critica accoglienza riservata alla sua Lampada senza luce, collocata in piazza Alighieri come fontana monumentale.
Ma sarà verso la metà degli anni Quaranta, dopo la “sala personale” alla Biennale del ‘42, che lo scultore troverà negli “altorilievi di tutto tondo” la sua cifra stilistica più interessante ed originale. Si tratta di “teatrini” in terracotta rappresentanti scene di vita paesana e contadina, nei quali Martinez dà prova di una vena narrativa sinora rimasta in ombra. Tragedia, Donne al bagno, La modella, Ritorno al lavoro, insieme a quelli ambientati nel mondo del circo, palesano il legame stilistico con la tradizione italica delle antiche metope, ma si riallacciano anche alla tradizione presepiale del Salento.

federica riezzo

 

Gaetano Martinez, “Pierrot” - Collezione privata Minafra

Gaetano Martinez, “Pierrot” - Collezione privata Minafra

Come ogni scultore che si rispetti – citiamo almeno i grandi contemporanei Francesco Messina, Marino Marini, Giacomo Manzù, Pericle Fazzini, Emilio Greco – Martinez ha disegnato molto. Anche per lui la centralità del disegno è parte fondante nel percorso ideativo e realizzativo degli attributi strutturali della scultura, nel suo costituirsi in immagine tridimensionale. Scorrono davanti ai nostri occhi le “pagine” di un significativo diario figurativo come un archivio di alta tensione espressiva. Tuttavia queste pagine non vanno ammirate semplicemente come archivio o come museo: la vitalità delle linee generatrici dei volumi, il modo di rivelare la “forma” e la valenza poetica, testimoniano l’essenza di una lezione tutt’altro che obsoleta, poiché esso si manifesta quale “sovrana inattualità” e pertanto inattaccabile dal transeunte e dalle mode.
Le tecniche grafiche di Martinez sono limitate soprattutto alla matita e alla penna e rivelano parsimonia e senso della misura…
Disegnava con l’anima, Martinez. In quest’opera grafica essa vi traspare con la sua vera natura, con la sua storia dolente, con la sua alta e singolare dignità. Il dolore che l’artista si portava dentro affiora anche negli autoritratti […] e nell’arguto ritratto in bronzo plasmato dal suo grande collega e amico Emilio Greco, ora nella Villa Comunale di Lecce.
Guai a guardare frettolosamente questi disegni e avere la tentazione di considerarli quali frigide esercitazioni. Nella sincerità delle linee, nel loro tracciato essenziale e onesto, essi sono il ritratto chiaro e profondo della schietta individualità del Personaggio. Si afferri dunque la “verità” dell’opera grafica di Martinez, con la naturalezza della forza costruttiva, con il modo pacato di appalesarsi in “forma”, con l’intensità del suo humus poetico.

salvatore spedicato

 

Note

I disegni di Gaetano Martinez sono tratti dal catalogo “Gaetano Martinez. Schizzi e disegni” a cura di Italia Nostra - Sezione Sud Salento, con contributi di M. Guastella, I. Laudisa, F. Riezzo, S. Spedicato, Martignano Litografica Editrice, Parabita, febbraio 2009.

 

 

Gaetano Martinez, “Maternità”, china del 1941. - Collezione privata Minafra

Gaetano Martinez, “Maternità”, china del 1941. - Collezione privata Minafra

“La mia arte ha bisogno di alternarsi in vari modi di concezione e di pensiero e di tecnica che concorrono ad esprimere quella cosa voluta; ma a seconda dello stato d’animo che spesso mi trascina e mi travolge forse sino al paradossale e qualche volta al capriccioso.
Ma io sono l’essere tendenzialmente e profondamente sensibile e suscettibile a qualsiasi intenzione e facilmente immedesimabile, e inquieto e ribelle e sempre incontentabile. Non so percorrere a lungo su di uno stesso binario estetico: mi stanco e presto ripudio. Il frutto dell’oggi lo nauseo domani. Quello di domani, domani l’altro e così via fin quando non avrò esaurito il deposito per poi magari ricominciare daccapo ma che tra il primo frutto e l’ultimo v’è corso buon tempo venendo così infine a desiderare il primo.
Inquieto del domani non canto mai vittoria. E chi lo sa se un giorno non mi assiderò su di un solo albero e alimentarmi di quel solo frutto che l’albero stesso mi offrirà? Sarà così? Forse che sì, forse che no.


Gaetano Martinez, 1921

 

   
   
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