Dicembre 2009

Previsioni sull’uscita dalla crisi

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Fuori nel 2011. Forse

Paul Samuelson*

Premio Nobel per l’Economia

 
 

Gli economisti
si aspettano
una ripresa debole, in grado di far
poco per ridurre
la disoccupazione,
e ciò implica
che nel futuro
i consumi privati
e gli investimenti delle imprese
potrebbero essere anemici.

 

 

 

 

 

 

 

L’ultima notizia che viene dalla Federal Reserve è che l’economia americana sta già cessando di cadere. Si sta stabilizzando. Ma questo che cosa significa? Non dice nulla su quanto velocemente l’America ritornerà verso i livelli del 2008, prima del disastro della recessione. La stessa Fed, e la maggioranza delle previsioni degli economisti si aspettano una ripresa debole, in grado di far poco per ridurre la disoccupazione in Main Street. E ciò implica anche che nel futuro i consumi privati e gli investimenti delle imprese potrebbero essere anemici. Vorrebbe dire a livello globale che non ci sarà la replica della vecchia sceneggiatura in cui la locomotiva americana arrivava a salvare le economie depresse di tutto il mondo.
Il prodotto lordo della Cina, a parità di potere d’acquisto, eccede già quello del Giappone. E se Pechino continuerà a crescere a velocità doppia rispetto alla media, non passerà molto tempo prima che la Cina raggiunga la parità con l’America. Certo, anche quando ciò accadrà, il Prodotto interno lordo pro capite dei cinesi resterà solo un quarto di quello degli americani, e probabilmente un terzo di quello dei nipponici. La mancanza di previsioni certe nella storia dell’economia sono intriganti per uno studioso come me. Ecco solo un esempio folgorante. Sia la Francia che la Germania hanno fatto meglio durante l’attuale crisi che il resto dell’Unione europea. Chi se lo sarebbe aspettato da due società in cui si lavora così pochi giorni all’anno, che devono confrontarsi con potenti sindacati? Ma quando una relativamente buona performance dell’economia si registra in Francia e in Germania, l’euro si rafforza. E ciò fa soffrire l’Italia, la Spagna e i Paesi baltici (che hanno valute ancorate all’euro).
Uno sarebbe tentato di pensare che le locomotive francese e tedesca potrebbero tirare il resto dell’Unione europea fuori dalla crisi. Ma le statistiche ci dicono che sono stati i tagli all’import francese e germanico a far finire la recessione nei due Paesi. L’economia è un’arte complessa.

Una caratteristica piazzetta del centro cittadino di Macao, ex colonia portoghese, e oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. - Claudio Cagnazzo

Una caratteristica piazzetta del centro cittadino di Macao, ex colonia portoghese, e oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. - Claudio Cagnazzo

Lasciatemi fare una previsione per il 2010 e il 2011, a livello globale e negli Stati Uniti. Primo, molto probabilmente, la ripresa negli Stati Uniti e all’estero potrebbe essere forte, esattamente come è sempre stata normalmente, e in modo particolare alla fine della stagflazione degli anni Settanta. Un rimbalzo così forte renderebbe giustizia agli stimoli poco ortodossi usati dalle Banche centrali e dalle casse statali contro il vecchio consiglio di “non interferire” del presidente Herbert Hoover (1929-1933), recentemente rispolverato da esperti liberisti, come Milton Friedman.
La lunga indipendenza delle Banche centrali, rivendicata dal presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, prima della crisi mondiale, è stata costantemente indebolita dai piani di salvataggio. I tempi cambiano e noi dobbiamo cambiare con loro. Ma guardiamo piuttosto alla possibilità di una lunga stagnazione in cui persiste un ripiegamento cronico. Un buon esempio è il “decennio perduto” in Giappone, dopo l’esplosione all’inizio degli anni Novanta della bolla immobiliare e di quella azionaria, una dopo l’altra. La squadra economica del presidente Obama non potrebbe tollerare uno scenario così fosco. E ricorrerebbe di nuovo a fondi pubblici per nuovi piani di salvataggio.
Ma questi gesti di disperazione sono esenti da rischi di future pressioni inflazionistiche? Naturalmente no. A un qualche livello la catena dei prezzi dell’energia potrebbe balzare verso l’alto. E, tra il 2010 e il 2015, la Cina e gli altri detentori di asset in dollari perderanno fiducia nel biglietto verde come valuta di riserva. La Cina, ma anche il Giappone, potrebbero essere indotti ad abbandonare i bassi tassi d’interesse pagati dai titoli del Tesoro americano per diversificare i loro investimenti in portafogli globali. E i prezzi al consumo e alla produzione negli Stati Uniti sarebbero costretti a salire da questa corsa contro il dollaro.
Quale sarebbe il verdetto di una giuria di esperti scelti tra i votanti e tra i funzionari del governo? Il realismo mi costringe a dire che non ci sono vie d’uscita sicure. Ora, come sempre, sono inevitabili cambi dolorosi. Come cittadino e come patriota sono soltanto grato che gli errori tragici del 1929-1933 sono stati evitati in questi tempi di reale sofferenza.

Mentre “Apulia” era in stampa, l’economista Paul Samuelson è morto all’età di 94 anni nella sua casa di Belmont, nel Massachusetts. Allievo di Joseph Schumpeter, è stato il primo americano a ricevere il premio Nobel per l’economia (1970). Era il padre riconosciuto degli economisti del dopoguerra: il suo celeberrimo manuale “Economics”, pubblicato per la prima volta nel 1948, è stato il libro di testo più venduto negli Stati Uniti per quasi trent’anni. Un libro importante perché ha avvicinato intere generazioni di economisti alle idee rivoluzionarie di John Maynard Keynes, l’economista britannico che negli anni Trenta sviluppò la teoria che le moderne economie avessero bisogno di un forte contributo da parte della spesa pubblica per tornare a crescere, teorie neo-keynesiane che con Samuelson sono tornate alla ribalta nel 2008, in seguito ad una recessione mondiale senza precedenti dai tempi della Grande Depressione.

 

   
   
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