Dicembre 2009

L’Europa utile

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I danni della poca
e cattiva informazione

Mario Pinzauti

 

 
 

Disinformazione.
Solo una parte dell’opinione
pubblica ha messo insieme elementi di giudizio
sufficienti per
apprezzare
in modo adeguato
il voto irlandese
e le sue
conseguenze.

 

 

 

 

 

 

 

 

Per chi crede che l’Europa sia importante, anzi indispensabile – come la definisce il titolo di un recente libro di Gianni Pittella, Vicepresidente dell’Europarlamento – l’occasione sembrava fatta su misura per fornire una piccola ma significativa e forse decisiva ricarica del rapporto d’interesse e di fiducia tra l’Unione e i suoi circa 500 milioni di cittadini, ricarica di cui la bassa percentuale di elettori (solo il 43 per cento del totale!) registratasi a giugno, in occasione della consultazione per l’Assemblea di Strasburgo, aveva segnalato pochi mesi prima l’urgente necessità. E invece niente di tutto ciò. L’occasione è puntualmente arrivata il 2 ottobre, giorno del secondo referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Ha dato un risultato che aveva tutti i numeri per assicurare la ricarica di cui c’era bisogno per far risalire il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni dell’Unione.
Ma così non è andata. Il referendum ha approvato il Trattato di Lisbona, correggendo, a larga maggioranza, il no che, sulla stessa materia, gli irlandesi avevano espresso un anno prima. Senza però produrre le attese e sperate conseguenze. A quanto risulta dai sondaggi, la gran parte dei cittadini europei ha infatti preso atto della conversione “a U” nel giudizio dell’elettorato irlandese sul Trattato di Lisbona. Senza però cambiare totalmente, e neppure parzialmente, il suo atteggiamento di eurodiffidenza. La freddezza e talvolta l’ostilità nei confronti dell’Unione sono rimaste inalterate, nonostante il sì della maggioranza degli irlandesi abbia rimesso in marcia un’iniziativa – il Trattato di Lisbona – che promette di rendere più snelle, funzionanti ed efficienti le istituzioni europee: tra l’altro con la creazione di una presidenza di due anni e mezzo per l’Unione (attualmente è semestrale), con l’entrata in scena di un ministro degli Esteri comunitario, con la revisione dei poteri del Parlamento e della Commissione, con l’introduzione di nuovi sistemi di voto per le decisioni del Consiglio, con l’attribuzione di valore legale alla Carta dei Diritti Fondamentali e aggiungendo a tutto ciò che riguarda le positive novità politiche l’impegno a sollecitare un’azione di governi nazionali e di organismi comunitari per arrivare a sdrammatizzare i principali problemi che affliggono i cittadini europei, a cominciare dalla disoccupazione.
Si può dire dunque che nei risultati del voto del 2 ottobre ci fosse quanto bastava perché il tardivo e tuttavia importante e utile ravvedimento dell’elettorato irlandese colpisse positivamente l’attenzione dei circa 500 milioni di cittadini dell’Unione europea e li inducesse a cominciare a ripensare, se non a modificare, la sfiducia dichiarata in giugno con la scarsissima affluenza alle elezioni europee. E tuttavia l’apparentemente facile obiettivo è stato mancato. Perché?
Rispondendo a questa domanda Matteo Fornara, direttore della Rappresentanza di Milano della Commissione europea, è stato deciso. La colpa, ha scritto in una newsletter, è tutta della scarsità e della scorrettezza dell’informazione. In effetti, uno sguardo a quanto hanno pubblicato i mezzi di comunicazione nei giorni immediatamente successivi al 2 ottobre sembra dare ragione a Fornara e agli altri che hanno sostenuto la stessa tesi. Sui quotidiani grandi, medi e piccoli, alla televisione e alla radio le notizie sui risultati irlandesi sono state confinate, con eccezioni rarissime – che come tali non fanno che confermare la regola – in spazi interni, sono state perciò riferite dopo molte altre informazioni di politica interna, estera, anche di cronaca, con scarsità di dettagli e quasi mai con approfondimenti riguardanti il contributo che il referendum poteva dare allo sdoganamento del Trattato di Lisbona.

Si può dare per certo quindi che solo la parte dell’opinione pubblica sempre attenta e interessata all’attualità e alla problematica dell’Unione europea ha messo insieme elementi di giudizio sufficienti per apprezzare in modo adeguato il voto irlandese e le sue conseguenze. E poiché questa componente della popolazione dell’Unione è minoritaria, è chiaro che il deficit e la cattiva qualità dell’informazione hanno avuto un peso enorme, forse determinante nella triste, deludente vicenda dell’occasione perduta.
La quale vicenda non è certo nuova su queste scene. E ripropone perciò il problema, vecchio come l’integrazione, su che cosa si possa fare per portare tra la gente notizie sull’Europa in maggiore quantità e in migliore qualità. Non è un problema di facile soluzione perché cozza, almeno in Italia – ma non solo in Italia – contro una serie di ostacoli duri a morire. Ad esempio, le pressioni di gran parte della classe politica nazionale per assicurarsi sui media la maggiore quantità di spazi, gli approfondimenti più impegnati, le firme più autorevoli a danno di tutto il resto dell’attualità, quella europea compresa.
Sicuramente inoltre pesa il diffuso disinteresse di stampa e radiotelevisione per l’Europa, a torto ritenuta fonte di notizie che non riguardano direttamente il cittadino o lo riguardano poco, e quindi possono essere ignorate o minimizzate senza perdite nella vendita delle copie o nello share televisivo. A nostro parere, questa seconda causa è quella che ha la maggiore influenza. Ed è per tale ragione che da alcuni anni, in questa rubrica di Apulia, insistiamo sull’esigenza della massima diffusione delle notizie su quanto fa l’Europa utile, cioè sull’insieme delle iniziative comunitarie per migliorare la condizione di vita dei cittadini. Attraverso queste notizie, che riguardano i diretti interessi dei circa 500 milioni di abitanti dell’Unione europea, si favorisce infatti la spontanea crescita dell’attenzione e della fiducia popolari anche per l’Europa politica. Purtroppo solo una minima parte dei mezzi di comunicazione sembra rendersene conto. E così le notizie dell’Europa utile, anche quelle di maggiore spessore, quasi sempre arrivano agli addetti ai lavori, ma raramente vanno oltre, non raggiungono cioè la grande massa dei cittadini. Per cui le conseguenze di queste notizie sulla misura del rapporto di fiducia popolare nei confronti delle istituzioni europee non possono che essere minime.
Non è giusto. Non giova alle istituzioni europee e nemmeno ai cittadini, che da una crisi delle istituzioni europee possono essere solo danneggiati. Ed è contro questo rischio che è in campo la nostra rubrica: con la speranza di trovare molti imitatori nel vasto universo dei mezzi della comunicazione. Al quale segnaliamo, o meglio torniamo a segnalare dopo averlo fatto tante altre volte, che le notizie dell’Europa utile contengono quasi sempre quanto basta per suscitare vivissimo interesse tra il pubblico e quindi, come naturale conseguenza, anche per incrementare la fiducia tra il mezzo di comunicazione che le diffonde e il cittadino.
Come crediamo confermino i due tra gli ultimi arrivi informativi dell’Europa utile di cui stiamo per occuparci. Entrambi sono riferiti a iniziative che, a nostro giudizio, meriterebbero le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali del prime time. Una riguarda un programma comunitario da cui potrebbero uscire importanti contributi alla lotta contro malattie che, com’è il caso dei tumori, fanno soffrire e spesso uccidono milioni di persone in Europa e nel mondo. L’altra annuncia l’istituzione di una sede dove, senza muoversi da casa, il cittadino dell’Unione potrà trovare il più e il meglio della cultura di tutti i tempi.

Ma vediamo meglio, con qualche particolare, se e quanto le due iniziative meritano gli elogi appena espressi. Cominciamo con l’IMI, cioè l’Iniziativa per i Medicinali Innovativi. Realizza un partenariato tra la Commissione europea e un organismo privato, la Federazione Europea delle Industrie e Associazioni Farmaceutiche (EFPIA), per promuovere la ricerca e la sperimentazione di nuovi farmaci da utilizzare contro le malattie ritenute incurabili o difficilmente curabili, come alcuni tipi di tumori, di gravi disturbi infiammatori e infezioni.

Lisbona. A Belem, sulla riva del fiume Tejo, particolare dell’imponente Padrao dos Descobrimentos,
dedicato alle imprese e alle scoperte dei navigatori portoghesi.

Lisbona. A Belem, sulla riva del fiume Tejo, particolare dell’imponente Padrao dos Descobrimentos, dedicato alle imprese e alle scoperte dei navigatori portoghesi.

Sostenuta dalla consulenza di un gruppo di studiosi degli Stati membri dell’Unione (l’Italia ha messo a disposizione un’équipe dell’Istituto di Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche), l’IMI è stata istituita nel 2007, ha un programma di lavoro decennale (si concluderà nel 2017) e dispone di stanziamenti complessivi per 2 miliardi di euro, per metà a carico della Commissione europea e per l’altra metà coperti dalla Federazione Europea delle Industrie e Associazioni Farmaceutiche. Ogni anno s’impegna ad annunciare i risultati via via ottenuti. I primi sembrano molto incoraggianti. Finora l’IMI ha raccolto 134 proposte per medicinali innovativi e 15 di esse, ritenute degne di sperimentazione, hanno ricevuto un sostegno finanziario di 246 milioni di euro. Di fronte ai successi ottenuti nella fase di esordio, il Commissario europeo per la Scienza e la Ricerca, Janez Potocˇnik, ha potuto dire che l’IMI sta già cominciando a garantire che, tramite la collaborazione tra il pubblico e il privato dell’Europa, cioè, nel fatto specifico, la Commisione e la Federazione delle Industrie e Associazioni Farmaceutiche, si possano rapidamente convertire i risultati della ricerca in terapie innovative e altrettanto rapidamente sia possibile mettere queste ultime a disposizione dei pazienti europei. Il che, se i risultati saranno quelli sperati, vorrà dire una grande quantità di vite salvate e di sofferenze alleviate.

Non è una notizia enorme? E non è una notizia importante, importantissima per le decine di milioni di europei affamati di cultura, ma con scarsi mezzi economici per soddisfare questa loro esigenza, apprendere che l’Europa si sta attrezzando per portare nelle loro case e in quelle di tutti gli altri cittadini il più e il meglio della cultura di tutti i tempi al modesto prezzo da pagare per l’uso di Internet? Questo straordinario beneficio si sta concretizzando tramite una biblioteca digitale multilingue chiamata “Europeana” e raggiungibile all’indirizzo: www.europeana.eu.
Istituita circa un anno fa, “Europeana” contiene oggi 4 milioni e 600 mila opere di cultura digitalizzate, in maggioranza libri. Considerato che la più antica biblioteca del mondo, quella di Alessandria, ospitava 490 mila opere di cultura, il risultato già raggiunto sembra da capogiro. In effetti, non è ancora così poiché il patrimonio finora messo insieme da “Europeana” rappresenta solo il 5 per cento dei libri digitalizzati dell’Unione europea. Il primo traguardo cui si è arrivati, i 4 milioni e 600 milioni di opere culturali già acquisiti, contiene comunque non solo numeri notevoli ma destinati a crescere sensibilmente in avvenire. Il prossimo obiettivo è di arrivare entro la fine del 2010 a dieci milioni di oggetti culturali inseriti in “Europeana”. E di raggiungere in anni successivi traguardi ancora più ambiziosi. «È una fatica d’Ercole», ha confessato recentemente Viviane Reding, commissario europeo per la Società dell’informazione e i media.
In effetti, l’acquisizione da parte della biblioteca digitale europea di un gran numero di opere culturali è resa difficile, talvolta è bloccata da ostacoli di carattere legislativo, da gelosie e inefficienze nazionali (alcune non risparmiano gli stessi governi dei singoli Paesi), da scarsa volontà di collaborare da parte di un certo numero di operatori pubblici e privati. Su tutti i problemi sovrasta quello delle diverse norme legislative in tema di diritto d’autore esistenti nei vari Paesi membri. Notevoli anche le resistenze opposte da molte delle biblioteche nazionali a mettere a disposizione di “Europeana” le opere non più in commercio, quindi esaurite, che oltretutto rappresentano in media il 90 per cento del patrimonio culturale di queste biblioteche. Eccetera, eccetera.
Eppure, nonostante questi giganteschi macigni posti sulla sua strada, “Europeana” va avanti, sta aumentando rapidamente il numero, la qualità, in taluni casi perfino la preziosità delle opere che mette a disposizione del vasto pubblico dei cittadini dell’Unione europea. In tempi recenti ha acquisito tra l’altro 70 incunaboli (libri realizzati con le prime tecniche di stampa) della Biblioteca della Catalogna e un’edizione del 1572 di Os Lusíadas, il poema nazionale del Portogallo.
Le fatiche d’Ercole lamentate da Viviane Reding stanno dunque dando copiosi e preziosi frutti. Passo dopo passo, l’Europa utile, con “Europeana”, sta realizzando per i cittadini dell’Unione la più grande biblioteca di tutti i tempi.

   
   
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