Dicembre 2009

corporate bond: incognita 2010

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Una nuova
bolla speculativa?

Filippo Cucuccio

 

 
 

Irresponsabilità?
L’impetuosa
crescita delle
obbligazioni
societarie
è un forte allarme per il rischio di una nuova bolla speculativa dalle dimensioni
impressionanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se ormai la maggioranza degli addetti ai lavori ha orientato la propria attenzione verso le diverse possibili soluzioni di exit strategy dalla crisi dell’ultimo biennio, cionondimeno non sono pochi gli analisti che paventano uno scenario prossimo futuro non proprio roseo. Non si tratta, in realtà, di abbracciare le tesi dei catastrofisti ad oltranza, ma di guardare con un po’ di senso critico lo sviluppo di alcuni fenomeni che il bagliore dei primi spiragli di luce dopo il buio della crisi rischia di sottrarre ad una riflessione più approfondita.
Si prenda il caso delle obbligazioni societarie, che nel 2009 hanno registrato una crescita di tipo planetario e che ha coinvolto aziende di primo piano e non. Dai dati censiti dalla società Dealogic risultava che nei primi tre trimestri del 2009 si era abbondantemente superato la soglia dei mille miliardi di US$ con un balzo di oltre il 43% rispetto all’importo complessivo dell’anno precedente, mentre se si allunga lo sguardo ai primissimi anni di questo secolo si può stimare una crescita del 100% e oltre.
Si accennava prima alla caratteristica di globalità sul piano geografico che sembra contrassegnare questo fenomeno. Infatti, anche l’Italia non è rimasta esclusa da questa crescita tumultuosa che ha assunto negli ultimi mesi il tratto di una rincorsa al mercato del risparmio.

Archivio BPP

Archivio BPP

Ad esempio, si pensi che nello scorso settembre non sono mancate a questo appuntamento alcune delle imprese italiane più prestigiose. Basti citare Fiat Finance, che ha collocato in uno spazio di tempo ridottissimo titoli per 1,25 miliardi di euro con cedola al 7,75% a fronte di richieste per otto miliardi. E che dire di Assicurazioni Generali, che nel giro di due ore ha chiuso il collocamento dei propri 1.750 milioni di euro al 5,125% e anche in questo caso al riparto per la domanda superiore prontamente affluita? E come passare sotto silenzio l’operazione di Enel, che ha offerto agli investitori istituzionali titoli per 6,25 miliardi di euro, suddividendoli in quattro tranches (di cui due in sterline) con cedole che variano dal 4% al 5,75% e con scadenze che si protraggono fino al 2040?
In definitiva, settembre mese magico per la finanza aziendale italiana? Certamente sì, ma l’onda delle emissioni non si è certo fermata qui, come dimostrano nella prima metà di ottobre le offerte di Campari per 350 milioni di euro al 5,375% e di Finmeccanica per 600 milioni di euro al 5,25%. E, pertanto, non è difficile prevedere che anche nel nostro Paese il consuntivo 2009 sarà da record, se già nei primi nove mesi dell’anno si erano sfiorati i 17 miliardi di euro di nuove emissioni obbligazionarie.
Di fronte a questa invasione di carta finanziaria (che come si è appena visto non ha risparmiato l’Italia), sembra opportuno soffermarsi per individuare le cause di questo fenomeno. In questa ricerca si può partire da tre fattori causali che costituiscono altrettanti dati di fatto inoppugnabili: 1) la necessità per le imprese di reperire comunque capitali freschi in un contesto caratterizzato da scarsezza delle altre fonti di approvvigionamento, a cominciare da un mercato azionario su cui continuano a gravare perplessità sul proprio sviluppo nel breve-medio termine; 2) la difficoltà di accedere al credito bancario ordinario, i cui flussi si sono sensibilmente ridimensionati nonostante il costante pungolo delle autorità istituzionali; 3) e, infine, ma non è certo l’ultima concausa per ordine di importanza, la forte crescita di liquidità nei portafogli degli investitori istituzionali e non, sia a seguito delle iniezioni di denaro pubblico, sia per i massicci disinvestimenti da attività finanziarie a medio-lungo termine, effetto diretto dei timori indotti dall’ultima crisi finanziaria.

Individuate le principali cause della crescita delle obbligazioni societarie, si può passare al capitolo della comprensione di questo fenomeno, stilando una sorta di diagnosi. E qui si schiudono due possibilità interpretative: la prima, che ne è una lettura in positivo, è orientata nel giudicarlo una forma di riaggiustamento automatico dei circuiti di liquidità, del credito bancario e del mercato obbligazionario indispensabile per un adeguato funzionamento del sistema economico finanziario.
L’interpretazione alternativa, decisamente meno ottimista, punta l’attenzione su alcuni aspetti che suscitano perplessità e preoccupazioni. Per esempio, l’eccessiva facilità con cui il mercato accetta tutto quanto gli viene proposto anche da realtà societarie meno tranquillizzanti quanto a robustezza finanziaria. Su questo versante i segnali che giungono non contribuiscono a far diminuire l’inquietudine, se si pensa che non sono in pochi a prevedere nel 2010 un innalzamento del tasso di insolvenza delle aziende a basso rating; in proposito, un recente studio di Moody’s con riferimento al mercato statunitense stima che questo rapporto oltrepasserà la soglia del 10%, un livello catastrofico (per un pronto raffronto si ricorda che in Europa negli ultimi anni il livello del tasso d’insolvenza è stato sempre contenuto entro l’1%!).

Ma non solo. Ad accrescere il livello di preoccupazione vi è anche il ruolo ambivalente delle banche. Da un lato sono chiamate in causa per la scarsezza di finanziamenti erogati e per l’atteggiamento prudente mostrato nella sottoscrizione di prestiti sindacati – questi ultimi su scala mondiale sono segnalati in forte calo nel 2009, con un consuntivo riferito ai primi nove mesi dell’anno inferiore rispettivamente di quasi 2/3 e di quasi 4/5 nei confronti del 2008 e del 2007. Dall’altro lato, le banche si mostrano molto più disinvolte verso il mercato delle obbligazioni societarie, sia sotto forma di acquisto di titoli e successiva cessione ai propri clienti, sia per il ricorso all’emissione di propri titoli. Un fenomeno ben conosciuto anche in Italia per la favorevole accoglienza tributata ai titoli bancari dalle famiglie nei propri portafogli finanziari; e ciò, nonostante le riserve espresse nella sua ultima relazione dal Presidente della Consob per le carenze riscontrate in questo tipo di obbligazioni sotto il profilo dei requisiti di liquidità e trasparenza dei prezzi.
C’è, poi, un terzo elemento di inquietudine che riguarda le società di rating, le cui responsabilità nella recente crisi sono state ampiamente accertate per la superficialità con la quale hanno valutato i bilanci societari e le loro poste passive, incluso l’indebitamento sotto forma obbligazionaria.
La logica conclusione di questo tipo di lettura del fenomeno dell’impetuosa crescita delle obbligazioni societarie non può che essere un forte allarme per il rischio della formazione di una nuova bolla speculativa dalle dimensioni impressionanti.

C’è, allora, da chiedersi se questa prognosi è solo frutto di un maledetto incubo notturno, oppure se è la rappresentazione di uno scenario realistico verso cui il mondo sta procedendo a grandi passi, sospinto da dosi massicce di irresponsabilità diffusa e di euforia al di là di qualsiasi ragionevolezza. Bisogna, dunque, prepararsi a una nuova battaglia, ma con quali armi?
E qui, purtroppo, la risposta non è molto rassicurante perché a completare il quadro delle fragilità appena delineato vi è il frazionamento di competenze tra i diversi regulators nazionali e internazionali che si ritrovano a combattere la speculazione in situazione di evidente inferiorità a causa dell’accentuata disomogeneità applicativa e dei differenziali di trattamento delle stesse fattispecie nei diversi ordinamenti.
L’avviso ai naviganti è stato lanciato: la speranza è che venga raccolto prima che sia troppo tardi...

   
   
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