Dicembre 2009

global view. Quale capitalismo dopo la crisi

Indietro

Una fabbrica senza capi

Claudio Alemanno

 

 
 

Forse occorre
moralizzare
i moralizzatori, ancora affascinati dai Signori di Wall Street e
dalle loro trovate speculative.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La scopa di Dio. Questa icastica definizione della crisi dà giusto risalto ai complessi tentativi di riabilitazione del mercato. Abbiamo in corso d’opera grossi lavori di restauro ispirati a modelli “pragmatisti”. Ma uscire dall’emergenza non vuol dire essere oltre la crisi. L’exit strategy subisce continui rinvii, abbonda di preoccupazioni, di lentezze e di incertezze. Si preferisce navigare a vista in attesa di maggiore stabilità.
La crisi ha indotto molti Stati a immettere nel sistema finanziario cospicue quantità di moneta di nuovo conio. Ma l’invocato ritorno all’ortodossia stenta a trovare il giusto equilibrio tra la troppa moneta circolante e le poche regole praticate. La politica monetaria delle Banche centrali saprà recuperare il suo ruolo pilota tradizionale o le sue decisioni saranno ancora a rimorchio del movimento ondivago dei mercati?
Il futuro ci vedrà sufficientemente al riparo dai temibili incantesimi dell’economia del debito, dalle scorribande degli squali di Wall Street? È palpabile il disagio degli Stati di fronte alla supremazia degli interessi organizzati. Nella fase acuta della crisi le élites politiche hanno fatto bene il loro mestiere, sono intervenute tempestivamente con pacchetti-salvataggio e finanziamenti-ponte. Hanno trovato subito un minimo comun denominatore per evitare il collasso del sistema, ma le esercitazioni di buona volontà si fermano sulla soglia dello scampato pericolo. Resta congelato il ricorso a strategie comuni di finanza pubblica per il rientro del debito legato alle misure straordinarie, un’ipotesi di lavoro che si tradurrà in incrementi di prelievo e tagli di spesa. Per il forte impatto sulle discipline di bilancio e sugli squilibri sistemici questo inevitabile nodo richiede un piano di rientro coordinato in sede internazionale di cui non si vede alcun segnale. Eppure, alle politiche di rientro sono legate la solidità della ripresa, la stabilizzazione dei mercati, la definizione delle economie di scala dei governi territoriali. Attorno agli interventi di lungo periodo ci sono solo silenzio, confusione e incertezza. Non sappiamo se riusciranno a limare vecchie e nuove gibbosità del sistema (una disciplina per la nuova divisione internazionale del lavoro, il necessario coordinamento tra politiche fiscali e monetarie, il controllo dei pesanti squilibri delle bilance commerciali con annesse questioni valutarie).

L’ultimo strappo è partito dagli Stati Uniti e tutto riporta agli Stati Uniti, dove le disavventure finanziarie hanno scosso i capisaldi del credo calvinista creando profondi sensi di colpa. Il capitalismo del debito sviluppatosi negli ultimi vent’anni, l’uso spregiudicato della circolazione del credito cartaceo, la fiducia cieca nell’onnipotenza di una fantasia finanziaria illimitata hanno fatto tracimare il rischio risparmio, il rischio azienda, il rischio Paese. Nel 2009 l’odissea finanziaria americana ha registrato 92 crack bancari e una larga percezione fisica della crisi. Per l’etica protestante si tratta di devianze pericolose, di espressioni perverse e inammissibili di una devastante idolatria corruttrice (si legga di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo).
Per espiare si dà fuoco ad una simbolica “rich list”, ma i meccanismi che hanno procurato la crisi restano intatti e sembrano inossidabili nonostante i paletti voluti dal presidente Obama (ampliamento dei poteri della Federal Reserve, nuova Authority per la difesa dei consumatori, controllo più serrato per i mutui e la tecnofinanza derivata). La pressione lobbistica delle grandi aziende sul Congresso è fortissima e crea attriti gravi tra paladini pro-market e paladini pro-business. Uno degli effetti collaterali negativi sulla via del risanamento. Obama continua a chiedere regole che gli inquilini di Wall Street non vogliono.
Per leggere il futuro i media guardano alle banche e le banche ai media, mentre i Governi e le Banche centrali guardano ad un’inflazione contenuta per alleggerire i debiti accumulati e governare il graduale ritorno alla crescita. Sono intuibili grosse operazioni di consolidamento nei settori strategici o di larga occupazione (l’accordo Fiat-Chrysler va in questa direzione).
Si preannuncia una ripresa lenta e graduale, ma l’uscita dal tunnel non è indolore. L’avvio di un nuovo ciclo di crescita passa attraverso fallimenti, scorpori, fusioni e annessioni. Percorsi di ristrutturazione selvaggia che restituiscono dinamismo all’economia reale mentre l’occupazione ristagna o decresce. È il mondo del lavoro che accusa le maggiori sofferenze.
Emergono conflitti preoccupanti: la Casa Bianca contro il Congresso e contro Wall Street, le oligarchie imprenditoriali contro il sistema bancario, la bancarotta privata contro il rischio default dei bilanci pubblici. In Europa si avvertono segnali di tensione sociale, ma le economie di Francia e Germania si sono già messe a tirare, agganciando tempestivamente la ripresa delle economie asiatiche. C’è anche una ripresa italiana, ma la nostra base industriale resta in affanno per una sostanziale carenza di domanda e investimenti che rallenta e appiattisce gli scenari della crescita (pesa la scarsa affidabilità patrimoniale delle imprese, con conseguenti difficoltà di accesso al credito bancario e obbligazionario, pesa la scarsa capitalizzazione delle banche che fa aumentare le barriere nella valutazione del rischio credito). Innovazione di processi e prodotti, tecnologie di ultima generazione, standard globali, know-how manageriali sono gli ingredienti della nuova fase di sviluppo.
Mentre il mercato registra i primi, incerti segnali di ripresa, la comunità internazionale offre valutazioni caute e generiche, si ritrova nei momenti di maggiore impegno nei salotti del G20, dove vara direttive che fanno crescere in volume l’agenda dei buoni propositi. Un fermo immagine che lascia l’amaro in bocca. Il G20 di Pittsburg ha allargato la rappresentanza geopolitica con l’ingresso di Australia, Argentina e Turchia, ma non ha modificato nulla nei metodi di lavoro e nella strategia di aggressione della crisi. Le riforme strutturali restano affidate agli Stati nazionali, mentre toccherà al Fondo monetario svolgere compiti di coordinamento e al Financial Stability Board monitorare lo stato di salute del sistema finanziario. Al ristretto G8 restano i temi più politici, con speciale riferimento alla sicurezza e alle relazioni internazionali, un repertorio già trattato senza risultati strabilianti.
Sul fronte della vigilanza e del controllo dei mercati finanziari ci sono solo le iniziative concrete del presidente Obama. Ma se altri Stati volenterosi volessero seguire l’esempio resterebbero sempre spazi illimitati per le esercitazioni della finanza furba e creativa. L’eliminazione dei paradisi fiscali, un’accresciuta cooperazione tra Banche centrali e Autorità di vigilanza, il controllo più severo delle agenzie di rating, la valutazione di meriti e risultati per i compensi dei top manager restano sostanzialmente politiche d’immagine, impegni difficilmente traducibili in canoni di costume. Gli smottamenti del segreto bancario svizzero non fanno primavera.
Il globo è popolato da una costellazione di Stati minuscoli che vivono bene offrendo efficienti servizi di elusione della legalità. È difficile che si facciano imbrigliare in una rete informativa globale. C’è una lista nera dell’OCSE che non spaventa nessuno. Anche in presenza di una forte pressione internazionale non sono immaginabili sussulti convinti d’informazione e di trasparenza in Paesi-cuscinetto nati e cresciuti nella sovranità del silenzio, antichi e collaudati santuari della cattiva coscienza occidentale. Non avremo mai né cittadini, né Stati illibati, avremo forse Stati che strilleranno di più sotto la pressione di un indebitamento in crescita.

Archivio BPP

Archivio BPP

Dovendo intervenire su contesti finanziari privi di responsabilità sociale e difficili da decifrare nei loro virtuosismi di mercato, sarebbe più rassicurante stabilire ex lege cosa si può vendere e cosa non si può vendere, mettendo paletti chiari alla frenetica fantasia degli operatori nel creare e collocare prodotti innovativi. Una volta sul mercato, sono destinati a circolare e a turbare il sonno dei risparmiatori. Una strada inesplorata e difficile da percorrere, perché ostacola e restringe l’ampia discrezionalità esercitata dalle potenti centrali finanziarie (banche, assicurazioni, fondi) che elaborano di fatto le logiche di governo dei mercati. Nella convinzione che gli interessi di settore coincidano con quelli del Paese in cui operano.

L’economia americana soffre di eccessiva concentrazione finanziaria. Anche l’amministrazione Obama ha preferito usare il guanto di velluto. Ha scelto la via del controllo indiretto del mercato con la creazione di una nuova Agenzia federale, la Consumer Financial Protection Agency (CFPA), un ente che può dimostrarsi non inossidabile e non neutrale. Sono invece auspicabili più controlli diretti per disegnare a maglie strette la regolamentazione di settore. Coerentemente con l’esigenza di contenere le virtù del libero mercato più volte segnalata dal Financial Stability Board. Forse occorre moralizzare i moralizzatori, ancora affascinati dai Signori di Wall Street e dalle loro trovate speculative. In un sistema di economie aperte interconnesse non è ammissibile il dubbio che i controllati possano influenzare i controllori.
Gli Stati Uniti detengono il maggior mercato mondiale dei capitali e dunque hanno responsabilità primarie nell’approntare la “nuova normalità”, nel perfezionare sistemi di controllo e strategie di risanamento.
La riforma Obama estende la regolamentazione agli hedge fund (prima ne erano esclusi) e fissa nuovi vincoli per tutti i soggetti che operano nella finanza, comprese le assicurazioni. Crescono in sostanza gli obblighi procedurali. Ma se si esclude l’intervento diretto sulla leva finanziaria (per non ingessare i mercati e non portare altre turbative sul versante della fiducia), si possono creare attorno ad essa agguerriti fortini per elevare il livello di sorveglianza. Questa dovrebbe essere una delle principali esercitazioni politiche nella convulsa fase del risanamento.
Siamo convinti anche noi che l’approccio alla crisi debba essere morbido, ma oltre ai pacchetti-salvataggio e a qualche isolato tentativo sul versante delle regole-sistema, poco o nulla si vede sul versante dei comportamenti. Siamo in presenza di una crisi dei bisogni, quasi antropologica. Ma una generazione cresciuta con molta tecnologia e poco sentimento, ipnotizzata dal vangelo dei blog e dal facile consumo trova difficoltà a scalare la marcia, ad accettare lezioni di sobrietà e di etica sociale. I messaggi su parsimonia e rigore morale portati dai Padri Pellegrini sul suolo americano non riescono più a plasmare le coscienze.
Se un funzionario della Sec (Securities and Exchange Commission) guadagna 150 mila dollari l’anno e da una società controllata riceve un’offerta di impiego di 300 mila dollari, è difficile che resista ad una tentazione così accattivante. Per tenere alta la guardia, oltre alla necessità di regolamentare i mercati, occorre monitorare i comportamenti. Di deontologia, codici e vincoli soggettivi si parla poco, mentre diventano indispensabili se si vogliono isolare le provocazioni devianti, i businesses datati o riciclati in stile truffaldino.

I mille volti degli allucinogeni che hanno marchiato i percorsi della globalizzazione restano in piedi. Nuove bolle finanziarie vanno messe in conto se si lascia il consumatore-risparmiatore solo e indifeso rispetto alle insidie di un mercato governato dalla cupidigia del capitalismo d’assalto.

Rosa Pugliese

Rosa Pugliese

In tema di controlligli Stati Uniti, oltre ad aver allargato i poteri della FED, hanno anche istituito un Consiglio per tenere sotto osservazione il rischio sistemico (presieduto dal Tesoro, ne fanno parte la FED e gli altri enti regolatori). L’Europa resta al palo. C’è un progetto-vigilanza del Commissario agli Affari economici che dovrà essere sottoposto all’Europarlamento e ratificato da 27 governi. Prevede tre nuove Authorities per vigilare su banche, assicurazioni, fondi pensione e mercati finanziari e un “Board europeo di consultazione sul rischio sistemico”. Una complessa architettura che creerà molti sospetti e distinguo nelle Cancellerie nazionali. Una frammentazione di organi che dimostra la costante insensibilità verso la costruzione di una comune Casa europea.
Contro la crisi gli strumenti della cooperazione e del coordinamento sono armi spuntate. Rispetto ai difficili e improbabili accordi tra molti Paesi per l’adozione di regole comuni sembrano più accessibili e affidabili mini-accordi tra pochi Stati con ampia rappresentatività geopolitica. Va in questa direzione il complesso accordo Stati Uniti-Cina che dovrebbe produrre un effetto domino virtuoso. Un utile escamotage fino a quando in sede ONU, foro naturale per le istanze internazionali complesse, non si riesca a costituire un “Consiglio di sicurezza socio-economico”, con pari dignità del Consiglio di sicurezza militare. Risulterebbe più credibile di qualunque direttorio confezionato nell’ambito del G20. Una soluzione autorevole per scrivere una nuova tabula mundi, per sdoganare la comunità internazionale dal monopolio delle sovranità statali. Una manifestazione di potere poco illuminato che di fronte alle sfide della crisi procura debolezza al fattore politico-istituzionale.
Sarà mai possibile uscire dal money game della finanza? «Gli dèi accecano coloro che vogliono perdere», si usava dire nella Roma imperiale.

Nota bibliografica

Chi vuole approfondire circostanze e moniti della crisi può leggere le vicende raccontate da alcuni protagonisti.

-  Lawrence G. McDonald-Patrick Robinson, A Colossal Failure of Common Sense, gli ultimi giorni del collasso Lehman Brothers.
-  Carmen Reinhart-Kenneth Rogoff, This Time is Different. Eight Centuries of Financial Folly.
-  Henry Paulson, ex segretario al Tesoro americano, On the Brink, Sull’orlo del baratro, un ampio affresco di memorie.
-  Ludovico Festa-Giulio Sapelli, Capitalismi, Boroli Editore, un’interessante lettura italiana della crisi.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2009