Dicembre 2009

150 anni di divario. Perché la storia non si ripeta ancora

Indietro

Un’utile Banca per il Sud

Lello Boda

 

 
 

Exit strategy.
Lo Stato sarà
socio, ma di
minoranza,
e allo scadere
del quinto anno dovrà andarsene,
e nelle sue tasche non resterà che un’unica e sola azione simbolica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 15 ottobre il Consiglio dei Ministri ha dato il disco verde al disegno di legge che porterà alla nascita della Banca del Mezzogiorno (non si può chiamare Banca del Sud, perché ne esiste già una), un progetto fortemente voluto dal ministro dell’Economia. Lo Stato contribuirà con un piccolo investimento iniziale, per poi uscire dal capitale. Coinvolte, anche se con modalità ancora da definire, le Poste (14mila sportelli) e il sistema di Banche di credito cooperativo (Bcc). La nuova Banca dovrà garantire credito alle aziende del Mezzogiorno, e utilizzerà obbligazioni che avranno un trattamento fiscale agevolato e saranno garantite dallo Stato per un biennio.
Si è sostenuto che non si tratterà di un nuovo carrozzone, e ci sono tutte le ragioni per credere che non si ripeteranno vecchie storie già note di corruzione e di clientelismo. L’idea di un Istituto di credito per il Meridione italiano, fra l’altro, è tutto, fuorché peregrina, ed è partita da una semplicissima constatazione: il Sud è l’unica area europea di quelle (imponenti) dimensioni a non disporre di una grande Banca che sostenga l’economia locale e il circuito delle imprese. Le banche meridionali erano tutte pubbliche, dominate da una logica spartitoria e perversa, che le ha esposte via via alla crisi e alla definitiva decadenza. La Banca d’Italia era ritualmente costretta a trovare per esse un compratore del Nord, con la parziale eccezione delle banche romane.
La natura eminentemente politica delle vecchie, grandi banche delle regioni meridionali, dove capitali privati non hanno mai espresso un capitalismo finanziario autonomo dal potere pubblico, ha indebolito e non rafforzato il Mezzogiorno. E ha indebolito e non rafforzato le imprese del Sud: perché ha finito per renderle ancor più prede dell’intermediazione politica, lasciando dunque il ruolo di mazziere delle carte alla classe politica meridionale.

La Banca del Mezzogiorno non sarà davvero la stessa cosa, cioè una variazione sul medesimo tema. Sotto questo profilo, la proposta del governo ha in sé i giusti anticorpi alla potenziale malattia clientelare. Il primo è il fatto che il ministro dell’Economia non intende creare un Istituto “di primo livello”, ma sostanzialmente una banca “di secondo livello”. L’obiettivo è quello di canalizzare capitali privati, attraverso una fiscalità ben congegnata, verso la ripatrimonializzazione delle banche di credito cooperativo del Sud.
Perché? Perché la Banca del Mezzogiorno è il contrario di un progetto “costruttivista”, calato dall’alto. Si vuole partire dal basso, da banche che esistono e che conoscono abbastanza bene e da molto tempo i propri territori, e che pertanto possono accompagnarli in modo propositivo verso lo sviluppo.
Il secondo anticorpo è costituito dal fatto che, nella proposta governativa, non vi sono ambiguità sulla cosiddetta exit strategy: lo Stato sarà sicuramente socio, ma di minoranza, e allo scadere del quinto anno dovrà andarsene, e nelle sue tasche è stato previsto che non resti che un’unica e sola azione simbolica.
I privati incominciano a fare affari sulla spinta – è vero – di uno stimolo pubblico. Ma il fatto che questo stimolo sia a termine, che non preveda il predominio assoluto dello Stato nell’azionariato della Banca, che questa, in ultima analisi, nasca e debba prosperare nella forma di una sorta di consorzio di cui il governo non è il padrone ma soltanto ed esclusivamente la scintilla generatrice, è rassicurante. Così come è un dato politico interessante, e nello stesso tempo una garanzia per tutti, il fatto che la proposta sia stata avanzata da un ministro nordista, Giulio Tremonti, e che sia supportata dalla Lega.

Non si vogliono stornare maggiori quantità di quattrini del Nord, da destinare al Sud. Al contrario. Questa nuova idea del mondo economico e finanziario dimostra che anche il ceto politico del Nord ha capito che c’è un solo modo per realizzare un federalismo davvero ben funzionante e ben oliato: risolvere il principale problema del Meridione, che è quello della sua arretratezza.
Da più parti, fra l’altro, giungono proposte complementari interessanti, quali ad esempio quella di fissare un incremento costante per i prossimi otto-dieci anni a favore delle eccellenze tecnico-scientifiche del Sud, in ragione delle risorse generali. Si dice: «Individuiamo una sorta di piattaforma, di avamposto logistico per favorire centri tecnologici. Il Mezzogiorno sia una questione nazionale, e non più multiregionale, al di là degli schieramenti, e diventi un polo di riferimento per la ricerca nel Mediterraneo».
Interessante, da questo punto di vista, anche quanto ha dichiarato di recente il ministro delle Finanze, secondo il quale la realtà mette sotto gli occhi che il Paese è in debito con il Sud e occorre riflettere seriamente su questo tema: «Non possiamo tollerare più che l’Italia si divida per effetto di una sempre crescente dualità. Dobbiamo lavorare per eliminare questo fattore di spaccatura, che alla fine può diventare elemento di distruzione complessiva». E riecheggia Confindustria: «Questo Paese ha bisogno di tornare ad essere serio. È il momento di scelte importanti, la crisi impone le riforme. Servono tutti gli sforzi possibili per non rimanere ancora indietro. Dobbiamo lavorare tutti insieme, perché ci giochiamo il futuro nostro e dei nostri figli».
Altra proposta da prendere in considerazione, se non altro come punto di dibattito: sarebbe utile che nella discussione dei decreti attuativi del federalismo entrasse anche un’altra idea, nata all’interno dell’Istituto Bruno Leoni, pensatoio liberista diretto da Alberto Mingardi, e poi circolata anche nelle lobbies politiche: perché non fare del Meridione una grande “no tax region”, abbattendo la tassazione sui redditi d’impresa per attrarre investimenti e imprenditori nelle aree del Sud che tanto ne avrebbero bisogno?
Ragionando a freddo, si capisce che si perderebbe poco gettito, dal momento che al Sud già ora c’è moltissima evasione fiscale. E si darebbero più opportunità ai giovani meridionali di buona volontà, capaci di realizzare un Sud più forte e competitivo.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2009