Dicembre 2009

Le “riserve di valori” identitari

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Il cuore dell’Europa

Jean-Claude Trichet

Presidente Banca centrale europea

 
 

Una parte
integrante della
cultura europea
è la sua insaziabile curiosità per
l’abbondanza
di culture oltre
le sue coste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le poesie, al pari delle monete d’oro, sono concepite per durare, per conservare la propria integrità, sorrette dal ritmo, dalle rime e dalle metafore. In tal senso, come il denaro, sono assimilabili a una “riserva di valore” a lungo termine. Entrambe le cose aspirano all’inalterabilità ed entrambe sono destinate a circolare di mano in mano e di mente in mente. La cultura e il denaro, le poesie e le monete appartengono alle persone. La nostra moneta appartiene agli europei, in modo molto profondo: è la fiducia nella propria moneta che ne fa un efficace strumento di scambio, un’unità di conto e una riserva di valore. La nostra cultura risiede in quella ricchezza di arte e di letteratura che la fiducia delle persone ha deciso di preservare nel tempo.
Un modo per far luce sull’identità culturale europea consiste nel ricercare un concetto fondamentale, un “cuore” dell’Europa che ne sia contemporaneamente la fonte originaria e la sintesi.
Nel 1924 Paul Valéry, nel suo saggio L’Europeo, scrisse: «Ovunque i nomi di Cesare, di Gaio, di Traiano e di Virgilio, ovunque i nomi di Mosè e di San Paolo, ovunque i nomi di Aristotele, di Platone e di Euclide hanno avuto un significato e un’autorevolezza simultanei, là è Europa». Valéry insiste sul carattere spirituale dell’Europa, aggiungendo: «È degno di nota il fatto che l’uomo europeo non sia definito dalla razza, né dalla lingua, né dai costumi, ma dai desideri e dall’ampiezza della volontà». Al pari di Valéry, possiamo immaginare l’identità culturale europea come l’eccezionale sviluppo dell’unione, conseguita durante l’impero romano, tra pensiero greco, diritto romano e Bibbia, dalla quale derivano le tre religioni monoteiste.

Nel nostro cammino alla ricerca di un nucleo concettuale dell’Europa possiamo spingerci ancora oltre. È ciò che Edmund Husserl propone nella sua celebre conferenza viennese del maggio 1935, intitolata La crisi dell’umanità europea e la filosofia. Egli scorge l’origine dell’idea spirituale d’Europa in Grecia, dove un pugno di uomini diede inizio a una radicale conversione dell’intera vita culturale. Husserl sostiene che l’Europa si identifica completamente con le proprie origini greche, con lo spirito della filosofia. La “crisi” europea, pertanto, deriva dall’evidente fallimento del razionalismo. Husserl conclude la conferenza in modo acuto quanto visionario, senza neppure nominare totalitarismo, fascismo o nazismo: «La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione».
L’identità culturale e l’unità fra culture nazionali distinte non significano una semplice quanto indefinita espansione di un nucleo culturale originario. Questo tessuto è composto, da un lato, dai fili dell’ordito, accuratamente teso, che corrispondono alle numerose culture nazionali con la loro precisa identità e affondano le proprie origini in un passato remoto; dall’altro, dai fili della trama, che rappresentano la mescolanza derivante dalle influenze e dalle fascinazioni reciproche, transnazionali, che superano i confini fra culture e lingue diverse. Immagino questo tessuto culturale europeo, intrecciato di arte, lingua e letteratura, trarre la propria bellezza, unità e solidità dalla quantità e dalla diversità dei suoi fili.
L’influenza esercitata da Goethe sulle altre culture è straordinaria. La pubblicazione del Werther mise a soqquadro l’Europa. Fu uno dei libri che Bonaparte portò con sé durante la spedizione in Egitto, e quando incontrò Goethe volle discuterne con lui.

All’interno di una crêperie, in Bretagna. - Dario Carrozzini

All’interno di una crêperie, in Bretagna. - Dario Carrozzini


Dante Alighieri ci offre un altro magnifico esempio di questa influenza e fascinazione che oltrepassa il tempo e lo spazio. La Divina Commedia esercita un fascino estremamente potente sui suoi lettori europei. A cinque secoli di distanza, William Blake commenta, in margine alla traduzione dell’Inferno di Henry Boyd: «La poesia più grande è immorale, i più grandi personaggi malvagi, molto satanici (…). Astuzia e moralità non sono poesia ma filosofia (…). La poesia è fatta per giustificare il vizio, mostrarne la ragione e la sua necessaria espiazione».
Dante introduce in Italia l’utilizzo della “terza rima” (o rima tripla), che struttura la poesia in terzine caratterizzate da una sequenza di rime collegate tra loro in modo tale che ciascuna di esse, salvo la prima terzina del canto, sia concatenata alla rima di due versi precedente. Questo nuovo tipo di verso riscosse un immediato successo e fu adottato da Boccaccio e da Petrarca. Dante stesso l’aveva preso a prestito da un’altra lingua, il provenzale: il sirventes, una composizione lirica che risaliva ai trovatori e faceva uso della terza rima. Ecco un altro esempio della felice influenza nata dall’incrocio tra due forme di linguaggio vernacolare: il provenzale e l’italiano.
Altre influenze europee possono spiegare l’impatto emotivo prodotto dalla Divina Commedia. Trent’anni prima della nascita di Dante, Boncompagno da Signa, un professore di retorica di Bologna, pubblicò l’opera Rhetorica novissima. In un capitolo dedicato alla memoria, adattò l’“arte della memoria” di derivazione classica – la tecnica utilizzata dagli oratori greci e romani per memorizzare i propri discorsi – trasformandola in una potente memoria artificiale di vizi e di virtù, di Paradiso e Inferno.

Particolare della Sagrada Familia di Barcellona, basilica capolavoro di Antonio Gaudí, tuttora in costruzione. - Carlo Stasi

Particolare della Sagrada Familia di Barcellona, basilica capolavoro di Antonio Gaudí, tuttora in costruzione. - Carlo Stasi

Seguire il cammino di una metafora poetica nel corso dei secoli, vederla attraversare lingue e confini, è un’altra delle meraviglie della cultura europea. Simonide di Ceo scrive: «Di coloro che alle Termopili morirono, gloriosa è la sorte, bello il destino, altare la tomba. Ricordo prima che lamento, e lode è il compianto. Tal monumento funebre né la ruggine oscurerà né il tempo che tutto distrugge». Questa metafora, che paragona la poesia a un “monumento indistruttibile”, fu ripresa in seguito da Orazio nelle sue Odi: «Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo e più alto della mole regale delle piramidi, che né la pioggia che corrode, né l’aquilone sfrenato possano abbattere o la sequela infinita degli anni o la fuga del tempo». La stessa metafora fu inoltre impiegata da Ovidio, Boccaccio, Ronsard e du Bellay ne Les Antiquités de Rome, che ispirarono a Shakespeare la composizione del suo magnifico sonetto 55: «Né il marmo né i dorati monumenti / dei prìncipi sopravvivranno a questa possente rima». Questo splendido sonetto tratta dell’immortalità della persona amata, dei sentimenti che essa ispira e della natura immutabile della poesia stessa. La sua metafora centrale risale a duemila anni prima, a Simonide, e ha viaggiato attraverso i secoli e oltrepassato le frontiere delle lingue greca, latina, italiana, francese e inglese.
Lo scrittore Cees Nooteboom in De ontvoering van Europa (“Come si diventa europei?”) offre la propria personale interpretazione dell’unità e della diversità culturale europea: «Se sono europeo – e spero di stare cominciando a diventarlo dopo quasi sessant’anni di strenui sforzi – ciò significa indubbiamente che il multiculturalismo europeo influenza profondamente la mia identità olandese».
È nostro dovere renderci pienamente consapevoli della nostra identità culturale nazionale, non solo perché rappresenta le fondamenta del nostro intelletto, ma anche perché la ricca varietà culturale europea e le sue radici nazionali rappresentano ciò che la rende così unica. È questo immenso patrimonio culturale che conferisce agli europei la loro identità.
Europeità vuol dire condividere con gli altri europei le stesse fonti culturali, nonostante abbiano retroterra culturali molto diversi. Ciò significa che io vivo in una moderna atmosfera letteraria, influenzata direttamente e indirettamente dal ceko Kafka, dall’irlandese Joyce e dal francese Proust. Come ha scritto il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset nel 1930 in La ribellione delle masse: «Se oggi dovessimo fare l’inventario del contenuto della nostra mente – opinioni, princìpi, desideri, supposizioni – scopriremmo che la gran parte di esso non deriva dalla Francia per il francese, né dalla Spagna per lo spagnolo, bensì dal comune sostrato europeo».
È proprio perché l’Europa si è gradualmente formata sulla base di un genuino riconoscimento della sua diversità culturale che essa aspira a essere universale. La sua unità culturale non è sinonimo di confinamento, introspezione o isolamento all’interno di una “fortezza” culturale. Una parte integrante della sua cultura è la sua insaziabile curiosità per l’abbondanza di culture oltre le sue coste.
Aspiriamo anche all’universalità. Siamo aperti al mondo e in stretto contatto con le istituzioni degli altri continenti. Miriamo a svolgere un ruolo il più possibile attivo nelle istituzioni finanziarie internazionali e nei gruppi intergovernativi informali ai quali apparteniamo, proponendo in ogni occasione un approccio multilaterale. Teniamo in gran conto i confronti con le Banche centrali degli altri continenti, e in particolar modo quelli che intercorrono tra l’Eurosistema e le Banche centrali in Asia, in America Latina e nel Mediterraneo.

Siamo uniti perché siamo investiti dell’importante responsabilità che deriva dal Trattato di Maastricht, che ci rende custodi della politica monetaria della moneta unica, in quanto l’Unione economica e monetaria rappresenta una magnifica impresa su cui si fonda la prosperità dell’Europa, e perché l’euro costituisce un emblema dell’unità europea. In un mondo globalizzato, che procede all’integrazione, è da ritenersi esemplare l’esperienza maturata con l’unità economica e monetaria, basata sulla libera volontà degli Stati membri. Anche per questo siamo lieti di impegnarci in stretta collaborazione con le istituzioni di altri continenti, che guardano alla Banca centrale europea, valutano quali lezioni trarre dall’esperienza europea. Ernest Renan ha definito così l’identità di una nazione: «Nel passato, un’eredità di gloria e dei rimpianti da dividere; nell’avvenire, un programma da realizzare».
   
   
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