Marzo 2010

AMERICA UNO E DUE

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È il Roosevelt del Duemila

Paul Anthony Samuelson

Premio Nobel per l’Economia
 
 

Agli avversari
di Obama che
definiscono
“protezionistiche” le politiche del Presidente, sfugge il fatto che
l’America ha
perso il suo ruolo di prima e unica potenza al mondo.

 

 

L’arrivo di Barack Obama è stato provvidenziale per avviare un percorso di cambiamento profondo di un’economia sull’orlo del collasso. Questo Presidente lo spiega ogni giorno: è lui il brillante protagonista del New Deal del Ventunesimo secolo.
La portata del cambiamento giunto con Obama e con la sua amministrazione è paragonabile per ampiezza e per profondità al New Deal con il quale Franklin Delano Roosevelt trasformò il capitalismo vecchia maniera. Senza le misure adottate da Obama, oggi saremmo ancora prigionieri della crisi.
Mi riferisco ai 787 miliardi per stimoli economici stanziati lo scorso inverno. È stato proprio questo che ha consentito di rimettere in moto industrie e servizi sull’orlo della paralisi, di arginare gli effetti della crisi e consentire l’avvio di una ripresa economica in tempi ragionevoli, come del resto dimostrano i dati macro più recenti.
C’è chi parla di “ripresa imperfetta”, perché la disoccupazione è in crescita. In realtà, in una fase di depressione come quella che abbiamo vissuto, il ritorno alla crescita dei posti di lavoro potrà arrivare soltanto più avanti nel tempo: lo dimostrano tutte le fasi congiunturali critiche del passato. Ma arriverà, e senza bisogno di un secondo pacchetto di stimoli. Fino a questo momento, tanto il governo che il Congresso hanno fatto tutto il possibile per ritornare ad una finanza sana. Dobbiamo pensare che Obama si è trovato al cospetto di un paziente gravemente malato, e ha agito con estrema responsabilità, garantendo in un primo momento il ritorno della liquidità a livelli accettabili, e poi operando sulle istituzioni. Non dimentichiamo che il governo deve fare i conti con l’ostruzionismo sistematico delle lobby di settore, che resistono al cambiamento.
Allo stato attuale, è piuttosto difficile proteggere i consumatori, in modo particolare quelli del settore delle attività finanziarie. Basta tuttavia guardarsi indietro – con Enron o Worldcom prima, con Bear Stearns o Lehman Brothers dopo – per chiederci quante vittime dovranno esserci ancora, prima di capire che un capitalismo senza regole è soltanto autodistruttivo.
Analizziamo la situazione. Agli avversari di Obama che definiscono “protezionistiche” le politiche del Presidente, sfugge il fatto che l’America ha perso il suo ruolo di prima e unica potenza al mondo. Adesso ci sono la Cina, l’India e altre importanti realtà emergenti. I rapporti di forza sul piano internazionale sono cambiati: quindi è necessario anche da parte dei governi un riequilibrio interno che eviti di creare traumi. Questo vale anche per la corsa contro il dollaro di cui si stanno rendendo protagonisti alcuni Paesi: una corsa disordinata, che rischia di creare squilibri e crisi di lungo periodo per l’America.

I sostenitori di Obama assistono, per le strade di New York, alla cerimonia di insediamento del primo presidente afro-americano alla Casa Bianca.

Dario Carrozzini

Sul piano interno, poi, gli Stati Uniti avevano assolutamente bisogno della riforma sanitaria. Quella intrapresa da Obama è stata la strada giusta, l’unica per sanare una situazione pesante (e ingiusta) ereditata dal passato. Ritengo che l’opzione pubblica sia una misura indispensabile per avere un sistema sanitario equo ed efficiente.
Certo, rischi di ricadute sul debito pubblico ce ne sono, ma dipendono più dalla corsa contro il dollaro da parte della Cina e del Giappone, che scaricano asset americani a rendimento vicino allo zero.
In linea generale, comunque, è da sottolineare piuttosto che il punto di forza di Obama è stata la capacità di comprendere assieme alla sua squadra le dinamiche economiche in atto, prima di adottare le misure necessarie per cambiare lo status quo.
Quello che deve fare nell’immediato futuro lo sa già, e sono sicuro che sia la cosa migliore per il Paese. Non mi sento di dare consigli, ora; del resto, anche lui è un Nobel, oltre tutto per la pace, un riconoscimento meritato, mi permetto di dire, molto più di quello incassato anni fa da Henry Kissinger.

   
   
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