Marzo 2010

AMERICA UNO E DUE

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Macchè, con lui
rischiamo il collasso

Edward C. Prescott

Premio Nobel per l’Economia
 
 

Depressione.
Dobbiamo
ringraziare Obama se l’America
rischia il collasso: la colpa è tutta
del suo pacchetto di “stimoli”
e della voglia
di tartassare.

 

 

Mimo a San Francisco.

Alessandro Epifani

Dobbiamo ringraziare Barack Obama se l’America rischia il collasso: la colpa è tutta del suo pacchetto di “stimoli” e della voglia di tartassare. L’impatto che il Presidente ha avuto sul Paese è simile a quello che le politiche di Herbert Hoover ebbero sull’economia americana tra gli anni Venti e Trenta: creare le condizioni per la Depressione.
Basta soltanto vedere che cosa ha in mente per mettere ancora di più in crisi tutto il sistema. Mi riferisco al previsto incremento delle tasse: un presupposto necessario e sufficiente per stroncare gli investimenti e costringere le aziende a licenziare. Questo è quel che accadde con Hoover e che si ripete oggi. Anche allora ci fu un pacchetto di stimoli, ma non servì a nulla, e ciò che è grave è che Obama non ha imparato la lezione, spendere di più non sollecita l’economia.
Non dico che la gestione Obama sia fallimentare. Affermerei piuttosto che il Presidente ha aiutato la crisi con una serie di scelte sbagliate. Per quanto se ne dica, Washington è stata molto generosa con Wall Street, vale a dire con l’epicentro del terremoto finanziario, per non parlare del pacchetto di “stimoli”, un grande passo nella direzione sbagliata.

La riforma finanziaria serve, ma non attraverso un controllo del governo di tipo intrusivo. Basti pensare a Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi parastatali di prestiti e mutui, che per loro stessa natura erano sottoposti al controllo del governo. Eppure, sono diventati insolventi e hanno messo a rischio il sistema. Per quel che riguarda la difesa dei consumatori, più che creare un’agenzia, è necessario lavorare sulle norme per la bancarotta, rendendole più organiche e severe. Le banche in linea teorica non hanno interesse a rivalersi sul consumatore e dovrebbero tendere a mantenere un buon rapporto con il cliente. Il timore è che la crociata di Obama penalizzi i cittadini e le piccole imprese.
Quella rivolta dal Presidente alle banche, perché aprano i rubinetti del credito alle piccole aziende, è una dichiarazione-richiesta priva di senso. Le banche per loro natura hanno un disperato bisogno di investire. Il problema è che non ne esistono le condizioni per colpa delle politiche dell’amministrazione.
Dal punto di vista del deficit e del debito, c’è un comportamento irresponsabile da parte della stessa amministrazione. Io prenderei in seria considerazione i moniti lanciati sul rating del debito Usa. Anche perché un pericolo ancora maggiore deriva dalla riforma sanitaria. La legge è terribile, penalizza i giovani e grava, appunto, sul debito. Per non parlare dello scempio dell’opzione pubblica, una pericolosa deriva verso il socialismo. Avevamo un ottimo sistema sanitario prima del coinvolgimento del governo, avvenuto tra gli anni Sessanta e Settanta. Dovremmo tornare a quel modello.
Per quel che riguarda il commercio internazionale, dev’essere pronunciata una sola parola: protezionismo. Ciò che ha fatto Obama fino ad oggi, come i dazi sulle merci cinesi, è molto preoccupante. Certo, multilateralismo, rapporti buoni con le istituzioni internazionali, lo stesso Nobel per la Pace a Obama, fanno bene all’immagine degli Stati Uniti, perché è in atto una sorta di crociata del cambiamento. Ma non dimentichiamo che il Presidente è stato accolto in maniera fredda in alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, gli stessi che hanno vissuto sulla propria pelle il socialismo reale. Le sue politiche rischiano di indebolire l’America ancora più di quanto facciano le dinamiche globali.
In sintesi: l’errore iniziale peggiore che ha commesso Obama è il pacchetto di “stimoli”, quello intermedio è la riforma sanitaria, quello che commetterà è tartassare i contribuenti. E il Paese sarà ancora a lungo ostaggio di una depressione, sia pure carsica.

   
   
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