Marzo 2010

L’EUROPA UTILE

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Un efficace
strumento anticrisi

Mario Pinzauti

 
 
 

 

 

L’Europa
dei mercanti.

Non sono più
i tempi di Spinelli, di Jean Monnet,
di De Gasperi
e di Adenauer.
Le ideologie,
anche le più belle, sono al tramonto, se non al
crepuscolo.

 

 

Alcuni giorni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, finalmente avvenuta il 1° dicembre dell’anno scorso al termine di una lunga e sofferta gestazione, abbiamo seguito a Roma la prima delle cinque manifestazioni con cui il Parlamento europeo, la Commissione europea e il Dipartimento delle Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri del governo italiano si sono proposti di favorire il coinvolgimento e l’interesse dei cittadini italiani su quell’avvenimento che, nonostante i suoi limiti, rappresenta un notevole passo in avanti nel processo d’integrazione europea.
Di queste manifestazioni, tutte presentate con il suggestivo titolo “L’Europa in città”, cioè l’Europa tra i cittadini, c’era un grande, grandissimo bisogno, come avevano messo in luce i sondaggi sulle reazioni popolari al referendum con cui, il 2 ottobre, gli elettori irlandesi avevano rivisto e annullato il giudizio negativo sul Trattato di Lisbona da loro stessi espresso l’anno precedente con un altro referendum. I risultati di questi sondaggi, come abbiamo rilevato nel precedente articolo dedicato su questa rivista all’Europa utile, stupivano e lasciavano con molto amaro in bocca. Pur prendendo atto del pentimento dell’elettorato irlandese, la maggioranza dei cittadini europei non mostrava alcuna volontà di far proprio quel buon esempio. Di nuovo, com’era già avvenuto con precedenti sondaggi, anche in quest’occasione, infatti, la maggioranza di questi cittadini continuava a dichiarare freddezza se non ostilità nei confronti dell’Unione europea. Probabilmente in gran parte per colpa – scrivemmo noi – della poca e cattiva informazione sulle attività dell’Europa comunitaria, comprese quelle da cui i circa 500 milioni dell’Unione hanno ricevuto e continuano a ricevere una notevole quantità di benefici.

Sbuca da dietro le palme la statua di Cristoforo Colombo, a Barcellona.

Carlo Stasi

Evidentemente la nostra diagnosi coincise con quella delle istituzioni europee. Lo hanno confermato le cinque manifestazioni italiane (dopo Roma, tra metà dicembre e la fine di febbraio, a Bologna, Milano, Bari e Palermo), organizzate sotto forma di incontri tra cittadini ed eurodeputati, affidando a questi ultimi il compito di illustrare ai presenti i vantaggi che, con un presidente e un ministro degli Esteri in carica per due anni e mezzo, un Parlamento europeo dotato di maggiori poteri, l’abolizione del diritto di veto nelle votazioni al Consiglio dei Ministri europeo, la possibilità per gli elettori di presentare loro proposte legislative a condizione che siano sostenute da almeno un milione di firme e tanto altro, il Trattato rende possibili.
Opportuna e tempestiva dunque l’iniziativa “L’Europa in città” e le altre consimili che di questi tempi in Italia e negli altri 27 Paesi dell’Unione, a quanto ci risulta, si prefiggono d’instaurare, si può dire, un rapporto diretto tra produttore e consumatore, cioè tra istituzioni europee e cittadini, allo scopo di accrescere la conoscenza e l’interesse popolari nei confronti dell’Unione in generale e dell’Unione del dopo Lisbona in particolare. Ma sono sufficienti per far cadere o ridurre almeno di dimensioni il muro di diffidenza se non di ostilità che si è creato tra Europa ed europei e di cui prima le elezioni di giugno per il Parlamento di Strasburgo e poi i sondaggi di ottobre hanno messo in luce l’impressionante spessore? Se vogliamo essere sinceri con i nostri lettori e anche con noi stessi non possiamo che rispondere con uno sconsolato no. O meglio, pur sottolineando che l’idea è stata buona, che la campagna promozionale d’autunno-inverno era necessaria, quindi utile, dobbiamo dire che, a quanto è possibile dedurre dai dati finora disponibili, essa sembra aver dato risultati più di forma che di sostanza. Risultati che sarà necessario arricchire di fatti, e al più presto, se si vorrà sconfiggere la diffidenza e l’ostilità e ottenere che la gran parte dei cittadini capiscano finalmente che l’Unione è, per loro, una sincera e fidata amica.

Per ottenere questo importante risultato, che sembra facile ma non lo è, non c’è niente di meglio che ricorrere e insistere, insistere fino alla spossatezza, su una formula che non solo sembra facile ma lo è davvero, o può diventarlo: impegnarsi di più e con il supporto di una seria convinzione per diffondere tra i cittadini un’adeguata conoscenza dei benefici diretti che ognuno di loro ha ricevuto e continua a ricevere dall’Europa comunitaria, così dimostrando, con l’inoppugnabile testimonianza dei fatti, quanto sia vera e forte l’amicizia di quest’Europa. È un impegno che dovrebbe essere scontato. Eppure, curiosamente, esso finora ha trovato limitata e spesso anche non corretta applicazione. Nei pur utili tentativi in corso di costruzione di un positivo rapporto con l’opinione pubblica, come nelle manifestazioni cui abbiamo prima accennato, come in un’enorme quantità di pubblicazioni, di approfondimenti e spot audiovisivi, si è fornita e si fornisce una gran mole di informazioni di carattere storico-politico sull’Unione, lasciando però in secondo piano le prodezze dell’Europa utile.
E questo, come noi (e non soltanto noi) abbiamo ripetutamente affermato, è profondamente sbagliato, oltreché anacronistico. Non sono più (purtroppo) i tempi di Spinelli, di Jean Monnet, di De Gasperi e di Adenauer. Le ideologie – comprese persino le più belle – sono al tramonto, se non al crepuscolo. Prevalgono, per l’Europa, come per tutto il mondo, i pragmatismi, gli interessi per i programmi e le attività attinenti al miglioramento delle condizioni di vita.
E così mentre l’obiettivo federale degli Stati Uniti d’Europa diventa il sogno di pochi, irriducibili romantici, anche quelle che fino a qualche decennio fa erano viste dai cittadini come affascinanti tappe storico-politiche, quali i principali Trattati, i vari momenti dell’allargamento, sono ora considerate con scarsa attenzione e modesto, modestissimo interesse dagli stessi cittadini, i quali, viceversa, sono sempre più disponibili a dare attenzione a quelle attività dell’Unione che modificano in meglio la loro condizione di vita o promettono di farlo: a condizione, s’intende, che questa attenzione la si sappia suscitare rinnovando profondamente, in qualche caso radicalmente, forme, contenuti, anche quantità dell’informazione sull’Europa destinata al pubblico. Sembra, lo sappiamo, una resa al concetto di “Europa dei mercanti” aspramente condannato da Spinelli. E in piccola parte lo è. Nella gran parte, però, quello che ormai non si può evitare di fare per guadagnarsi il consenso del pubblico europeo, è un non entusiasmante ma accettabile oltreché inevitabile compromesso. Perché solo grazie ad esso, solo dando maggiore visibilità dell’Europa utile, anche l’Europa politica può ritrovare l’attenzione e il consenso popolare che ora sta perdendo. E quindi è giusto, oltreché opportuno, enfatizzare l’Europa utile, metterla nella prima pagina delle iniziative che le istituzioni prendono per rinsaldare, dove necessario ricostruire, il rapporto tra i cittadini e l’Unione.

Usciamo da questo lungo inciso, torniamo a parlare del limitato successo delle manifestazioni promozionali dell’autunno-inverno, e di altre svoltesi o in programma nello stesso periodo o per i mesi successivi del 2010 per dire che a parere nostro (ma non soltanto nostro) il successo sarebbe stato sicuramente maggiore se nel corso di questi incontri con i cittadini avessero avuto più spazio e risalto, accanto all’elencazione e alla valorizzazione degli effetti positivi del Trattato di Lisbona, l’elencazione e la valorizzazione degli effetti non meno positivi delle iniziative che per l’anno in corso l’Unione sta già attuando o ha in programma per combattere le conseguenze della crisi economica, in particolare quelle che più toccano, e molto spesso feriscono, le condizioni di vita di gran parte dei 500 milioni di uomini e donne residenti nell’Unione.
Ad esempio, visto che il 2010 è stato scelto dal Consiglio dei Ministri e dal Parlamento dell’Unione come “Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale” avrebbe fatto notizia, notizia di rilievo, una documentazione su quanto le istituzioni comunitarie e i governi dei 27 Paesi dell’Unione stanno facendo, o si apprestano a fare per ridurre almeno di dimensioni questo fenomeno sociale che affligge 78 milioni di persone, cioè il 16% della popolazione europea. Queste persone sono considerate in stato di povertà o a rischio povertà. Una su dieci tra di esse è in stato di estrema povertà. Il 19% dei cittadini di quest’altra Europa, l’Europa della miseria, è costituito da bambini. Sono dati che invocano, anzi reclamano interventi dell’Unione e dei 27 governi nazionali. E che non possono non coinvolgere attenzione e sentimenti dei cittadini, di tutti i cittadini e tanto più quando notizie di fonte europea portano la speranza – che diventa anch’essa notizia – dell’impegno di una grande comunità, quella costituita dall’Unione dei 27, per misure che almeno riducano la drammatica dimensione di questo problema.
Se inserito nella tematica delle iniziative promozionali cui abbiamo accennato, e di altre svoltesi recentemente o in programma per il prossimo avvenire, un altro argomento avrebbe certamente fatto crescere il richiamo dell’attenzione e dell’interesse del pubblico e quello (anche più difficile solitamente ad ottenere!) dei mezzi d’informazione: la disoccupazione, che è senza dubbio il maggiore e il più drammatico dei problemi della società europea. Come mettono in rilievo alcuni dati. Quattro milioni di posti di lavoro creati nell’Unione nell’ultimo decennio sono stati bruciati dall’inizio della crisi, cioè dal 2007. E potrebbero raddoppiare entro la fine di quest’anno, balzando a 7 milioni se non si troverà modo prima di fermare e poi d’invertire questo nefasto trend. Come peraltro l’Unione sta tentando di fare, ricorrendo ai mezzi già disponibili, quelli previsti dai fondi strutturali e ricorrendo a nuove strategie. Una di queste è molto promettente, sebbene non possa essere ancora considerata risolutiva. È quella che potrebbe essere data da una rapida crescita dei programmi cosiddetti R&S, cioè di Ricerca e Sviluppo, promossi e in diverse forme anche sostenuti dalle istituzioni comunitarie e adottati, con risultati incoraggianti, da un consistente gruppo di aziende.

La Commissione europea è al lavoro per elaborare un piano d’azione comunitario contro la piaga della disoccupazione. Molte sono le ragioni per ritenere che in questo piano la voce R&S sarà in bella evidenza. Tra queste ragioni primeggiano e si impongono all’attenzione sia degli addetti ai lavori sia del pubblico i dati sugli investimenti in materia di Ricerca e Sviluppo nell’Unione europea nel corso del 2008. In piena crisi economica sono cresciuti dell’8,1 per cento, soltanto lo 0,7 per cento in meno rispetto al momento d’inizio della crisi, il 2007, e sopravanzando nettamente, quanto ad aumenti percentuali, gli Stati Uniti (+5,7 per cento nel 2008, +8,6 per cento nel 2007). Questi dati, contenuti nel “Quadro di Valutazione degli investimenti R&S nel 2008” recentemente redatto, come avviene ogni anno, dalla Commissione europea, sono accompagnati da altri che impongono di contenere la soddisfazione. L’incremento degli investimenti R&S nell’Unione europea, sebbene notevole, resta di parecchio distanziato da quelli riguardanti i Paesi ad economia emergente. In Cina l’aumento è stato del 40 per cento, in India del 27,30 per cento, a Taiwan del 25,1 per cento, in Brasile del 18,6 per cento. Inoltre: 1) l’impresa che su scala mondiale ha realizzato, nel 2008, la maggiore quantità di investimenti non è nell’Europa comunitaria, è in Asia, esattamente in Giappone, è la Toyota, con 7,61 miliardi di euro; 2) pur in corsa nell’aumento delle risorse destinate alla R&S, l’Europa resta indietro in altri aspetti della politica di produzione industriale, tanto è vero, ad esempio, che nel 2008 – come risulta ancora dal “Quadro di Valutazione” – gli utili di gestione delle sue imprese sono calati del 30,5 per cento contro una riduzione del 19,1 per cento di quelli delle imprese statunitensi.

Altri dati ancora mostrano tuttavia che in questo quadro di luci e ombre resta seriamente motivato il proposito delle istituzioni comunitarie e del consistente gruppo di imprese che dimostra di condividerne le analisi e i programmi di fare degli investimenti R&S un efficace strumento contro la crisi e la disoccupazione in particolare. Lo conferma il fatto che proprio in alcuni dei settori produttivi più colpiti dalle difficoltà è maggiore l’impegno a ricorrere alla Ricerca e allo Sviluppo. Così accade ad esempio nel settore dell’auto, dove l’anno scorso ci sono state imprese che hanno realizzato aumenti di investimenti R&S calcolabili a due cifre: Volkswagen +20,4 per cento, Peugeot +14,4 per cento, Fiat +14,1 per cento e dove una di queste aziende, la Volkswagen, con 5,93 miliardi di euro di investimenti, si è guadagnata una posizione di rilievo, il terzo posto nella classifica mondiale 2008.

Secondo Janez Poto?nik, commissario europeo per la Scienza e la Ricerca, c’è quanto basta per impegnarsi per mettere in crisi... la crisi, utilizzando tra l’altro la maggiore energia produttiva che le imprese otterranno dalla R&S. Poto?nik pensa alla creazione di uno “Spazio europeo della Crescita e dello Sviluppo”, ovviamente sostenuto dalla Commissione e aperto alla collaborazione di tutte le imprese. Ed è letteralmente entusiasta dei risultati che possono essere raggiunti.

«Questa – ha detto in una recente dichiarazione – è la strategia che dobbiamo scegliere per uscire dalla crisi» e ha garantito che essa è stata già fatta propria dall’insieme delle istituzioni europee, dalle quali, ha aggiunto, verranno anche adeguati interventi per sostenere le imprese comunitarie che operano nell’ambito delle tecnologie a basse emissioni di carbonio e che rappresentano nuove fonti di crescita e di occupazione nell’Unione europea.

Queste parole e le notizie che esse commentavano sono state rese note in prossimità delle manifestazioni promozionali indette dalle istituzioni europee dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Nel corso di queste manifestazioni non sono state enfatizzate, nemmeno citate. Peccato: perché ancora una volta si è persa l’occasione di ridurre il muro di diffidenza che da troppo tempo esiste tra l’Europa e i suoi cittadini.

   
   
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