Marzo 2010

LA PRESENZA STRANIERA NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA *

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Di nuovi arrivi
e altre partenzE

Luigi Di Comite**- Stefania Girone**

 
 
 

 

 

 

Porte d’ingresso.
Nelle regioni
meridionali, la presenza straniera è limitata: sono
terre di approdo
e di transito per
i migranti africani
e asiatici.

 

 

 

 

 

1. Introduzione

Oramai da alcuni decenni è sorto in Italia il problema dell’immigrazione (e/o della presenza) straniera, già esistente da svariati decenni in quelli che vengono oramai considerati come Paesi di tradizionale immigrazione – essenzialmente: Francia, Germania, Gran Bretagna e Benelux – dell’Unione europea (Münz, 1995-Simon, 2008).
In questi decenni si sono moltiplicati nel nostro Paese gli studi, promossi nell’ottica di svariati ambiti disciplinari, volti ad analizzare le relative problematiche sotto molteplici aspetti, ivi compresi quelli territorialmente comparativi che, in genere, avevano come ambiti di riferimento i Paesi dell’Unione europea da un lato e quelli del Bacino mediterraneo dall’altro.
Di sovente gli studi effettuati sinora facevano riferimento ad ambiti territoriali abbastanza ristretti – talora addirittura ad ambiti chiaramente micro-territoriali – e solo raramente avevano un respiro universale, anche in dipendenza della molteplicità di forme in cui si possono articolare i complessi fenomeni della mobilità territoriale delle popolazioni in generale e delle migrazioni internazionali in particolare. Inoltre, spesso e volentieri le problematiche da affrontare evolvono in maniera diversa a seconda che gli anzidetti complessi fenomeni vengano analizzati nell’ottica dei flussi oppure in quella degli stock o anche tenendo contemporaneamente e congiuntamente conto di loro.
In questi ultimi mesi è stato, però, reso disponibile un interessante e dettagliato studio delle Nazione Unite (United Nations, 2009) avente per oggetto il fenomeno della presenza straniera in tutti i Paesi del mondo: studio che, ovviamente nell’ambito delle sue specifiche peculiarità, consente di cogliere vari aspetti salienti di questi fenomeni.

2. Chi è straniero?

Lo studio anzidetto è stato condotto considerando come popolazione straniera i “non nativi” dello Stato di riferimento. Si tratta, in effetti, di una “definizione” differente da quella comunemente usata per la quale sono straniere le persone che non sono in possesso della cittadinanza dello Stato in cui vivono.
Tale diversità di definizione comporta, ovviamente, anche quantificazioni differenti sia dell’ammontare globale della presenza straniera, sia dei suoi ammontari parziali, determinati in funzione del luogo di origine (Paese di nascita oppure Paese di cittadinanza) dello straniero. Nella sostanza le alternative anzidette privilegiano aspetti diversi del fenomeno in questione, in quanto con il luogo di nascita in un certo qual senso si privilegia l’aspetto etnico-territoriale, mentre con la cittadinanza si privilegia l’aspetto giuridico-istituzionale; inoltre, il luogo di nascita è qualcosa che rimane immutato nel tempo, mentre la cittadinanza – a prescindere dai non pochi casi di doppia cittadinanza – può subire anche più di una modificazione nel divenire degli anni.

o sbarco di due profughi all’isola di Lampedusa.

Archivio BPP

Contrariamente a quanto avviene di solito in questa più che recente pubblicazione delle Nazioni Unite, alla quale abbiamo fatto precedentemente riferimento, sono stati classificati come stranieri i “non nativi”¹, privilegiando l’aspetto etnico e fornendo, quindi, cifre che in alcuni casi – a prescindere dall’inclusione o meno dei “sans papiers” – divergono da quelle usualmente fornite in altre occasioni.
Malgrado ciò, le cifre riportate in detto volume ci sembrano notevolmente significative, anche in quanto ci consentono di analizzare in maniera sufficientemente articolata il dualismo che esiste all’interno dell’Unione europea a 27 tra i Paesi della vecchia Unione a 15 e quelli, prevalentemente orientali e/o balcanici, entrati nel corso del XXI secolo (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania e Bulgaria, oltre alle due isole di Cipro e di Malta).

3. Il dualismo nell’ambito dell’Unione europea

Tra i molteplici problemi (tendenziale stagnazione della crescita demografica, bassa fecondità, elevato invecchiamento della popolazione, etc.) che interessano la dinamica demografica dell’Unione europea (Di Comite, 2004) un posto di rilievo va attribuito alla mobilità – tanto interna², quanto esterna – della popolazione. In effetti, assieme all’America settentrionale (USA e Canada) e, in maniera alquanto marginale, assieme anche all’Australia, al Sud Africa, al Giappone e ai Paesi produttori di petrolio del mondo arabo (Simon, 2008), l’Unione europea presenta in tema di migrazioni due peculiarità: a) è un’area ove la presenza straniera incide in maniera notevole, risultando in media abbastanza vicina al 10,0%; b) è una delle aree di accoglimento preferite dai flussi, tanto legali quanto illegali, che si sono osservati in questi ultimi anni.
Nell’ambito, dunque, della tematica che, in questa occasione, ci interessa – cioè, la presenza (o immigrazione) straniera – come avremo occasione di evidenziare in maniera più soddisfacente nel seguito nell’ambito dell’Unione europea esiste una lampante dicotomia, o volendo utilizzare un’altra espressione esistono “due velocità”, in quanto i Paesi dell’Ue a 15 presentano caratteristiche nettamente diverse da quelle che, in genere, si osservano per i dodici Paesi entrati a far parte dell’Ue nel XXI secolo.
Tale circostanza balza immediatamente evidente allorché si prendono in considerazione i dati riportati nella Tav. 1, dai quali risulta che mentre per l’Ue a 15 la presenza straniera – valutata in termini di “non nativi” – sfiora il 10,0%, negli ulteriori 12 Paesi considerati nel loro (invero, notevolmente eterogeneo) complesso tocca semplicemente il 2,4%, con alcuni Paesi (Romania, Bulgaria e Polonia), tipicamente di emigrazione, in cui risulta inferiore al 2,0%.
Nell’ambito dell’Ue a 15 – come risulta ben evidente dalla Fig. 1 – primeggiano il Lussemburgo, con una percentuale abnorme (37,4%) attribuibile almeno in parte alla sua ridotta dimensione demografica, l’Austria e l’Irlanda. Questi Stati sono seguiti molto da vicino da Svezia, Germania, Spagna, Francia e Olanda. Ultimi sono, infine, l’Italia (4,3%) e la Finlandia (3,0%).
Per quel che concerne i Paesi continentali europei del Bacino mediterraneo, ancora una volta, appare macroscopica l’eterogeneità che si osserva tra Spagna e Italia: il Paese iberico, malgrado sia divenuto Paese di immigrazione con ritardo rispetto alla nostra penisola, attualmente accoglie molti più stranieri dell’Italia, anche in quanto ai due tradizionali flussi migratori Sud-Nord ed Est-Ovest per la Spagna si aggiungono i cospicui flussi che traggono origine dall’America latina³.

Tav. 1

A livello meramente quantitativo, sulla base dei dati riportati nella Tav. 1 e tenuto ben presente il loro particolare significato, la più ampia presenza straniera la si ha in Germania con oltre 10 milioni di “non nativi”: in questo Paese, dunque, la presenza straniera assume dimensioni tali da essere globalmente pari all’ammontare della popolazione di alcuni Stati, quali il Belgio, il Portogallo, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, e nettamente più elevata di altri, quali l’Austria, la Svezia, la Bulgaria, ecc. Inoltre, come è ben noto agli addetti ai lavori (Münz, 1995), la maggior parte di questi stranieri sono tuttora di nazionalità turca.
All’altra estremità della scala – cioè come Stati con la più ridotta, in termini percentuali, presenza straniera – la Polonia, la Bulgaria e la Romania sono i tre Paesi con un’incidenza della popolazione non nativa che non raggiunge il 2,0%, accomunati tra l’altro anche dal presentare valori negativi tanto per i tassi di variazione naturale (cioè, l’ammontare dei decessi supera quello delle nascite) quanto per il saldo migratorio, che si presenta tuttora negativo malgrado i cospicui ammontari di loro cittadini viventi all’estero. Inoltre, almeno per quel che concerne la Romania, ci appare ben sintomatico che l’ammontare ufficiale dei “non nativi” (133,4 mila stranieri) è di gran lunga inferiore a quello dei cittadini rumeni, attualmente all’incirca 800 mila, soggiornanti nel nostro Paese e ciò per non parlare della globale presenza rumena all’estero (Ghetău-Galizia, 2008).

4. Il dualismo in Italia

Eterogeneità analoghe a quelle esistenti all’interno dell’Unione europea si osservano, pure, allorché si analizza in generale l’esperienza dei principali Paesi di immigrazione europei, e in particolare quella del nostro Paese che sino a cinquant’anni orsono era – soprattutto per quel che concerne il Mezzogiorno – una tradizionale area di emigrazione (Di Comite-Pellicani, 2006). Più specificamente, per quel che concerne i fenomeni migratori, a partire dall’inizio degli anni Cinquanta e all’incirca per due decenni l’Italia ha presentato un comportamento dualistico in quanto coesistevano regioni di emigrazione – tradizionalmente quelle del Mezzogiorno e, in misura minore, il Veneto – che, nell’ambito di fenomeni che rivestivano anche una notevole importanza in campo socio-economico⁴, “esportavano” popolazione tanto verso i Paesi economicamente più sviluppati dell’Europa occidentale quanto verso le regioni anch’esse economicamente più sviluppate dell’Italia settentrionale, e segnatamente verso il cosiddetto triangolo industriale (Milano, Torino e Genova), e regioni di immigrazione, cioè quelle anzidette del Mezzogiorno, che accoglievano, praticamente in assenza di immigrazione straniera, i migranti che venivano dalle regioni economicamente meno sviluppate del Sud⁵.

Tav. 2

Con l’inizio degli anni Ottanta il nostro Paese ha iniziato a divenire meta di flussi internazionali che comportavano, specie nelle fasi iniziali, immigrazione anche a carattere temporaneo soprattutto dai Paesi africani del Bacino mediterraneo (Tunisia e Marocco). Tali flussi sono divenuti nel progredire del tempo sempre più consistenti e variegati per quel che concerne le provenienze⁶ tanto da aggirarsi attualmente intorno ai 4 milioni di unità, ivi compresa una abbastanza consistente presenza di clandestini.

I quasi 4 milioni di stranieri residenti⁷ in Italia sono distribuiti con intensità molto diversa allorché si passa da una regione all’altra (vedi Tav. 2 e Fig. 2): la percentuale più elevata (9,3%) concerne la Lombardia, quella più bassa (1,8%) la Puglia e la Sardegna: si passa, quindi, da realtà analoghe a quella attuale di Paesi di antica immigrazione come la Francia, la Germania e il Regno Unito a situazioni paragonabili a quella che era la realtà del nostro Paese considerato nel suo complesso all’inizio degli anni Novanta.
La spaccatura Nord-Sud che esiste per quel che attiene la presenza straniera nella nostra penisola è estremamente evidente. Nelle regioni meridionali, malgrado alcune di esse – soprattutto la Sicilia e in passato la Puglia per l’immigrazione albanese – svolgano il ruolo di porte di ingresso privilegiate per quel che concerne le migrazioni clandestine via mare, la presenza straniera appare limitata, circostanza questa che può indurre a ritenere che, soprattutto nell’ambito delle migrazioni Sud-Nord, esse svolgano principalmente il ruolo di terre prima di approdo e quindi di transito per i migranti che provengono dai Paesi mediterranei, tanto africani quanto asiatici.

Fig. 1

In tre regioni settentrionali (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) si sfiora, invece, la “soglia” del 10,0%, valore medio che tra l’altro comporta in alcuni – in genere, ben definiti – ambiti territoriali anche una presenza straniera (magari, compresi i clandestini) abbastanza al di sopra del 10,0%⁸.

Oltre alla spaccatura Nord-Sud, dai dati riportati nella Tav. 2 emergono ben evidenti anche l’elevata natalità e la bassissima mortalità degli stranieri viventi in Italia. Le caratteristiche del primo fenomeno sono ben note (Valerio Escandel-Girone, 2006; Di Comite-Girone, 2008a) e rientrano in una logica che ci accomuna a quella di un altro Paese dell’Europa mediterranea, cioè la Spagna, ove tanto la presenza straniera quanto la proporzione delle nascite da madre straniera (Valerio Escandel-Girone, 2006; Di Comite-Girone, 2008b) sono ben più elevate di quelle che si osservano tra di noi.

Fig. 2

I bassissimi quozienti di mortalità che si desumono dai dati della Tav. 2 sono, invece, esclusivamente attribuibili alla particolare struttura per età della popolazione immigrata, ove le fasce di età più esposte al rischio di morte (neonati e anziani) sono esigue o addirittura praticamente inesistenti, come ad esempio avviene per gli ultraottantenni.

5. Conclusioni

I processi di globalizzazione che hanno caratterizzato il globo in questi ultimi decenni hanno avuto notevoli riflessi anche sulla mobilità territoriale delle popolazioni, o in altri termini sui fenomeni migratori considerati tanto dal punto di vista dinamico (cioè, dei flussi di popolazione) che da quello statico (cioè, degli stock di popolazione straniera).
A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale si è assistito a un “boom” dell’ammontare della popolazione mondiale – che attualmente si avvicina sempre più ai 7 miliardi di abitanti – accompagnato da un analogo, e sicuramente più rilevante, “boom” delle migrazioni internazionali.
La maggior parte di queste ultime si è svolta sulla direttrice che ha visto, in linea di massima, come Paesi di origine quelli economicamente meno sviluppati e demograficamente con i maggiori tassi di crescita e come Paesi di accoglimento quelli economicamente più avanzati e, attualmente, demograficamente in stagnazione se non addirittura in regresso.
A questa logica non si è sottratta l’Unione europea – specie se considerata nella sua composizione a 15 – che attualmente appare come una delle destinazioni preferite dai nuovi flussi migratori, che si vengono ad aggiungere ad una consistente e, in genere, consolidata presenza straniera.
All’interno dell’Unione europea esistono, però, situazioni differenziate tanto se si contrappone la sua struttura a 15 a quella del complesso dei Paesi chiamati a farne parte nel corso di questo ultimo secolo, quanto se si considerano separatamente i singoli Stati (vedi, ad esempio, la Fig. 1). Notevoli divari esistono, inoltre, anche all’interno dei singoli Stati, e l’esperienza del nostro Paese, ove la presenza straniera è molto più accentuata nelle regioni centro-settentrionali e abbastanza contenuta in quelle meridionali e insulari, fornisce molteplici occasioni di riflessione sulle conseguenze socio-economiche di tale fenomeno.


* Lavoro svolto nell’ambito del programma di ricerca “La demografia del Mediterraneo tra passato, presente e futuro”, finanziato dall’Università di Bari e diretto dal prof. Luigi Di Comite. L’impostazione del lavoro è dovuta ai due Autori in stretta collaborazione: tuttavia, per quel che concerne la stesura del testo, i paragrafi 1 e 4 vanno attribuiti al prof. Luigi Di Comite, mentre i paragrafi 2, 3 e 5 alla dott.ssa Stefania Girone.

** Dipartimento per lo Studio delle Società Mediterranee (DSSM) - Università di Bari.


1) Per fornire un’idea di cosa può comportare una tale scelta è sufficiente tenere presente che, ad esempio, un cittadino francese nato in un Paese del Maghreb – e il numero è assai significativo – con questo tipo di classificazione figura come “straniero”.

2) Come mobilità interna ci si può, quanto meno, alternativamente riferire sia a quella che avviene all’interno dei confini dei singoli Stati sia a quella che avviene all’interno del complesso dell’Unione europea.

3) Sino alla fine del XX secolo l’emigrazione latino-americana aveva come primo Paese di destinazione (e di accoglimento) gli Stati Uniti. Attualmente le cose sono cambiate in maniera notevole dato che per buona parte dei Paesi latino-americani, e soprattutto per quelli economicamente meno sviluppati, il primo Paese di destinazione è divenuto la Spagna, seguita dagli USA e (ambedue) a notevole distanza dall’Italia.

4) Si tratta dei ben noti processi di urbanizzazione – cui fece seguito quello (per così dire opposto) di contrurbanizzazione – e di spopolamento rurale e/o montano, che hanno ridisegnato completamente la geografia della distribuzione territoriale della popolazione del nostro Paese.

5) Tutto questo potrebbe venire configurato, a livello “micro” e “domestico”, come un antesignano esempio di flussi migratori Sud-Nord.

6) Per la fine del 2008 veniva – tra le altre – fornita dalla “Caritas” (Licata, 2009) la seguente quantificazione (3.891mila persone) della globale presenza straniera in Italia, nonché le prime cinque nazionalità: Romania (796,5 mila), Albania (441,4 mila), Marocco (403,6 mila), Cina (170,3 mila) e Ucraina (154,0 mila).

7) Le cifre sui residenti possono – anche se di poco – sovrastimare tale tipo di presenza straniera, in funzione del limitato interesse che hanno gli immigrati a farsi cancellare dalle anagrafi allorché ritornano (definitivamente) in patria.

8) Per il 2008 la provincia con la più diffusa presenza straniera era Brescia, con il 12,2%.

   
   
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