Marzo 2010

PAESAGGIO E QUIETE INTERIORE

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Luoghi e colori
del silenzio musicale

Sergio Bello

 
 
 

Tutti i colori
del bianco, tutti
i colori del verde, tutti gli echi di un silenzio millenario che trasvola
tetti e comignoli maculati, nel
ritaglio di cielo che azzurra la geografia minima di un mondo
schivo e innocente.

 

 

Ovunque – nelle città italiane, europee, del mondo – l'inquinamento acustico la fa da dittatore. Il cemento divora decine di migliaia di ettari di campagna l'anno. Dilagano le luci che ci impediscono di vedere le stelle. Le oasi di quiete sonora sono diventate sempre più rare, sicché in alcune aree si sta romanticamente correndo ai ripari, prevedendo la tutela delle campane, viste come il filo conduttore di un'identità acustica che dura dall'VIII secolo, cioè dall'epoca in cui cominciarono a diffondersi, cadenzando ogni attività, battendo un tempo inizialmente non legato al meccanico scorrere delle ore, ma alle scansioni quotidiane della vita dei campi.
La serenità dei luoghi è uno degli ingredienti fondamentali del loro fascino. Ascoltare il gocciolio dell'acqua che cade negli ipogei scavati nel V secolo avanti Cristo dai prigionieri cartaginesi del tiranno di Agrigento è un'emozione indescrivibile. Quella rete di gallerie drenanti sbocca poi nella Kolymbreta, un luogo straordinario di cinque ettari con i gelsi, i carrubi, gli olivi saraceni, le essenze della macchia mediterranea, proprio nel cuore della Valle dei Templi.

© Michele Coccioli

Analoghi luoghi: la Villa Gregoriana, a Tivoli, con il suo silenzio sottolineato dal suono delle meravigliose cascate che per Goethe «sono tra le cose la cui conoscenza ci fa interiormente, profondamente più ricchi». Il mulino di Baresi a Roncobello, nella Val Brembana, che dopo il restauro è tornato a far sentire il rollio della ruota di legno e il battito della macina verticale, riproponendo un paesaggio sonoro da giorni medioevali. I giardini di Pantelleria, formati da piccoli nuraghi mozzi, coni di due metri che custodiscono il segreto della vita nei luoghi aridi: la rugiada che cola durante la notte sulle pietre all'interno del cerchio, rimaste all'ombra mentre la parte esterna si arroventa al sole, basta a dissetare l'arancio al centro della costruzione; sistema idrico tradizionale, efficiente quant'altri mai.

Il silenzio attrae perché è l'altra faccia – complementare – della musica: un formidabile catalizzatore di suoni, la pausa che consente alle note di emergere quasi più nitide e chiare. Non a caso John Cage, uno dei compositori più innovativi, è giunto a teorizzare l'importanza del silenzio costruendo un celebre brano in cui l'assenza di musica è interrotta solo dai colpi di tosse, dai cigolii delle sedie e da vari rumori di fondo del pubblico in attesa del concerto. E poi ancora il Gigante Verde, il tratturo che attraversa il Molise, ripercorrendo secoli di cammino della cultura della transumanza. Il Plemmirio, lembo di macchia mediterranea di fronte a Ortigia e all'antica casa siracusana di Pitagora. Il sentiero che costeggia il torrente Cilian, nella Valle d'Aosta, un tratto della Via Francigena percorsa per secoli dai pellegrini e dagli eserciti. La Valle del Freddo, sul lago d'Iseo, che per un capriccio della natura riproduce, a 360 metri sul livello del mare, essenze floreali e alpine di alta e altissima quota. La Val Fondillo, in Abruzzo, ricca dei suoni naturali del Parco nazionale.
Al silenzio quale provocazione concettuale si contrappone il silenzio mistico. «Qui c'è sicura quiete. Resta qui per sempre, o pellegrino. Questa quiete ti farà preservare», si legge sull'arco del chiostro grande della trecentesca Certosa di Padula, nel Cilento. Il Monte Autore, nel Lazio, con boschi e paesi che conservano i mestieri artigianali del passato. Gran parte del Casentino, tra Toscana ed Emilia, nelle foreste di castagni visibili dagli eremi di Camaldoli e della Verna che riproduce in altura una Gerusalemme celeste. La Val Grande, in Piemonte, con i panorami prealpini più selvaggi del Vecchio Continente. Il Lago Inferiore, che i mantovani realizzarono nel 1100, nel territorio del Parco del Mincio, con trenta ettari di paesaggio intatto, in un panorama di acque, di campi e di filari che una volta soltanto i Gonzaga godevano dalla loro camera dipinta dal Mantegna e che oggi è minacciato da progetti privati, con una colata di 185mila metri cubi di cemento...
E dalla parte dell'universo pugliese, i borghi che «parlano con le campane», com'ebbe a scrivere il poeta Antonio Verri: i murgiosi Alberona, Bovino, Pietramontecorvino, Roseto Valfortore, Vico del Gargano, le trullesche Locorotondo e Cisternino, la grica Specchia, l'orientale Otranto, inquadrati di recente dall'obiettivo di Michele Coccioli. Tra le argille e i tavolieri di Capitanata, le conche d'Itria, le serre salentine e il malmostoso Adriatico, musica sono le immense solitudini, l'aria trasparente, l'armonia di tutti i colori del bianco delle case, dei cortili, dei vichi, delle scalinate, l'armonia di tutti i colori del verde delle campagne, dei giardini, delle pergole, delle palme che svettano dai nidi bruni delle piccole piazze, l'armonia di tutti gli echi di un silenzio millenario che trasvola embrici di tetti e comignoli maculati, l'armonia dei bambini che per campo di gioco hanno ancora l'intero paese e rapportano le corse scalze alle ruote che rondini civettuole disegnano nel ritaglio di cielo che azzurra la geografia minima di un mondo schivo e innocente.
Suoni che vengono dalla memoria, nel senso dell'anima che non è stata mai del tutto perduta, di un umanesimo che è ancora possibile scoprire tra le rughe dei percorsi solitari, di incantesimi intimi e rivelatori che possono ancora sorprendere. Al modo della voce delle campane ai crepuscoli, anche queste sono, nel paesaggio sonoro che invita alla contemplazione, note di un pentagramma interiore miracolosamente giunto fino ai nostri tempi, per il resto inquinati notte e giorno da cantieri acustici sempre più spesso sgradevoli e privi di senso.

   
   
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